E gli ultimi saranno i primi?!
Le nuove Partecipazioni Nazionali – Parte II
Repubblica Popolare del Bangladesh, India e Iraq
Parables / Parabole
Padiglione della Repubblica Popolare del Bangladesh
4 giugno – 27 novembre 2011
Titolo: Parables / Parabole – Cinque artisti del Bangladesh interpretano differenze culturali contemporanee
Artisti: Promotesh Das Pulak, Kabir Ahmed Masum Chisty, Imran Hossain Piplu, Mahbubur Rahman e Tayeba Begum Lipi
Commissari: Biggiero (Italia) & Tayeba Begum Lipi (Bangladesh)
A cura di: Paolo W. Tamburella & Mary Angela Schroth
Commissari onorari: Masud Bin Momen, Ambasciatore del Bangladesh a Roma
Organizzazione e produzione: Britto Arts Trust, Dhaka e Gervasuti Foundation, Londra – Venezia
In collaborazione con: Ministero degli Affari Esteri del Bangladesh, Ambasciata del Bangladesh in Italia, Bengal Foundation, Ambasciata Italiana in Bangladesh, Associazione Sala 1 Roma, Gervasuti Foundation
Luogo: Fondazione Gervasuti, Fondamenta S. Anna (Via Garibaldi) Castello 993, tra Giardini & Arsenale
Apertura al pubblico: 4 giugno – 27 novembre 2011. Martedì Domenica dalle 10:00 alle 18:00
Presentazione Stampa: 3 giugno 2011 18.00-21.00
Info:www.gervasutifoundation.org
Intervista a Paolo W. Tamburella
Viviana Siviero: In questo caso, il tuo è un impegno artistico sempre rivolto a popolazioni lontane e affascinanti: quale è stato esattamente il tuo ruolo e come lo hai affrontato?
Paolo W. Tamburella: la Biennale ha valore per qualsiasi Paese perché è un momento in cui persone da tutto il mondo confluiscono a Venezia. Solo l’eterogeneità dei Paesi basta a creare un confronto internazionale. Per il Bangladesh è la prima volta e, viste le difficoltà strutturali ed economiche del Paese, il fatto di riuscire a essere presenti è un buon risultato. Per Parabole si intendono diversi frammenti narrativi della complessa situazione del Bangladesh e del mondo in generale.
Il tuo è un punto di vista eurocentrico, i bengalesi non sono una popolazione lontana e affascinante. Sono parte del nostro tessuto sociale e il Bangladesh produce molti degli oggetti che il resto del mondo utilizza. Il mio ruolo di artista, e in questo caso di curatore, è di cercare di dare centralità agli esseri umani, alla loro storia individuale, alle tradizioni e alla cultura. Questo ha un senso per le Isole Comore, per il Bangladesh ma anche per Singapore o per gli Stati Uniti. Il mio ruolo di curatore – che condivido con Mary Angela Schroth – è stato quello di consigliare e guidare gli artisti in questa nuova avventura. Ho selezionato l’artista Promotesh Das Pulak che non era nella lista iniziale.
Gli artisti, Promotesh Das Pulak, Kabir Ahmed Masum Chisty, Imran Hossain Piplu, Mahbubur Rahman e Tayeba Begum Lipi che vivono e lavorano nella capitale Dhaka, sono fra i più interessanti e vivaci protagonisti della scena artistica del Bangladesh: come hai conosciuto quella realtà e cosa vi hai trovato? Ci dici due parole su ognuno di loro in relazione ai site specific che realizzeranno?
