#DesignGioiello
Intervista a LUISA BRUNI di Daniela Trincia
Trasferitasi da qualche anno a Torino, Luisa Bruni (Roma, 1971) ha fatto del gioiello una vera e propria espressione artistica. Personali visioni ed emozioni sono tradotte nella tridimensionalità del monile che le concede una grande libertà creativa. Luisa Bruni ha dovuto far i conti con le tacite restrizioni degli anni Novanta che l’hanno incoraggiata a orientare la sua ricerca verso quello che, per antonomasia, è il più superfluo accessorio, nel quale è riuscita a convogliare tutte quelle suggestioni assimilate dalle diverse discipline della storia dell’arte. E gli elementi chiave delle sue creazioni sono: la natura; il tempo, inteso come attimo; la poesia; lo stupore. Ma è la stessa Luisa Bruni a raccontarsi.
Prima di parlare dei tuoi lavori, facciamo un po’ il punto della situazione circa i tuoi ultimi e futuri impegni.
I primi di novembre ho preso parte ad un’importante fiera ad Amsterdam (www.sieraadartfair.com/cms/). Fino al 24 dicembre, nell’ambito di una collettiva di dodici artisti allestita da internocortile (www.internocortile.it), una galleria di Torino che fonde arte e design. Mentre il 13 dicembre, sempre a Torino, un nuovo punto vendita di ottica inaugura con una piccola retrospettiva di mie creazioni.
Adesso la classica domanda: come mai hai scelto di dedicarti al gioiello?
È stato per caso. Nei primi tre anni dell’Istituto d’Arte ho studiato oreficeria, mentre negli ultimi due moda. Ho poi frequentato l’Accademia delle Belle Arti perché volevo fare l’“artista”. Finita l’Accademia, mi sono iscritta alla Scuola dell’Arte della Medaglia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e, nel frattempo, ho iniziato a lavorare la cera e a realizzare i primi lavori riferiti al gioiello. Durante l’Accademia ho studiato pittura, però con il gioiello e la cera ho “scoperto” che la tridimensionalità mi si addiceva di più perché, creando gioielli, ho capito che nelle piccole dimensioni ero più libera di realizzare cose che nelle arti visive tradizionali non avrebbero avuto la stessa accoglienza.
Quindi, quello che ti ha attratto è la libertà creativa?
Sì, mi sento più libera principalmente perché nel gioiello, al di là della tecnica, posso comporre degli oggetti che nel piccolo funzionano mentre nel grande molto probabilmente non avrebbero senso. E uso il piccolo formato per produrre delle sculture. Ho trovato così il mio mezzo espressivo.
Mi affascina molto che nei tuoi lavori ci sia la trasposizione degli elementi naturali…
Anche questo è stato molto casuale. Nel 2010 partecipai ad una mostra dal titolo Natura e artificio e per me l’artificio consisteva proprio nella riproduzione della natura. Ho pensato subito allo stagno, all’acqua di Cra… cra…
Un semplice stagno? Non è ispirato a Monet?
Monet è venuto dopo. Nel senso che, nel mio immaginario, la rappresentazione di uno stagno è realizzata in quel modo: acqua e ninfee. In seguito ho considerato che fosse molto vicino a Monet. Sicuramente perché mi appartiene, fa parte della mia identità. Comunque quello che più desideravo era ricreare un attimo di vita di questo stagno, e ci sono riuscita attraverso l’espediente del titolo. Perché in realtà nel lavoro la rana non c’è, ma è evocata, e mentalmente prefigurata, attraverso di esso.
Quando hai sentito la scarto da gioiello tout court a gioiello d’arte?
È complicato da identificare. Agli inizi realizzavo le cere per gli orafi. Ad un certo punto mentre realizzavo lavori d’arte, nel senso classico del termine, e gioielli ho sovrapposto le due cose e ho iniziato a creare gioielli a cui univo l’arte. Il primo è stato Atollo: un anello con la base di resina sulla quale ho riprodotto le increspature del mare e gli isolotti che emergono da essa. È stato il primo tentativo di fare un gioiello diverso, suscitando multiformi suggestioni (come nel caso di The Sound of Silence).
Che intendi per diverso?
Solitamente il gioiello è inteso come oggetto decorativo, piacevole, lezioso, niente altro di più oltre quello che si vede. Mentre Atollo è sì un oggetto ma, in realtà, è una scultura. Inoltre con i gioielli ho scoperto, e ne ho sentito la necessità, dei titoli che in arte non ho mai assegnato. Solitamente realizzo anche delle serie di tre: una stessa forma declinata con diversi materiali per creare nuove suggestioni. Perché desidero che essi suscitino delle emozioni. Mi piace quando una persona prende una mia creazione, la indossa ed è felice. Per questo, c’è una distinzione fra gioiello d’arte e quello di artista. In quest’ultimo caso, infatti, non esiste ricerca né sperimentazione ma si ha la meccanica trasposizione del linguaggio dell’artista nel gioiello.
Però c’è sempre un forte richiamo alla natura…
Perché gli atteggiamenti umani mi interessano di meno poiché in essi c’è poca poesia, che è il motore di tutto. Quando c’è poesia, entri in un mondo altro, in una dimensione diversa. In realtà non è né ispirazione né trasposizione: sono momenti. Momenti da me immaginati come di serenità. Che non è sempre facile da realizzare. Per esempio la serie Plink! ha avuto due anni di gestazione.
Info: www.luisabruni.com
Gallerie di riferimento:
Internocortile, Torino
Alternatives Gallery, Roma