TORINO e FAVARA | BAC-Barolo art for community e Farm Cultural Park
Intervista a CATTERINA SEIA e ANNALISA CICERCHIA di Livia Savorelli
Il recente lockdown e il conseguente isolamento – nonché il tanto propagandato distanziamento sociale – hanno evidenziato chiaramente i tristi effetti psicologi sull’individuo, soprattutto sulle persone più fragili.
La Cultura, essendo strettamente connessa allo sviluppo individuale e collettivo, è sempre più, in questo delicato momento, una risorsa indispensabile per la coesione sociale e la salute biopsicosociale delle comunità.
Approfittando della costituzione, il 16 luglio scorso, del CCW-Cultural Welfare Center – a Torino nel BAC-Barolo art for community e, a Favara (AG), al Farm Cultural Park – ho voluto intraprendere un’intensa conversazione con due membri del CCW: Catterina Seia, Presidente CCW e Annalisa Cicerchia, associate founder CCW. Le finalità sono espresse chiaramente nel Manifesto, “coinvolgendo attori e portatori di interesse pubblici e privati, lavorando in un’ottica multidisciplinare, multilivello e intersettoriale possiamo con l’Arte e la Cultura generare un autentico contributo a un nuovo welfare. Un welfare culturale”.
Nello scenario sociale ed economico determinato dal Covid-19, la relazione virtuosa tra Arte/Cultura e Cura/Salute dell’individuo sarà una risorsa molto importante per affrontare i disturbi post-traumatici da stress e le relative ripercussioni che essi avranno a livello sociale ed economico. Ci potete sintetizzare, anche sulla base del rapporto OMS 2019, come la Cultura sia fondamentale, sia a livello di sviluppo dell’individuo sia a livello collettivo, per la salute psicosociale delle comunità? Come i crossover e le interazioni sistemiche tra salute, coesione sociale, innovazione e sostenibilità, possono determinare rigenerazione e fornire gli strumenti per sviluppare una resilienza nei confronti delle urgenti sfide che siamo obbligati ad affrontare?
Catterina Seia | Annalisa Cicerchia: La sfida nella quale siamo immersi segna una cesura con il passato per la profondità degli effetti possibili. Lo scenario è quello di una società che deve affrontare una sorta di disordine post-traumatico da stress, in cui gli enormi costi della crisi saranno pagati in termini sociali, economici e politici. In altre parole, è in gioco la tenuta sociale.
La crisi globale, però, nello stesso tempo ha messo in evidenza il valore delle Arti per la Salute, fisica e mentale, individuale e collettiva, convincendo anche i più scettici. Se in questa drammatica circostanza un gran numero di persone non avesse potuto disporre, anche attraverso l’accelerazione digitale, di un’ampia offerta di risorse culturali e non si fosse anche autonomamente attivata con azioni culturali individuali e collettive, i costi psicologici e umani immediati della pandemia sarebbero stati notevolmente superiori.
La relazione tra Cultura e Salute è un tema entrato nel dibattito, di grande attualità. Va concettualmente inserita all’interno di un quadro di impatto, non solo economico, ma soprattutto sociale e comportamentale della Cultura.
Ma che cos’è la Salute? “Lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, non la semplice assenza di malattia”. Sono passati più di 70 anni da questa definizione, adottata da OMS-Organizzazione mondiale della Sanità nel proprio atto costitutivo. Dopo un secolo caratterizzato dai successi del modello biomedico, basato sulla lotta contro le patologie, si sta affermando una visione biopsicosociale della Salute (George Engels, 1977), che va verso una comprensione della dimensione umana nel proprio insieme. Una interazione complessa di variabili che considera centrale la qualità dell’esperienza dell’individuo, della sua vita, la realizzazione di quelle che OMS definisce le life skills, le competenze trasversali fondamentali per consentire alle persone di realizzare il proprio potenziale, pronte ad affrontare i cambiamenti della vita, elementi centrali del benessere.
La Cultura, in quanto esperienza di costruzione di senso, connessa allo sviluppo umano è naturalmente una risorsa. Lo hanno visto anche i più scettici, con chiarezza, durante il lockdown.
