Intervista a CRISTIANO GODANO (Marlene Kuntz) di Corinna Conci
Quando le esperienze della carriera di una band sono memorizzate e documentate in suoni, immagini e parole per crearne una storia consapevole, si aprono scenari diversi per indagare nuove parti della propria identità artistica. Il film “Complimenti per la festa” (2016) racconta la vita dei Marlene Kuntz tramite un archivio del passato di immagini e interviste insieme a momenti catturati in “Catartica Tour” (2014), celebrazione del primo album “Catartica” (1994). Lo sguardo del regista Sebastiano Luca Insinga dà corpo alla figura cangiante di una delle band simbolo del rock indipendente italiano, attiva fin dagli inizi degli anni ’90. Collaborazioni internazionali che spaziano dal mondo della musica a quello della danza e dell’arte visiva, sonorizzazioni di cinema muto, pubblicazioni di libri, musicazioni dei propri testi condivisa con i fan: si tratta di esperienze che creano un percorso composto da molti pezzi diversi, profondamente connessi, adesso integrati.
Dopo le ultime date del tour “Onorate il Vile” (2017) per celebrare il secondo album “Il Vile” (1996), i Marlene Kuntz si trovano nuovamente in studio. Questo periodo di generazione del nuovo disco si affaccia però ora verso l’interno: un tempo che sembra più riflessivo e maturo, una dedica a uno stato interiore che prima non era possibile sentire.
Al di là di un po’ di mistero e un po’ di pudore, parliamo del nuovo album al quale state lavorando in questo periodo e che uscirà nei prossimi mesi. Qualcosa di nuovo e più introspettivo oppure coerenza con le chitarre elettriche dell’ultimo disco?
Ci stiamo lavorando da alcuni mesi ormai, e se c’è una cosa che per ora caratterizza i vari pezzi è la siderale distanza rispetto a “Lunga Attesa”, che era un disco molto elettrico, dunque di base impiantato sulle chitarre elettriche. Il mood per ora è particolarmente lento e intensissimo: credo sia nelle nostre priorità cercare di fare uno dei dischi più intensi e toccanti della nostra carriera. Sicuramente introspettivo. Probabilmente scuro.
Alcuni mesi fa avete lanciato un’iniziativa che ha coinvolto attivamente i vostri fan: musicare il testo della title-track dell’ultimo album “Lunga Attesa” (2016) creando una versione personale. Cosa è successo e pensate di riproporre questa idea?
Fu una buona trovata, indubbiamente… Sul nostro fb avevamo una sorta di piccolo appuntamento, ovvero il testo della settimana. Si trattava di un testo mio, già edito, esibito senza la musica a corredo, per la semplice lettura. Da lì è stato semplice immaginare che avremmo potuto postarne uno nuovo, sconosciuto alla gente, di quelli in lavorazione per “Lunga Attesa”. E da lì è stato altrettanto semplice immaginare che avremmo potuto chiedere a qualsiasi musicista fosse stato interessato di provare a musicarlo. L’ultimo step fu immaginare di sceglierne tre alla fine di un certo lasso di tempo dato a disposizione per la creazione, e invitare i loro autori a suonare prima di noi a un nostro concerto: tutto questo per stimolare la partecipazione. Arrivarono più di trecento versioni, e fu tanto divertente quanto complicato ascoltarle con serietà tutte… Non credo riproporremo questa idea, perché purtroppo sappiamo che ci chiederebbe tanto altro tempo per l’ascolto.
Scrivere è atto di meditazione, che assume un diverso stato con l’esperienza: in questi anni senti che si è modificato il tuo approccio alla scrittura dei testi?
C’è più consapevolezza, ed è inevitabile, perché sono venti e più anni che scrivo testi, e se non avessi acquisito consapevolezza sarei un idiota irriflessivo. La consapevolezza tiene a bada l’istinto, che viene contemperato e filtrato dal raziocinio e dall’esperienza: per quel che mi riguarda è un valore positivo, perché se guardo ai miei testi di inizio carriera percepisco spesso certe esagerazioni istintuali, ottime per fare colpo sulla gente ma eccessivamente sentimentali e slabbrate rispetto al mio modo intimo di pensare, che per attitudine è in genere incline alle complicazioni filosofiche e al distacco dalle certezze di chi urla sempre.
L’ultima settimana di ottobre presenterete al teatro Ambra Jovinelli di Roma una sonorizzazione dal vivo del film “Il castello di Vorgelod” di Murnau (1921), un’opera sacra per i cinefili. La performance d’improvvisazione avrà una formula speciale perché affiancata dalla voce narrante di Claudio Santamaria che si farà attore in scena. Come nasce questa collaborazione e come si caratterizzerà lo spettacolo?
Siamo stati coinvolti in sonorizzazioni di film muti parecchie altre volte, e dunque per noi è consuetudine questo tipo di performance. Avevamo voglia di rifarne una in questo autunno venturo e ci era venuto in mente di renderla più stuzzicante, per noi e per il pubblico, con la presenza di un attore in veste di voce narrante. Claudio Santamaria è un amico dei Marlene da parecchio tempo, e va da se che l’incontro è stato particolarmente facile da favorire. In tutta franchezza le prove dello spettacolo sono ancora da fare, dunque non mi è semplice rispondere alla seconda parte della tua domanda: ci saranno un lavoro di regia e una scenografia, questo senz’altro, e sarà una differenza sostanziale rispetto alle nostre precedenti esperienze in questo ambito.
Il Castello di Vorgelod. Viaggio musicale nella pellicola di Murnau tra parole e immagini
Presentato da Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
Voce e live electronics Claudio Santamaria
Colonna sonora e sonorizzazione live Marlene Kuntz
Regia Fabrizio Arcuri
24 – 29 ottobre 2017
Teatro Ambra Jovinelli
Via Gugliemo Pepe 43, Roma