Ho conosciuto Mahbubur Rahman grazie a Mary Angela Scroth di Sala Uno a Roma. Mary Angela aveva organizzato Videozoom Bangladesh, la prima rassegna di video del Bangladesh mai realizzata in Italia, la mostra era curata da Tayeba Lipi. Mahbubur e Lipi sono tra gli artisti più conosciuti ed interessanti del Bangladesh, parlando con Fiona Biggiero, della Fondazione Gervasuti di Venezia, abbiamo iniziato a pensare ad un progetto per la Biennale. Sono stato in Bangladesh alcune volte, un paese che cresce ad un ritmo incredibile. Questa crescita ha delle ripercussioni drammatiche sull’ambiente, come il traffico e l’inquinamento, ma rende l’attività degli artisti ancora più interessante per la loro capacità di decifrare ed emergere da questa situazione. Promotesh Das Pulak manipola immagini fotografiche della guerra di liberazione del Bangladesh dal Pakistan. Ahmed Masum Chisty ha creato un’animazione insieme ad un’installazione con centinaia di disegni sulla figura mitologica della Medusa, oltre a un intervento sulla facciata della Fondazione Gervasuti, Imran Hossain Piplu un museo di fossili animali che hanno la forma di armi, Tayeba Begum Lipi presenta un’installazione con due proiezioni video in cui lei interpreta sia lo sposo che la sposa di un matrimonio bengalese. Mahbubur Rahman un’installazione che indaga la figura del maiale nella cultura islamica.
Paolo W. Tamburella
Paolo W. Tamburella è nato nel 1973 a Roma dove vive e lavora.
Ha esposto in Italia e all’estero, soprattutto a New York, Berlino e Spagna.
Tra le sue mostre principali:
53. Mostra Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia, Padiglione dell’Unione delle Comore, Venezia 2009; How to, Parrallel Event 11. Biennale di Istanbul 2009; Biennale di Singapore, 2008; Printemps design, Centre George Pompidou, Parigi 2007; Inscription, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2007; 3500 cm2 American Academy in Rome, 2006; A Mario Merz: Museo di Palazzo Boggi Bologna, Annina Nosei Gallery New York, Galleria Borghese Roma 2003; VideoROM: Macro, Museo d’Arte Contemporanea di Roma e Gamec, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo 2002; Annina Nosei Gallery, New York 2001.
Tutti sono d’accordo: Sta per esplodere…
Padiglione dell’India
Titolo: Tutti sono d’accordo: Sta per esplodere…
Artisti: Zarina Hashmi, Praneet Soi, Gigi Scaria e The Desire Machine Collective (Sonal Jain e Mriganka Madhukaillya)
Commissario: Ranjit Hoskote
Curatore: Ranjit Hoskote
Sede: Arsenale (Artiglierie)
Intervista a Ranjit Hoskote
Igor Zanti: Qual è la sua idea curatoriale per il Padiglione indiano, e che cosa ci può dire circa la scelta del titolo Tutti sono d’accordo: Sta per esplodere…?
Ranjit Hoskote: In termini curatoriali il Padiglione India è, per me, un laboratorio per testare le varie concezioni di cittadinanza culturale, per affrontare l’idea di una cittadinanza che non è territoriale, e venata da un sapore cosmopolita che supera la dimensione metropolitana. Ho pensato di utilizzare il Padiglione Indiano come un laboratorio per indagare l’idea di India. Attraverso le quattro posizioni artistiche che verranno presentate – così come attraverso la serie di conferenze che si svolgeranno in India – cercherò di ridefinire il concetto di cittadinanza culturale, piuttosto che quello di cittadinanza nazionale, tenendo presente i molti aspetti e la poliedrica realtà del subcontinente indiano. A proposito del titolo, che ha suscitato molto interesse, è tratto da un testo di un anonimo gruppo di teorici chiamato The Invisible Comitate, e mi è stato segnalato da Mriganka Madhukaillya della Desire Machine Collective. È stata una di quelle coincidenze fortuite e magiche. La frase contiene una serie di differenti significati. Si può parlare di una società in fermento, energetica che è pronta ad esplodere. Si potrebbe, inoltre, parlare di una scena artistica che è sul punto di esplodere in tutte le direzioni, oppure dell’affermarsi di una serie di nuove idee e di concetti che sono il primo frutto della realtà post-postcoloniale.
Con quale criterio ha scelto gli artisti?
La mia tesi, nella costituzione del Padiglione India, è che l’arte contemporanea indiana è definita da molteplici significati, influenze e non è condizionata solo dal mercato.