Un crescendo rossiniano di pratiche e oltre trent’anni di studi e ricerche internazionali (dagli studi osservazionali longitudinali su migliaia di soggetti, vera e propria pietra miliare, pubblicata nel 1996, dello studioso norvegese, di Lars Olov Bygren sulla correlazione tra partecipazione culturale attiva e longevità), con diversi livelli di rigore, consolidati eppure ancora poco conosciuti, dimostrano l’efficacia della partecipazione culturale e convergono con le evidenze delle più recenti frontiere della ricerca scientifica. Neuroscienze, epigenetica, PNEI-psiconeuroendocrinoimmunologia mostrano come la salute biologica sia frutto dell’interdipendenza dei sistemi, di più variabili esogene ed endogene.
L’OMS, con l’Health Evidence Network Synthesis Report 67 pubblicato nel novembre 2019 (What is the evidence of the role of the arts in improving health and well-being?), sviluppato nell’ambito del programma “Salute in tutte le Politiche” (2013, che sollecita le politiche settoriali e la società nel suo complesso a prendere parte attiva nel migliorare il benessere e ridurre le diseguaglianze), riconosce il ruolo della Cultura come risorsa salutogenica (Aaron Antonovsky, 1979) ovvero fonte di Salute, nella prevenzione, nel percorso e nella relazione di cura. Si tratta della prima rassegna dell’OMS in tema – e in assoluto, la più grande mai realizzata –, che prende in esame oltre 900 pubblicazioni (che fanno riferimento a 3000 studi) degli ultimi 20 anni, della letteratura scientifica e umanistica con un approccio interdisciplinare che spazia in diversi ambiti: medicina, psichiatria, psicologia, filosofia, neuroscienze, antropologia, sociologia, geografia ed economia della salute, sanità pubblica… Dal lavoro di indagine emerge la portata della relazione tra Cultura e Salute nella prevenzione come nei percorsi di cura, ma nel contempo viene affermata la necessità di rafforzare le metodologie di valutazione di impatto. L’OMS raccomanda ai decisori di creare condizioni di contesto per favorire la costruzione di competenze e di osmosi tra settori, per contribuire a realizzare uno dei più importanti dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, rappresentato dall’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 3: “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”. Le diverse sfide della sostenibilità (come espresse nei 17 obiettivi per il III millennio dell’Agenda ONU) raggiungibili solo con una forte e determinata integrazione tra le politiche, i servizi e le pratiche, trovano nella Cultura e nell’Arte, pur non esplicitamente contemplate nei singoli Obiettivi, una risposta trasversale capace di generare cambiamenti radicali richiesti dai tempi.
Nel World Economic Forum di Davos del 2020, l’economia della cura e lo sviluppo a base culturale sono stati temi chiave per guardare alla giustizia sociale nella relazione tra tutti gli stakeholder.
L’Europa negli ultimi anni ha lavorato in questa direzione, ragionando soprattutto sul nuovo ciclo di sviluppo, dal 2021 al 2027, concepito prima della crisi, ma che appare appropriato per affrontarla. L’Agenda Europea della Cultura 2030, pubblicata nel maggio 2018, uno dei documenti di policy più innovativi, considera una serie di aree di impatto sociale ed economico della cultura, definite con una metafora biologica, crossover culturali. Con questo termine si intendono le interazioni sistematiche e sistemiche, non fortuite (i cosiddetti spillover), ma intenzionali, vero e proprio oggetto della politica culturale, con ambiti di intervento un tempo debolmente interconnessi. La relazione con la Salute, come quella con la coesione sociale, è considerata uno dei pillars delle politiche delle prossime decadi.
Tutto converge. I tempi sono maturi per un salto di scala.
Durante i difficili momenti della quarantena, si è assistito da parte di musei, istituzioni e in generale nel mondo della Cultura, ad un aumento dell’offerta culturale digitale, utilizzando anche nuove modalità di approccio al pubblico, attraverso canali e piattaforme mai esplorati prima. Da molti questo eccesso di virtualità è stato recepito con una certa preoccupazione, evidenziandone limiti e criticità, come se queste nuove modalità di fruizione accentuassero gli effetti tristemente noti, legati all’impossibilità della fruizione diretta e fisica dei luoghi dell’arte e al distanziamento sociale. Quale è, invece, l’altra faccia della medaglia di questa accelerazione digitale alla quale abbiamo assistito, in termini di impatto psicologico individuale e collettivo?
