MILANO | Grand Visconti Palace | Dal 19 giugno 2012
Il progetto ONE nasce intorno e dentro una grande cornice. Di quelle preziose di una volta, di quelle destinate a contenere ritratti importanti e storie da raccontare. E quale storia merita di essere raccontata più di quella della nostra vita? Anche quelle apparentemente più ordinarie, nascondono pennellate originali e colori inaspettati.
Lo stesso punto di vista uguale per ogni fotografia, dove a rendere unico lo scatto sono le cose che ci rappresentano, gli oggetti e le persone che amiamo, che ci raccontano, che ci definiscono. In meno di 6 mesi la cornice ha ospitato 356 persone , 2 cani, 1 gatto, uno Zoo, 5 neonati, 1.354 lattine di birra, 23 valigie, 2 frustini, 3 biciclette, 12 dischi d’epoca, 45 pupazzi, qualche pagliaccio, gente non meno folle ma anche seri professionisti. 111 scatti per 111 diverse storie. Affidandosi solo a facebook in poco tempo la pagina di Hyperactive Studio ha registrato oltre 2000 contatti, con una crescente richiesta di finire immortalati e finire immortalati e “appesi al muro”. Un progetto che si è sviluppato solo grazie al passaparola: chi ci ha visto un luogo per esprimersi, chi uno spazio per raccontarsi, chi voleva semplicemente esserci.
E la sfida di scegliere quei pochi oggetti capaci di riassumere se stessi e la propria vita. Un lavoro di sintesi affascinante, una caccia alle priorità e la possibilità di scegliere quello per cui si vuole essere ricordati. Un’operazione che, senza pretese sociologiche, ci regala un piccolo spaccato della società di oggi e ci permette di osservare un po’ il quadro della situazione tra famiglie, single, amici, personaggi famosi e persone comuni, gente che scherza con il fuoco e gente che il fuoco lo spegne, scienziati e creativi, pupazzi e burlesque, ballerine e rugbisti, musicisti, scrittori, gli oggetti di ieri e i progetti di domani. Mauro Turatti e Mattia Giani li hanno semplicemente messi i cornice per raccontare le storie di chi, ogni giorno, cerca di fare della propria vita un piccolo capolavoro.
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Sono gli anni del vintage, di Instagram, del “biologico”, della fine del mondo o quantomeno dell’epoca delle “vacche grasse”. Che cosa sappiamo veramente di noi e di ciò che possiamo definire autentico e ancora “originale”? In questa nuova Belle Époque, sempre più frenetica e nostalgica, ci troviamo ancor più con-fusi in termini di identità: spaesati per definizione, globalizzati e appassionati di kilometri-0 e nel continuo dis-incontro tra passato e futuro, tra tradizioni locali e interculturali, negli usi comuni come nel linguaggio delle arti. L’accelerazione dei processi di comunicazione ci pone nella condizione di essere sempre reperibili e contattabili. In questo modo la distinzione tra tempo pubblico e tempo privato tende a cadere: ci troviamo ad assistere ad una vera e propria “pubblicizzazione del tempo privato” e ad una messa in forma dell’intimità. In questo continuo imbarazzo, fra iperreale e surreale, cosa spinge un phôtòs-gràphô a raccontare “chi siamo”? Il tentativo è di tradurre qualcosa di più consistente, qualcosa che parli -al- presente, alla ricerca di una “luce propria” con cui l’uomo contemporaneo possa nuovamente vederSi brillare. In queste premesse gli “iperattivi” trovano pane per i loro denti, offrendo l’opportunità solenne, la cornice magica, appunto, di soddisfare la necessità di presentarsi come “qualcuno di unico e di irripetibile” e, contemporaneamente, attraverso la proliferazione mediatica, l’esigenza di riferirsi a un “noi”’ collettivo, che ci guarda. Si crea quindi una doppia presenza: da una parte un luogo di riflessione anche intima, ove comporre la sintesi del proprio rapporto con “il mondo delle cose”: il proprio personale “inno alla vita”; ma contemporaneamente un luogo di affermazione pubblica, l’ufficio dove registrare la propria dichiarazione di “esistenza in vita”. La dimensione individuale sembra così intrecciarsi continuamente con una dimensione collettiva, mettendo “in luce” il bisogno di appartenenza ad un gruppo; di favorire la creazione di “comunità psicologiche” che vanno a sostituire le comunità di vicinato, determinando così una sorta di “prossimità simbolica”. Il phôtòs-gràphô, ancora, prova a ri-partire dallo sguardo, quale primo ancestrale strumento per identificarsi e, in esso, farsi riconoscere. Andrea Zoccarato
ONE – One life, one frame, one picture: 111 stories
un progetto di Hyperactive Studio
Grand Visconti Palace
via Mantova 12, Milano
Inaugurazione martedì 19 giugno, alle ore 19.00
Dal 19 giugno 2012
Info: +39 02 36635750 – press@mandalacp.it
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