MILIEU EDIZIONI
di Deianira Amico
Nel sessantesimo dalla nascita di Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto 1956 – Montepulciano 1988) Roberto Farina è autore di un volume per la collana “Tutto Pazienza” pubblicata da Repubblica e prodotta da Fandango per la cura di Giovanni Ferrara e Oscar Glioti.
I conoscitori di Andrea Pazienza forse non troveranno ne I Dolori del Giovane Paz (Milieu, 2016; prima edizione Coniglio, 2005) grandi rivelazioni; coloro che invece ne conoscono parzialmente l’opera non si aspettino una biografia scrupolosa del grande fumettista italiano.
Roberto Farina, l’autore, ha raccolto decine di testimonianze di chi ha conosciuto, amato, studiato, lavorato con Pazienza, trasformando il materiale in un libro di racconti scritto con l’agilità linguistica ed il cannibalismo letterario di un fumetto, popolato di altrettanti registri e personaggi, interpreti reali e fittizi del mondo di Paz.
È lo stesso Farina ad instillare il ragionevole dubbio si tratti di una raccolta di contributi più o meno d’invenzione citando in epigrafe Jusep Torres Campalans, il pittore ideatore del cubismo inventato di sana pianta da Max Aub, protagonista di una vicenda di cronaca sensazionale ed autore di un’indimenticabile lezione letteraria: la veridicità di una biografia, la storia più segreta che possa esserci, è nel suo farsi racconto, intreccio di memorie e trame fittizie.
Come in un vivace convivio – tra i partecipanti Jacopo Fo, Sergio Staino, Marina Comandini, Roberto Freak Antoni, Filippo Scòzzari, Marcello Jori, Roberto Vecchioni – nel libro si alternano aneddoti biografici e contributi critici capaci di far emergere quel “sedimento personale e collettivo” (Oscar Glioti) che caratterizza l’arte di Pazienza.
Più d’un intervistato – ci racconta Roberto Farina – ha sottolineato l’importanza della bugia nella vita di Pazienza. “Mentire è la prima cosa che il tossicomane impara a fare”, hanno detto. Mentire non solo per trovare i soldi, come fece Paz con Staino quando gli chiese un prestito inventandosi un debito con l’Erario, ma mentire per stringere un’amicizia che potrebbe condurti a uno che forse conosce un altro che forse conosce uno che può procurarti una dose; mentire ai familiari, alla donna che ami e anche agli amici per convincerli che tutto è sotto controllo, che tu non pagherai per i tuoi errori, che i nodi arrivano al pettine, okay, ma non per te, perché tu sei forte e felice. Mi ha sempre affascinato questa dualità in Paz: da una parte una vita costellata di piccole e grandi bugie (come quella di molti di noi, del resto), dall’altra un’opera sincera e coraggiosa. Con i suoi bianchi e neri infernali Andrea Pazienza ci ha detto sempre la verità, mostrandoci non solo la sua verità privata, ma la verità assoluta insita nella bellezza.
Pazienza, il “dannato circondato da nuvolette azzurre” (Claudio Lolli), icona della generazione del ’77 (oggi “vampirizzata dal mercato globale”, Gianni Canova), degli anni del “Movimento” di agitazione politica (“una sera Andrea venne a casa mia e mi disse di non essere mai stato comunista”, Bifo) e di concitazione letteraria, quando l’editoria, tutta, aveva un significativo peso specifico (“mia madre si leggeva Carlo Cassola e i rotocalchi. La gente passava da Faulkner a Topolino”, Francesco Coniglio) e l’arte non era affare borghese (“Andrea lo diceva che i fumetti potevano arrivare a tutti e che invece i quadri finivano nel salotto dei farmacisti”, Roberto Perini).
Funge da cornice al consesso la storia di un’altra giovinezza, anch’essa in parte emblema, come per la vita di Pazienza, di una vicenda individuale e generazionale: si tratta della parabola dell’educazione (o diseducazione) sentimentale e dell’iniziazione all’arte di Roberto Farina e di chi come lui da ragazzino al volgere degli anni Novanta andava in “fumetteria” a comprare Mystère o Alan Ford ma di sbieco guardava i Frigidaire; di chi scopriva adolescente nella leva dei vecchi “drughè” esperienze di vita, di dolore, dignità e libertà; di chi si appassionava all’arte e si affezionava all’umanità più “interessante” dei perdenti e dei “marginali” grazie ad uno dei più lucidi e tormentati umoristi – perché l’umorismo è la cortesia della disperazione, scriveva Chaval – della propria epoca, Andrea Pazienza.
Pensando ai conoscitori di Paz ed a chi vi si accosta adesso, abbiamo chiesto a Roberto Farina di raccontare come in una strip un momento del libro che potrebbe essere illustrato con i tre personaggi cult Zanardi, Pompeo e Penthotal.
Vincenzo Sparagna e Vincino una sera entrarono nell’albergo di Roma dove Paz alloggiava: andavano a cercare l’amico, che non si era presentato a un appuntamento. Fu detto loro che il signor Pazienza era da tutto il giorno nella sua stanza e che per pranzo aveva ordinato solo un tè con del limone a parte.
“Chiamate un’ambulanza!” risposero in coro Sparagna e Vincino.
Ecco la strip: Pompeo è Paz in overdose, riverso nel letto disfatto.
Penthotal compare nel taschino del Loden appeso al muro di quella camera d’albergo: nella carta d’identità vediamo un ragazzo sano, baffuto, sorridente. Il giorno in cui quella fototessera era stata scattata non era lontano, ma chi si ricordava più della gioventù?
In quanto a Zanardi, lui ascolta impassibile Sparagna, Vincino e gli infermieri darsi da fare nella stanza accanto. Fuma alla finestra, guardando il viavai di comparse in strada. Anche lui si è appena bucato, ma ha calcolato con esattezza la dose. Non che ami particolarmente la vita, ma trova che la morte sia una faccenda da perdenti.
Titolo: I Dolori del Giovane Paz. Biografia a più voci di Andrea Pazienza
Autore: Roberto Farina
Editore: Milieu
Anno: 2016
Pagine: 176
Costo: 14,90