Catterina Seia: Questo blocco imprevisto del mondo ha accelerato la presa di consapevolezza del valore strategico dei “regni digitali”. Il digitale ci ha connessi, accorciando le distanze con gli altri e il mondo. La Cultura ha risposto in modo straordinario al lockdown. Come in tutta la sua storia, nella crisi è stata chiamata a condividere in modi alternativi conoscenza e bellezza, “ciò che ci rende umani”. L’offerta culturale digitale – seppur ancora con modalità prevalentemente tattiche – è cresciuta esponenzialmente come i follower, la ricerca artistica ha aperto nuove e sorprendenti scoperte phygital, di sintesi tra fisicità e virtualità. Il canale digitale non può sostituire il valore di una socialità ricca e piena, la relazione con l’altro da sé, con gli artisti e le opere e la dieta digitale andrà ribilanciata, ma si è aperto un grande laboratorio globale di sperimentazione, un cantiere di immaginazione sociale. Una rilettura della relazione con i pubblici, di processi partecipati di co-creazione, di democratizzazione per raggiungere pubblici più ampi e si osserva una crescente fusione della dimensione di produzione e della dimensione di partecipazione culturale, grazie alle tecnologie abilitanti, nel produrre contenuti e nel diffonderli. Sta cambiando anche il concetto stesso di pubblico, di audience, lo stesso concetto di partecipazione culturale. Si parla sempre di più di ecosistemi nei quali i contenuti vengono prodotti e disseminati e prendiamo atto che si è radicalmente modificato il palinsesto delle nostre personali scelte nel campo dell’intrattenimento e della cultura. Quando la mente incontra una nuova idea non torna nella posizione precedente, affermava Einstein.
Come affermano gli atti della recente conferenza MW20 di Museweb, tenutasi durante il lockdown, lo sviluppo digitale impatterà non solo sulla missione delle istituzioni culturali, ma sulla loro stessa sopravvivenza. Da oggi sarà impensabile una qualsiasi organizzazione culturale priva di una dimensione virtuale. A metà giugno, 60mila persone hanno seguito la visita guidata degli Uffizi condotta dalla giovane Martina Socrate; il museo ha ora mezzo milione di follower su Instagram ed è il più seguito al mondo sulla piattaforma TikTok, il social preferito dagli adolescenti. Da oggi la rete ci porta a casa incanti. Per alcuni esiste il rischio definito dagli esperti della “sindrome della capanna”, la tendenza per alcuni a rimanere nella propria casa, protetti, con il mondo a portata di click. Ma in altri questa pandemia ha mosso i desideri che derivano dalla privazione. Tra questi quello di prenotare uno spettacolo dal vivo.
Tuttavia, per chi vive situazioni di svantaggio o di fragilità e non ha accesso, opportunità, risorse e capacità per prendersi cura del proprio benessere personale e di quello dei propri cari, il divario tecnologico, spesso accompagnato dalla povertà educativa, amplia le diseguaglianze. Su questo dovremo lavorare. Per raggiungere il 50 per cento della popolazione che non ha gli strumenti per accedere alla cultura e comprenderne il valore. “Non siamo un destino, ma un progetto e un’invenzione che l’esperienza estetica può valorizzare”, afferma lo psicologo Ugo Morelli con il quale nel 2010 ho avuto il privilegio di pubblicare “Mente e Bellezza”.
Proprio la volontà di delineare per il nostro Paese, nell’ottica di una auspicata ripartenza, una nuova idea di welfare, basato su una un’“alleanza strategica tra Cultura, Salute, Educazione e Sociale”, è alla base del Cultural Welfare Center da poco nato a Torino, frutto del lavoro condiviso e partecipato di un gruppo di dieci professionisti operanti in questi ambiti che hanno risposto alla sua chiamata…
C.S: Il CCW nasce in risposta alla crisi pandemica per iniziativa di dieci professionisti, di diverse aree disciplinari, che nell’ambito di altrettante istituzioni hanno cooperato a geometria variabile dall’inizio del millennio su questo terreno pionieristico. La volontà è quella di mettere a sistema le migliori competenze in questo momento storico, per un’alleanza strategica.
La mia chiamata, con la stretta collaborazione di Alessandra Rossi Ghiglione – direttrice del SCT-Social Community Theatre dell’Università di Torino – ha coinvolto la prof.ssa Annalisa Cicerchia (primo ricercatore Istat che da sempre si occupa di benessere e cultura), il prof. Giuseppe Costa (epidemiologo, esperto in diseguaglianze della Salute), il prof. Enzo Grossi (il medico che con le sue ricerche rappresenta il riferimento nazionale su Cultura e Salute), l’arch. Luca Dal Pozzolo (Direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte), Elisa Fulco (curatrice di arte contemporanea che opera sui confini disciplinari in contesti socio-sanitari-assistenziali), l’economista della cultura, il prof. Pier Luigi Sacco, il sociologo Flaviano Zandonai, Irene Sanesi, esperta in management culturale, accompagna la governance della piattaforma.
