NOVARA | Casa Bossi | Fino al 4 novembre 2018
Un dispositivo di audio cuffie accompagna il visitatore a percorrere una ricerca ipotetica tra le stanze del primo piano di Casa Bossi, meravigliosa architettura firmata da Alessandro Antonelli, oggi in stato di abbandono. Ideato e scritto per questa location, “l’audiodramma ha intenzione di restituire alla Casa, almeno temporaneamente, un presente plausibile”, racconta l’autrice.
Registrazioni ambientali di futili azioni quotidiane come chiudere una finestra o lavare i piatti, si intrecciano con la voce di Elena Pugliese che racconta riflessioni sulla vita e la sua routine. Un pomeriggio qualunque tra le calde mura di casa. Si tratta di una porzione dell’esistenza che passa inosservata, ma che costituisce la nostra struttura più profonda, la persona più intima che tutti siamo ma che poco si mostra agli altri. Un lavoro che parla di identità singole ma collettive allo stesso tempo, che indaga la biografia nelle sue declinazioni più umane.
Hai lasciato la luce accesa è un progetto dal corpo invisibile. Si tratta di un’esperienza percettiva attraverso un percorso audio/ascolto sonoro. È un approccio che solitamente caratterizza i tuoi lavori. Come sei arrivata alla scelta di questo media?
Negli anni, in qualità di drammaturga, dal teatro mi sono avvicinata alle arti visive e performative. È interessante esplorare attraverso altri mezzi nuovi piani narrativi.
Di volta in volta sono venuti a mancare una serie di codici prettamente teatrali: non c’è più un palcoscenico, il testo non è al servizio di un personaggio, non ci sono attori e anche il pubblico non è più solo spettatore. Alla fine cosa resta? Resta l’ascolto della parola, di una voce, resta l’azione, i suoni, i silenzi, lo spazio. Resta un’esperienza di cui il pubblico è protagonista. La drammaturgia è una coralità, in cui ogni elemento richiede un lavoro di sottrazione/sintesi, per me è importante riuscire a raggiungere quella semplicità, che più di ogni altra cosa rispecchia la realtà delle cose.
Un audio che lascia spazio al “proprio sentire individuale” come lo definisci tu e contemporaneamente fa emergere un senso di empatia condiviso in chi ascolta, che si riconosce in tutto ciò che sente. Come convivono questi delicati aspetti nel tuo lavoro?
Consegnare la storia a chi quella storia l’ha vissuta è un’operazione che è insita nei laboratori di scrittura autobiografica che conduco. È un esercizio di consegna, diciamo così, che ho ormai assimilato. Nel caso di Hai lasciato la luce accesa, ho cercato di consegnare innanzitutto alla Casa ciò che aveva e che ora non ha più, ovvero una quotidianità. Non è facile stare nelle cose di tutti i giorni. Non è facile prendere il futile sul serio, come dice il sociologo belga Claude Javeau. Nell’audiodramma rumori, pensieri, futili azioni di tutti i giorni lasciano traccia di sé. Sono pensieri ad alta voce in piccole faccende di casa. In bilico tra autobiografia e finzione, tutto è plausibile ma nulla di ciò che si sente è presente. Il fruitore munito di audio cuffie, stanza dopo stanza, da solo, attraversa la Casa immerso nell’ascolto di questa narrazione tanto familiare quanto estranea. Non c’è nulla in questo testo che prenda per mano l’uditore, nessuno gli dice dov’è e dove lo sta portando, nulla lo rassicura e volente o nolente, smarrito, si appella alla sua storia privata. Come una casa dentro la Casa, abita se stesso. Ciò che vorrei consegnare al fruitore è un’esperienza che non si esaurisce lì, ma che diventa un’occasione di riflessione più ampia per lui.
La drammaturgia è stata scritta ad hoc per la location. Quali valenze hanno avuto lo spazio e il tempo di questa casa vuota e disabitata?
