MILANO | Triennale di Milano | 2 aprile – 12 settembre 2016
di LUISA CASTELLINI
Una forma primordiale, l’uovo, per iniziare a tessere il racconto della sua “filosofia dell’abitare” alla Triennale di Milano. Un’idea che riporta alla nascita, a quella percezione dentro/fuori che si articola attraverso stanze, case e spazi fino ad abbracciare, idealmente, il mondo intero. Perché digitalizzazione e performance non cambiano l’uomo, che resta un essere di carne e sangue e la nostra comfort zone deve essere l’atmosfera del pianeta.
Come nasce e si articola il tuo progetto per la mostra Stanze” alla Triennale?
Il mio progetto nasce dalle sollecitazioni del curatore Beppe Finessi di pensare a una camera da letto sui precedenti storici di Mollino e Sottsass. Conoscendomi molto bene, Finessi sapeva come stimolarmi, ed infatti il progetto che ne è venuto fuori, se pur diversissimo, risente dell’influenza latente di due giganti che ho sempre avuto come riferimento.
Quali sono oggi i cardini della tua filosofia dell’abitare?
Ho sempre pensato che il nostro senso dello spazio nasca dall’esperienza uterina e che questa percezione da dentro a fuori sia il cardine della filosofia dell’abitare. La comfort zone di un corretto stadio evolutivo finisce per essere inevitabilmente l’atmosfera del pianeta: è questa la casa che oggi dobbiamo preservare, qualsiasi altro particolarismo è deviante.
Cosa ricordi della casa in cui sei cresciuto? Quale sensazione, immagine o profumo lega gli spazi che hai abitato e abiti?
Sono cresciuto in più case ma sempre all’interno della mia numerosa famiglia. Il mio senso dello spazio è stato quindi sempre legato all’affettività dei luoghi, percepiti come contenitori di emozioni. Ho usato il design come vettore di emozioni, come parole tridimensionali.
Il design come il montaggio di un buon film. Quale proiettiamo?
Come nel cinema e nella matematica, nel design esistono sistemi lineari e non lineari per raccontare una storia. Io per natura mi sento più vicino ai sistemi non lineari, ai salti narrativi, all’imprevedibilità del risultato. Pur apprezzando i maestri del piano sequenza me ne tengo abbastanza lontano.
Quali sono le sfide che l’architettura e il design sono chiamati a riconoscere e ad affrontare domani?
Architettura e design devono tornare ad essere costruiti come spazi attorno all’uomo. Un uomo sicuramente più digitalizzato, che richiede performances sempre più intelligenti, ma fatto ancora di carne e sangue.
In che modo si differenzia il rapporto con il tempo tra architettura, design e arte?
Non ci trovo molte differenze. E credo che non sia neanche questo il punto. La vera evoluzione è accettare l’invecchiamento, sottolineare la datazione dell’opera. È sempre il contesto che definisce un capolavoro.
L’uovo e la gallina. La creatività e la committenza. Quali sono gli equilibri?
Ho sempre vissuto il mio rapporto con la committenza paragonandolo allo sponsor sulla maglia dell’atleta. Non ne nego l’importanza e ringrazio per la generosità, ma poi lo sforzo quotidiano in funzione del gesto memorabile spetta all’atleta.
Il design viene da tempo battuto all’asta come le opere d’arte raggiungendo cifre da capogiro. Cosa ne pensi?
A questo proposito penso che ci sia sempre meno corrispondenza tra gli artefatti ed il loro valore, e che le logiche speculative stiano all’arte come il doping sta allo sport.
Qual è il tuo rapporto con l’arte contemporanea?
Mi piace rispondere con una bellissima frase di Maurizio Nannucci: “Tutta l’arte è stata contemporanea”.
*leggi il profilo di Fabio Novembre sul prossimo numero di Espoarte #92 in edicola ad aprile
XXI Triennale
Stanze. Altre filosofie dell’abitare
a cura di Beppe Finessi
in occasione de Il Salone del Mobile di Milano
Triennale di Milano
Viale Alemagna 6, Milano
2 aprile – 12 settembre 2016