CCW intende contribuire a dare valore e rafforzare, in termini metodologici, le esperienze in atto che adottano l’arte e la cultura nei processi di cambiamento, promuovendo la diffusione di pratiche replicabili e misurabili, in grado di garantire impatto sociale, visibilità e durata al fenomeno. Vogliamo sviluppare e sostenere la ricerca interdisciplinare e intersettoriale e accompagnare con approcci crossover la formazione di competenze ai diversi livelli di ingaggio e professionalità. Fondamentale sarà creare un ecosistema di dialogo e scambio tra operatori, ricercatori, policy makers e cittadini e nutrire approcci sistemici e politiche che mettano in atto questa visione. Tutti i promotori operano con un approccio che parte dal coinvolgimento di attori e portatori di interesse pubblici e privati, in un’ottica multidisciplinare, multilivello e intersettoriale, per azioni di advocacy, accompagnamento nelle strategie, progettazione e realizzazione di piani di intervento a decisori, a soggetti pubblici e privati del mondo culturale, educativo, socio-assistenziale, sanitario, imprenditoriale e della filantropia a livello nazionale, europeo e internazionale.
Con la prima azione, di concerto con DORs – il centro di documentazione per la promozione della Salute, abbiamo messo a disposizione la traduzione in italiano della ricerca OMS, come strumento essenziale di conoscenza. A seguire, con Annalisa Cicerchia, abbiamo elaborato per l’Atlante Treccani della Cultura una prima definizione del neologismo “Welfare Culturale” (http://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Welfare.html). Non si intende blindare un perimetro, ma stimolare in modo inclusivo, poroso, intelligenza collettiva di un percorso agli albori.
Ed in corso, grazie a Fondazione Compagnia di S. Paolo, primo grande investitore sociale italiano che scende in campo sul tema con un progetto strategico longitudinale, una ricerca per l’emersione delle sensibilità, pratiche e competenze nel territorio del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta che sfocerà in un rapporto. Primo passo per delineare un percorso di creazione di un ecosistema territoriale, che intendiamo estendere ad altre regioni.
In concomitanza con il lancio del progetto, è venuto a mancare uno dei vostri compagni di viaggio, il Maestro Ezio Bosso. La musica come necessità, per ricordarci che siamo nati per stare insieme… “La musica come terapia sociale”, ci spiega questa sua visione?
C.S: Ezio Bosso, negli ultimi quindici anni, è stato per me un amico, che mi manca profondamente. La sua ricerca ha sempre attraversato discipline, linguaggi, epoche. Nell’arte con il teatro, la danza, il cinema, le arti visive. Dai sodalizi con Jean-Michel Folon e David Tremlett. Con altri mondi, come l’architettura e le neuroscienze. Si è impegnato, senza riduzionismo, senza temere contaminazioni tra cultura alta e bassa, nella divulgazione, con l’obiettivo di coinvolgere pubblici sempre più ampi. Con lui, nel corso dei cinque anni che dal 2011 ha trascorso a Torino a Palazzo Barolo (sede dell’omonima Opera che da 160 si occupa di inclusione sociale), abbiamo sviluppato progetti con enti del terzo settore, nelle periferie urbane per contribuire a cancellare periferie esistenziali. Nella visione di Sen, Nussbaum, Appadurai, Ostrom. Pensatori che amava. Abbracciava la frase di Giuseppe Pelli Bencivenni, direttore degli Uffici nella seconda metà del ‘700 “avvicinate tutti alla bellezza, affinché sappiano specchiarsi, riconoscersi e riprodurla nella vita”. Antesignano dell’empowerment e della capacitazione. La musica come ascolto di sé, dell’altro. Quindi fattore di coesione sociale.
Ci potete indicare alcuni esempi, tra i più significativi, di esperienze di welfare culturale tenutesi in Italia, che possono essere considerate come interessanti case studies? Cosa queste pratiche possono contribuire a delineare soprattutto in comunità svantaggiate (come quelle che animano ospedali, case di cura, carceri…)?