Così, invece di scegliere un vasto numero di artisti per illustrare la scena in piena espansione dell’arte in India, ho scelto quattro figure artistiche significative da un punto di vista concettuale ed espressivo. Alcune di queste figure pur essendo strettamente connesse con il sistema del mercato e delle gallerie non ne sono rimaste vittime, ma sono riuscite a trarne dei vantaggi senza intaccare la qualità del lavoro. È stato, inoltre, importante per focalizzare l’attenzione sulla varietà dei luoghi e delle dimensioni in cui si produce cultura in India, tralasciando le divisioni territoriali o generazionali. Zarina Hashmi incarna, per me, una personalità profondamente segnata dal trauma rappresentato dal processo per l’indipendenza del 1947, dall’esperienza della diaspora. Praneet Soi ci permette di guardare la trasformazione del lavoro attraverso una serie di situazioni fluide, e di interazioni con diversi collaboratori. Gigi Scaria, artista nato in Kerala che ha vissuto e lavorato a New Delhi per oltre un decennio, riflette sui processi e le richieste di migrazione interna, in viaggio tra diversi tipi di paesaggi psichici, strutture sociali e asimmetrie interpersonali. Il Desire Machine Collective, con sede a Guwahati – a testimoniare l’emergere di una vivace scena artistica contemporanea nel nord-est, una parte dell’India che è spesso considerata come nettamente distinta dal resto del paese – unisce il lavoro nell’ambito dell’arte cinematografica e nei progetti pubblici con le conferenze e i workshop che si svolgono a PeriFerry, un luogo di studio e di incontro che ha sede su una chiatta ormeggiata sulle rive del fiume Brahmaputra.
Ranjit Hoskote
Nasce nel 1969 a Mumbai, dove vive e lavora. È poeta, critico d’arte, teorico e curatore indipendente.
Come curatore ha firmato il suo primo progetto di mostra, Hinged by Light, all’età di 25 anni e numerose mostre di arte contemporanea indiana e internazionale dal 1994. Tra i suoi impegni più recenti è stato co-curatore alla settima Biennale di Gwangju (2008) nel sud della Corea in collaborazione con Okwui Enwexor e Hyunjin Kim.
Padiglione dell’Iraq
Acqua Ferita / Wounded Water
Sei artisti iracheni interpretano il tema dell’acqua
Titolo: Acqua Ferita / Wounded Water. Sei artisti iracheni interpretano il tema dell’acqua
Artisti: Adel Abidin, Ahmed Alsoudani, Halim Al Karim, Alì Assaf, Azad Nanakeli, Walid Siti
Luogo: Gervasuti Foundation, Fondamenta S. Anna (Via Garibaldi) Castello 995, tra i Giardini e l’Arsenale
Apertura al Pubblico: dal 4 giugno al 27 novembre 2011 ore 10-18 tutti i giorni tranne i lunedì
Inaugurazione: 2 giugno 2011 ore 19-21
Commissario: Alì Assaf
Co-Commissario: Vittorio Urbani
Curatore: Mary Angela Schroth
Organizzazione: Nuova Icona / Sala 1
Media Partner: Canvas Magazine
In collaborazione con: Ambasciata della Repubblica dell’Iraq, Rappresentanza dell’Iraq presso le Nazioni Unite a Roma, Arab Fund for Arts and Culture, enti vari e Patrons Committee del Padiglione dell’Iraq
Info: www.pavilionofiraq.org
Intervista ad Alì Assaf
Francesca Di Giorgio: Dal punto di vista della politica internazionale questa è un’annata particolare per molte delle nazioni partecipanti alla 54. Biennale di Venezia. Quale “contributo” vuole portare il Padiglione dell’Iraq nel panorama globale e quando si è aperta la possibilità di questa nuova partecipazione?