Lo spazio in questo caso ha un carico emozionale molto forte. Forte perché il tempo segna profondamente il luogo. Grava sul luogo. Paradossalmente una casa vuota può risultare più piena di una casa piena. L’invisibile batte il visibile. È la Casa dell’assenza. Attraversando gli spazi si percorre anche il tempo che lo abita e lo ha abitato: sia il suo glorioso passato di condominio, sia il suo presente stato di abbandono.
Ho voluto lasciare intatto il vuoto, per far risuonare a piena voce le contraddizioni del nostro vivere quotidiano: abitudini, ripetizioni, spaesamento, quanto la quotidianità guarisca e quanto ammali, quanta ragione e quanta follia ci sia e quanto ognuno, senza saperlo, lasci traccia di sé tutti i giorni in quelle piccole azioni apparentemente futili.
Un workshop di tre giorni ha preceduto il tuo lavoro finale. Otto persone (un pensionato ex inquilino di Casa Bossi, un’urbanista, una guida turistica, un’architetta, uno psicologo, una volontaria del servizio civile, una grafica, una diarista) sono state da te accompagnate a sperimentare quanto il proprio vivere quotidiano derivi dalla storia personale che si esprime in ogni gesto, oggetto, ritualità. In che modo questo laboratorio ha contribuito alla realizzazione del percorso sonoro?
Mi piace verificare come ciò che riguarda me possa riguardare anche gli altri e in che modo. Ho sentito la necessità di sviluppare il lavoro in due tappe. La prima con un workshop per produrre esperienza, la seconda per dare forma alla conoscenza che ne è derivata. Allargare il più possibile le maglie della quotidianità, entrare nella sua complessità, e attuare dispositivi in grado di creare esperienza sono stati gli obiettivi del lavoro fatto con chi ha aderito alla call. Abbiamo lavorato sulla composizione e rottura dell’atto quotidiano, le sue mappe, il potere degli oggetti. Durante il workshop la Casa è diventata un luogo di studio. L’esperienza crea una conoscenza reale, questo è un fatto. Sperimentare e indagare il tema su cui lavoro ritengo sia parte integrante del processo di creazione.
Elena Pugliese (Torino, 1971) drammaturga. Scrive per il teatro, cinema e radio. Realizza progetti nell’ambito dell’arte contemporanea. Il suo lavoro di scrittura e ricerca ruota attorno ad alcuni punti fermi: l’attenzione per memorie personali e collettive, l’arte autobiografica, la poetica del quotidiano, gli archivi come risorse per il contemporaneo, i lasciti materiali e immateriali. Conduce laboratori di scrittura autobiografica. www.elenapugliese.it
Dal 2010 Casa Bossi è sede di diverse attività culturali promosse e curate dal Comitato d’Amore per Casa Bossi. Oggi il Palazzo diventa lo spazio scelto dall’ultima edizione di Project Room, a cura di Riccardo Caldura e Yvonne Pugliese: un modo diverso di concepire l’occasione espositiva, con lavori appositamente sviluppati insieme agli artisti a seconda delle caratteristiche dei luoghi che li ospitano. Hai lasciato la luce accesa di Elena Pugliese è il secondo appuntamento di Project Room, promosso dal Comitato d’Amore per Casa Bossi e sostenuto dal Comune di Novara
HAI LASCIATO LA LUCE ACCESA, 2018
audiodramma di Elena Pugliese
a cura di Riccardo Caldura e Maria Yvonne Pugliese
L’opera è una donazione che rimarrà nelle disponibilità di fruizione di Casa Bossi
Catalogo con interventi di: Riccardo Caldura, Maria Yvonne Pugliese, Roberto Tognetti
Progetto realizzato dal Comitato d’Amore per Casa Bossi, sostenuto dal Comune di Novara, dall’Associazione culturale YARC e Painting srl
Percorso audio, cuffie, 9’30”
Voce: Elena Pugliese
Mix audio: Niccolò Bosio
Luogo: primo piano di Casa Bossi
23 settembre – 4 novembre 2018
Casa Bossi
Via Pier Lombardo 4, Novara
Orari: venerdì 15,00 – 17,00 | sabato 10,30 – 12,30 / 15.00 – 17,00 | domenica 15,00 – 17,00
Ingresso a offerta