C.S e A.C: Come indichiamo nel nostro contributo al rapporto Symbola “Io sono Cultura”, nel mondo, sono numerose le esperienze che possiamo considerare di welfare culturale. In Italia, pratiche di arte e patrimonio culturale per il benessere e la salute sono numerose e consolidate dagli ultimi due decenni soprattutto in Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana e Lazio. La Provincia Autonoma di Bolzano, già dal 1996, è stata l’apripista di sperimentazioni che hanno influenzato le politiche culturali volte al miglioramento della qualità della vita delle persone e delle Comunità. Sono state realizzate con continuità da anni, dentro e fuori dai luoghi della cultura, dentro e fuori i luoghi della cura. Negli ospedali si narra, si legge, si fa musica, danza, teatro. Musei e teatri offrono percorsi esperienziali a persone con patologie degenerative e ai loro carer. Crescono i progetti artistici che nei territori coinvolgono scuole, carceri, comunità svantaggiate per una rigenerazione umana in tutto l’arco dell’esistenza, dal periodo perinatale alla quarta età, e il cui rapporto fra costi ed efficacia si va confermando molto favorevole.
Alcuni sono riconosciuti come buone pratiche di promozione della salute e di medical humanities, ma essendo la maggior parte di piccole dimensioni e frammentari fino ad oggi sono state privi della capacità di orientare la decisione politica. Come afferma l’economista della Cultura Pier Luigi Sacco, associate founder CCW, “ciò che manca è la capacità di metterle a sistema in un contesto territoriale e farne elemento trainante di una nuova strategia di qualità sociale che alimenti il ridisegno in corso del welfare, un welfare generativo”. Occorre favorire il passaggio dalle piccole, numerose sperimentazioni pilota, alla messa a punto di vere e proprie politiche territoriali, per consentire a queste pratiche di produrre un impatto. Per generare innovazione sociale occorre trasformare la pratica in politica.
Tra le best practice – inclusa nei casi di interesse scientifico nel rapporto OMS e nel rapporto Symbola –, citiamo in primis Dance Well – movement research for Parkinson, progetto ideato e promosso da Roberto Casarotto del Centro per la Scena Contemporanea Casa della Danza di Bassano del Grappa. Il percorso, in dialogo con le diverse strutture sanitarie, ha radici in sperimentazioni condotte con successo da quasi venti anni negli USA e nei Paesi Bassi. Dal 2013, le persone che vivono con il morbo di Parkinson, i loro carer e tutti coloro che desiderano unirsi, in accessibilità universale, si incontrano nelle sale del Museo Civico, per danzare insieme tra i capolavori di Canova. L’arte è “espressione del proprio corpo. I partecipanti sono “dancers” e proprio come danzatori – non come “persone col Parkinson” – affrontano le classi di danza” e nel contempo migliora il loro senso dell’equilibrio e del movimento, si sviluppano relazioni interpersonali e si spezza l’isolamento. Dal 2015 è esportato in altri territori nel nord Italia e nel 2019 è arrivato in Giappone, al Metropolitan Art Museum di Tokyo, a Kyoto e Kanazawa.
Cammina oltre la Regione in cui è nato anche il progetto Musei Toscani per l’Alzheimer, una rete di oltre 60 musei che sviluppano con i propri Dipartimenti educativi attività per le persone con demenza e per coloro che se ne prendono cura, condotta da professionisti con competenze specifiche ed esperienza nella geriatria e cura delle demenze, così come nell’ambito artistico, educativo e museale. Questa ibridazione consente di elaborare attività inclusive che coinvolgono i carer, rafforzandoli negli approcci relazionali per gestire questa complessità. Non solo visite speciali al museo, ma un itinerario partecipato lungo mesi, di interazione creativa e sensoriale con le opere d’arte. Il progetto prende avvio agli inizi del 2000 al Mo.Ma di New York, cuore di una strategia di accessibilità universale, anche per persone con disabilità cognitive che ha registrato impatti nella qualità della ricerca artistica, come nella qualità della vita delle persone affette da demenza e di chi se ne occupa, per passare a sperimentazione di terapie della reminiscenza e all’interazione creativa. In Italia guidano lo sviluppo due musei fiorentini: Palazzo Strozzi e Marino Marini, project leader del progetto di formazione superiore Erasmus+ «MA&A Museums Art & Alzheimer’s», che ha coinvolto cinque paesi europei tra il 2015 e il 2017.