Alì Assaf: Dopo 21 anni anni di assenza, l’Iraq torna alla Biennale di Venezia. Quella del 1990 è stata l’ultima in ordine di tempo di quattro partecipazioni. Gli ultimi anni hanno visto un incremento nelle partecipazioni dei paesi del mondo arabo alla Biennale di Venezia. C’è stata una vera e propria ondata, frutto di una nuova apertura e di un interesse da parte di questi paesi nei confronti della rassegna. L’Iraq mancava all’appello ma ora, finalmente, abbiamo l’opportunità per realizzare questo progetto. In realtà già dal 2004, dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, c’era il forte desiderio di proporre il Padiglione, ma diversi problemi – dalla difficoltà a reperire i fondi necessari alla mancanza di appoggio da parte del governo – ostacolavano il progetto. Alla fine con Mary Angela Schroth ci siamo decisi, più di un anno fa, con la nostra iniziativa personale, a prenderci il rischio di intraprendere questa avventura. Pian piano è arrivato l’appoggio di numerosi Patrons, che con il loro contributo hanno reso possibile l’intero progetto. Con questo Padiglione vogliamo dare al pubblico internazionale e agli addetti ai lavori la possibilità di conoscere il lavoro degli artisti iracheni contemporanei, anche se rappresentato in una piccola parte. Vogliamo rendere possibile il confronto fra il loro lavoro e quello degli artisti provenienti da tutto il mondo. Abbiamo scelto di invitare artisti residenti in Europa e negli Stati Uniti perché non è stato possibile ospitarne altri che vivono in Iraq. Sarà però proiettato un documentario a firma di un giovane regista iracheno sulla vita di alcuni artisti residenti a Baghdad.
Due generazioni a confronto. Alì Assaf, Azad Nanakeli e Walid Siti nati negli anni ‘50, Adel Abidin, Ahmed Alsoudani e Halim Al Karim, cresciuti nel corso della guerra Iran-Iraq (1980-1988), in un clima di forte isolamento artistico. Sei artisti iracheni in dialogo con gli spazi della Gervasuti Foundation. Come opereranno in situ?
La scelta della Fondazione Gervasuti non è affatto casuale: si tratta di un edificio straordinario. Anzitutto è collocato vicino all’acqua, un fatto molto importante in relazione al tema che abbiamo scelto. In secondo luogo è caratterizzato da un’architettura che ricorda in alcuni ambienti lo stile di certi edifici storici iracheni. Non è un “white cube”, anzi per la verità siamo rimasti colpiti proprio dall’aspetto scabro, non rifinito, e se vogliamo difficile, per un allestimento d’arte. L’opportunità di presentare i nostri lavori in questi spazi è per noi una sfida, che assume un grande significato: ridare vita a quella che sarà la nostra “casa” durante la Biennale è un po’ come ridare vita al nostro Paese. Occuperemo dodici stanze fra il piano terra e il primo piano dell’edificio; ogni artista ha concepito degli interventi che non modificano l’architettura ma si integrano con essa, assumendone ed esaltandone le caratteristiche proprie. I lavori presentati nel padiglione sono realizzati in differenti media espressivi, dalla pittura al video all’installazione.
Alì Assaf
Alì Assaf è nato nel 1950 ad Al Basrah (Iraq). Nel 1973 si diploma all’Istituto d’arte di Baghdad e nel 1977 all’Accademia di Belle Arti di Roma dove vive e lavora dal 1973. Dalla fine degli anni ’60 a oggi ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Organizza, in qualità di artista-curatore, mostre collettive ed eventi culturali internazionali su vari temi quali immigrazione, risorse idriche e il ruolo dell’artista in un contesto multiculturale. Molti dei suoi lavori recenti coinvolgono la performance e il video. Ha partecipato alla Biennale di Algeri, alla Biennale del Cairo (2008), al secondo Gulf Film Festival a Dubai (2009) e ha vinto, in Italia, svariati premi e menzioni d’onore.
Dall’alto:
REPUBBLICA POPOLARE DEL BANGLADESH
Imran Hossain Piplu, “The Utopian Museum”, 2011, digital images, printed publication and others, variable size
Tayeba Begum Lipi, “I wed Myself”, 2010, 2 channel video projection, 3.02 min, variable size
Kabir Ahmed Masum Chisty, “Quandary”, 2011, 60 sec, 2D animation and 100 key drawings, variable size
INDIA
Zarina Hashmi, “Noor”, sculpture
Praneet Soi, image from slide-projection work “Kumartuli Printer”
Gigi Scaria, preparatory work towards video installation, “Elevator from the Subcontinent”
Desire Machine Collective, still from the film “Residue”
IRAQ
Azad Nanakeli, “Au” (“Water”), 2011, Mixed media installation, cm 320x200x28
Walid Siti, “Beauty Spot”, 2011, Video, Variable
Ali Assaf, “Al Basrah, the Venice of the East”, 2011, Mixed media installation, cm 580x490x290
Adel Abidin, “Consumption of War”, 2010-2011, Video, Variable