Cresce – ed è un dato della massima rilevanza – il numero di esperienze che sono riconosciute e sostenute dalle istituzioni regionali e locali.
Durante la prima fase dell’emergenza sanitaria, sono emerse forme di welfare generativo spontaneo (canti e musica dai balconi, organizzazione di attività sportiva collettiva, proiezioni cinematografiche sui muri dei palazzi…). Quale valore attribuite a queste pratiche? Quale dinamica si è spontaneamente attivata, a seguito del lockdown e al cambiamento degli stili e delle abitudini di vita?
C.S e A.C: È stata pura meraviglia, una spinta al desiderio di comunità, di investimento negli ideali che si contrappone al populismo. Ma è un fenomeno che ha radici nell’ultimo decennio. Cura e Comunità sono risorse cardine. La fragilità che abbiamo esperito, l’economia di “scarsità”, secondo autorevoli osservatori, sta portando molti individui a dare meno importanza alle proprie necessità e molta più all’espressione della propria valenza identitaria, sia individuale che collettiva. È una grande discontinuità, supportata dall’innovazione tecnologica. Ma l’innovazione sociale la precede. Facciamo nostro il pensiero del prof. Pier Luigi Sacco (un Maestro, membro del CCW), presentato in una recente lezione alla Fondazione Scuola dei Beni Culturali che evidenzia la grande discontinuità in corso. Sta emergendo un nuovo paradigma, quello della “connessione”. Per rendere l’esperienza esteticamente compiuta, ci connettiamo in modo significativo a soggetti, comunità, sistemi di valori, che per noi sono importanti. Discutere sulle modalità linguistiche e formali attraverso cui questa connessione viene raggiunta non è centrale per valutare l’esperienza estetica, ma lo è il processo che viene innescato da questo tipo di fenomeno. Nel caso della modalità estetica della connessione, l’impatto sociale non è una conseguenza più o meno desiderabile dell’esperienza estetica, ma è la stessa esperienza estetica.
Nel ragionare soprattutto sul rapporto tra Cultura e Salute si tocca questa specifica modalità estetica della connessione: l’esperienza è compiuta nella misura in cui non si limita a manifestare un’intenzione, ma produce una risposta di cambiamento comportamentale, tema peraltro rintracciabile già nel teatro Greco. Pensiamo alla funzione dell’orchestrazione teatrale per far emergere dilemmi sociali e individuare in modo partecipato le soluzioni. Oggi le scienze comportamentali e le neuroscienze dimostrano quanto le persone rispondono a determinate forme di esperienza, come quelle legate alle arti performative. Ci consentono di comprendere come diverse esperienze culturali costituiscano delle vere e proprie strade per la creazione di ricompense elargite per esempio dal nostro sistema endocrino, che influenzano il funzionamento di tanti sistemi della fisiologia umana. Anche l’epigenetica, la scienza che studia l’evoluzione del comportamento dei geni in relazione ai contesti esperienziali, ci porta a capire in modo molto chiaro il valore di queste esperienze profonde e complesse. La relazione tra esperienze culturali e biologia è particolarmente evidente nel campo della musica, dove esiste ormai una vera e propria neuroscienza dell’esperienza musicale connessa a importanti tematiche come la terapia del dolore. Sono relazioni di ampio interesse scientifico che consentono di progettare contesti di esperienza.
La dimensione comunitaria diventa a tutti gli effetti la precondizione per la partecipazione culturale e quindi è connessa alla costruzione di legami sociali, estremamente rilevanti dal punto di vista del rapporto tra cultura salute e benessere.
Ragionare sul rapporto Cultura-Salute significa immaginare nuove forme di collaborazione tra professionisti culturali, artisti e scienziati, protocolli di sperimentazione.
Non si tratta di piegare la Cultura a ruoli di supplenza di politiche sociali e sanitarie, di strumentalizzare l’esperienza culturale, ma di riconoscerle un ruolo sociale per il benessere delle Persone e delle Comunità che può fare la differenza nella società contemporanea – per le organizzazioni, per i professionisti e per gli artisti – attraverso una nuova modalità esteticamente compiuta. Iniziando a pensare ad una prospettiva di welfare culturale per affrontare le grandi sfide, come l’invecchiamento attivo, che ha costi sociali e umani fortissimi (anche umani, perché le persone anziane, anche ben curate, hanno spesso una vita deprivata socialmente). Pensare a forme di partecipazione culturale può migliorare la risposta emozionale e cognitiva, la qualità della vita delle persone, la qualità dei percorsi di cura, ma anche la prevenzione, per ridurre i tassi di ospedalizzazione e medicalizzazione.
Contrapposto alla “democraticità” del virus, che non è stato fermato da nessuna frontiera e che ha colpito senza distinzioni di razza, ceto, in ogni angolo del Pianeta, c’è l’accentuazione della diseguaglianza sociale che si è manifestata in materia di istruzione, in seguito alle nuove modalità che sono state messe in atto con la chiusura di scuole, istituti ed accademie e con la pratica della didattica a distanza, basata su strumentazioni e possibilità diverse per ogni studente. Come intendete affrontare l’approccio al mondo dell’educazione?
C.S e A.C: CCW ha due sedi operative in luoghi dell’innovazione sociale, in cui intende essere biologicamente attivo. A Torino nel BAC-Barolo art for community inserito nel Distretto Sociale Barolo, una cittadella della solidarietà, un ampio comprensorio attivo ininterrottamente dal 1823 a favore delle persone in difficoltà. E al Farm Cultural Park che ha dato nuove energie a Favara, in provincia di Agrigento. Questi saranno contesti di ricerca-azione. La povertà educativa è uno dei problemi più grandi della società contemporanea, una frattura del corpo sociale che condiziona lo sviluppo. È molto più della povertà economica a cui è legata. Priva i bambini di apprendere, scoprire e coltivare i propri talenti e può essere contrastata rafforzando le comunità con percorsi di inclusione sociale. Secondo “Save the Children”, il numero dei bambini in povertà educativa in Italia, con questa crisi, potrebbe triplicare.
Diseguaglianze educative corrispondono a diseguaglianze nella Salute. Una consolidata evidenza oggettiva mostra che gli indicatori di Salute degli individui migliorano con il crescere del grado d’istruzione, intimamente correlato con lo stato socio-economico: chi è più ricco e istruito tende ad avere anche un migliore stato di Salute. Anche il ricorso appropriato alle prestazioni sanitarie è correlato al livello di istruzione: l’uso delle strutture sanitarie non sembra dipendere tanto dall’effettivo bisogno di cure ma piuttosto dalla capacità dei cittadini di conoscere i servizi offerti e di essere in grado di accedervi. L’esperienza Covid lo ha confermato.
Per quanto riguarda la formazione, seguendo enti del Terzo settore che se ne occupano, abbiamo vissuto in diretta l’accelerazione della riconversione didattica digitale, come la riprogettazione per il nuovo anno scolastico. La vera risorsa è creare comunità educante, partendo dalle famiglie. Senza lasciare indietro nessuno, sostenere la genitorialità. Occorre pensare ai problemi concreti delle persone sapendo che la bellezza è un motore, non è effimera esteriorità, nemmeno rispondenza a un canone estetico. Svolge una funzione fondamentale nella crescita delle persone. “Bread and roses”. Lo vediamo nel lavoro straordinario che abbiamo citato dell’Impresa Sociale “Con i Bambini”, nata per contrastare il fenomeno. Tra i 18 progetti vincitori dell’ultimo bando nazionale “Un passo in avanti”, un progetto emblematico è partito a maggio, “Di Bellezza si vive”, di cui Ugo Morelli è direttore scientifico. Punta a creare metodi educativi originali, basati sull’esperienza estetica per favorire l’espressione del potenziale dei bambini, cognitivo, emozionale, comportamentale a prescindere dal contesto sociale ed economico in cui sono nati e in cui crescono. Sperimentazioni, validate scientificamente, declinabili da Nord a Sud, con stakeholders pubblici e privati, oltre all’epifania del singolo progetto, pensate per diventare politiche. Completamente in sintonia con il nostro pensiero.
Come diciamo nel rapporto Symbola, resta però molto da fare, perché il Welfare culturale si innesti nella quotidianità del Paese. Occorre superare la frammentarietà delle informazioni, l’approccio fondato solo sul mosaico delle buone pratiche e puntare ad azioni di sistema. Occorre investire per consolidare la robustezza delle evidenze, per espandere, consolidare e trasferire le competenze, per progettare un sistema strutturato di servizi che moltiplichi la portata dei fattori salutogenici e che li renda accessibili, saldando il terribile social divide che esclude dalla salute più di cinque milioni di persone in condizioni di deprivazione; che alleggerisca il fardello della cura con soluzioni più sostenibili, più giuste, più efficaci. Riconoscendo il ruolo portante della Cultura nello sviluppo umano e sociale.
Catterina Seia. Fonda nella primavera del 2020, con dieci esperti multidisciplinari, il Cultural Welfare Center di cui è Presidente.
Solida formazione economica e studi sociologici, si è sempre occupata di Persone. Pioniera nei cross over culturali, dal 2010 è impegnata nell’innovazione sociale, agendo per un ruolo strategico della cultura come contributo al welfare. Opera in contesti ad alta complessità con istituzioni pubbliche ed enti filantropici a favore delle fasce deboli, in prevalenza donne e minori, in diverse infrastrutture sociali (luoghi di cura, scuole, RSA, housing, Case Accoglienza…), con progetti replicabili e replicati di rigenerazione urbana e sociale attraverso l’empowerment delle Persone e Comunità.
È co-founder della Fondazione Medicina a Misura di Donna, ente per l’umanizzazione della cura e dei suoi luoghi, nella quale ha attivato la piattaforma di ricerca-azione sulla relazione virtuosa tra “Cultura e Salute” (oltre 90 istituzioni culturali, a fianco di competenze medico-scientifiche, antropologi, economisti della cultura e artisti). L’Ente ha sede all’ospedale S. Anna di Torino, il più grande dedicato alle donne in Europa, oggi riconosciuto dalla letteratura scientifica come un “hub di innovazione sociale”.
Contribuisce a Torino alla creazione nel 2011 del Polo PARI-arti relazionali e irregolari, presso l’Opera Barolo, che mette in rete soggetti, competenze, processualità e patrimonio delle “arti di confine” prodotte fuori dai circuiti ufficiali, operando in stretta connessione con centri socio-sanitari-assistenziali, la facoltà di Antropologia dell’Università di Torino e la cattedra di Design sociale del Politecnico di Torino.
Dal 2010 entra nella Fondazione Fitzcarraldo, ente di ricerca sulle politiche culturali, del quale è Vice Presidente dal 2013.
È consulenze di grandi company per la definizione e realizzazione di strategie di HR-Welfare aziendale per culture inclusive, con focus sull’ability discovery e l’autonomia delle persone con disabilità.
Collabora dal 2010 con il Giornale dell’Arte per il quale ha curato cinque Rapporti annuali e le relative pagine web su Fondazioni e Arte-Impresa (che gestisce). Ha diretto, fino a gennaio 2019, il Giornale delle Fondazioni che ha ideato nel 2011, con il quale tra gli altri temi si è occupata di Welfare Culturale. Dirige dal 2019 le pagine mensili di approfondimento, #letturelente di AgCult.
Collabora con alcune università in percorsi di Master. Siede in diversi consigli di amministrazione e scientifici, tra cui IBSA Foundation per la curatela di un percorso triennale su Cultura e Salute, varato nel marzo 2020 dal Cantone del Ticino.
A questo percorso è giunta da una carriera manageriale nel settore bancario dal 1980, da una realtà locale a un gruppo paneuropeo. Da esperto in finanza a responsabile dello sviluppo organizzativo, poi Direttore Centrale del Learning Center e Comunicazione strategica di Banca CRT e a seguire di UniCredit Private Banking. Nel 2003 idea e conduce il progetto UniCredit & Art, per la gestione strategica degli investimenti culturali internazionali e della collezione dell’omonimo Gruppo, in 22 paesi – con un forte focus sulla cultura d’impresa, sulla responsabilità sociale, sull’innovazione.
Annalisa Cicerchia è una economista della cultura, e dai primi anni Novanta si occupa di valutazione di impatto delle politiche culturali, di indicatori culturali e del rapporto fra cultura, arte e benessere. Partecipa dal 2019 al progetto Horizon 2020 SOPHIA – Social Platform for Holistic Heritage Impact assessment. Dal 2017 dirige presso l’Istat una linea di ricerca su “Cultura e ambiente: impatto sulla salute degli individui” nell’ambito del Laboratorio “Le trasformazioni del welfare state: i modelli esistenti e la loro evoluzione”. Insegna management delle attività culturali presso l’Università di Roma Tor Vergata e tiene lezioni di statistiche per le politiche culturali presso RomaTre e presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione. È tra i soci fondatori del Cultural Welfare Centre.