intervista a YUVAL AVITAL di Livia Savorelli
Human Signs, opera partecipativa ideata dall’artista Israelo-Italiano Yuval Avital, è una narrazione corale, potente in quanto ibrida e contaminante, che nasce nei giorni della quarantena e ruota intorno a tre coordinate principali: voce, gesto e rete.
Così come il Covid-19, il virus che è circolato e si è diffuso al di là di ogni barriera o confine, colpendo in ogni angolo del Pianeta indipendentemente da status e colore della pelle, anche l’artista è entrato in modo virale nelle case di tutti i performer che si sono aperti all’ascolto del suo vocalizzo mantrico e hanno spontaneamente deciso di rispondere, seguendo linee guida molto aperte e creando un dialogo attraverso la propria voce o il proprio corpo. Approfondiamo con l’artista le origini di Human Signs…
Human Signs è un progetto online che contamina la pratica ripetitiva del mantra con il linguaggio virale della rete e unisce performer da ogni parte del globo che hanno risposto alla tua chiamata. Come è nata l’idea del progetto e da quali necessità? Ritieni raggiunto l’obiettivo che ti eri posto?
Human Signs è nato d’istinto, di getto, da un’esigenza mia personale di mettere in voce tutto ciò che sentivo e non riuscivo più a contenere dentro il mio silenzio: la vulnerabilità mia e degli altri, la solitudine, la distanza delle persone che amo, l’incertezza del presente e del futuro, la speranza ma anche il timore che tutto ciò che sta accadendo può portarci anche sull’orlo del baratro. Dentro il silenzio assordante che percepivo intorno a me, sentivo di dover dare un segno: un giorno ho preso l’unico device multimediale che avevo a disposizione (da più di un mese sono nella campagna del biellese, dove mi trovavo con la mia famiglia quando è stato dichiarato il lockdown e dove abbiamo deciso di rimanere), e ho canalizzato nella mia voce tutto ciò che sentivo dentro. Osservando il risultato, ho pensato al segno umano, segno che nasce dai due archetipi più antichi e essenziali – il gesto e la voce – che vengono prima della cultura, prima della scrittura e prima della grafica. Ho così deciso di prendere questo mantra e iniziare a mandarlo come un virus ai cantanti e artisti che lavorano in modo speciale con la voce, come figure di tradizione, sperimentatori e pionieri, chiedendo loro di ascoltarlo con le cuffie e di creare a loro volta la loro propria testimonianza d’arte. Allo stesso tempo, coinvolgendo la danzatrice e coreografa del Teatro alla Scala Stefania Ballone, abbiamo iniziato a mandarlo ai ballerini, chiedendo loro di creare un dialogo con il mantra: la loro testimonianza d’arte del momento.
In seguito, creando un’équipe di esperti della multimedialità, abbiamo iniziato ad accostare le varie testimonianze per creare affreschi – o ensembles – che vengono presentati al pubblico online ogni settimana, il martedì alle 19.30.
Io penso che Human Signs non sia un progetto relief e sicuramente non un progetto che cerca di adattare la realtà a quello che si può fare – come le mostre virtuali o i concerti in live streaming – ma piuttosto un’opera che nasce in questo momento. L’importanza di Human Signs è quella di portare nella sfera del visibile tutto ciò che è invisibile: la nostra paura, desiderio, anche sacralità, che nascono in questo momento, e questo viene reso un successo da ogni partecipante del progetto. Oggi, che siamo oltre 110 artisti coinvolti da tutto il mondo, posso dire che sono soddisfatto, ma anche che allo stesso tempo mi rendo conto del peso e della responsabilità di avere un patrimonio così importante come materia prima.
C’è un aspetto che non avevi previsto e che ti ha particolarmente colpito? Quali categorie di performer hanno maggiormente aderito?
Ci sono due aspetti che non avevo previsto e che mi hanno colpito in particolar modo.
Il primo è quello partecipativo: non immaginavo di poter creare una squadra così ampia di persone che lavorano giorno e notte sul progetto, insieme a Niccolò Granieri e Tychonas Michailidis – entrambi docenti al Digital Media Technology Lab della Birmingham City University – che si occupano rispettivamente dei sistemi informatici generativi e del conforming sonoro, i romani Monkeys Video Lab, responsabili del montaggio video dei vari ensemble e Franco Covi, il quale cura il montaggio del livestream settimanale, abbiamo una squadra di assistenti che spaziano da Istanbul a Regno Unito e Italia e insieme a loro anche LeftLoft e Yalp, che hanno aderito a dare voce all’aspetto grafico e informatico del progetto.
Il secondo riguarda ogni artista che entra, tra cui ci sono alcuni dei più grandi esponenti viventi nel loro campo, che sono entrati con un atto di fiducia estrema e di generosità. Può darsi che il lato onesto e nudo di quello che chiamiamo “mantra” – ma che si poteva chiamare anche grido, preghiera o urlo – è stato ciò che li ha convinti ad entrare.
I performers che maggiormente entrano nel progetto si possono dividere in due categorie: in primis abbiamo il mondo del balletto classico, che si trova adesso in estrema difficoltà, e che, non potendo fare le prove negli studi e dovendo lavorare in casa, si rivela come ottimo testimone, aprendo il rigore della danza per dare spazio ad un’esperienza veramente potente.
La seconda categoria è rappresentata dai maestri della voce di alta gamma, i ricercatori come David Moss, Natascha Nikeprelevic, Gelsey Bell, Lisa Sokolov, Nicholas Isherwood, Arianna Savall e Petter Udland Johansen, ma anche portatori di tradizioni preziose come Omar Bandinu dei Tenores di Bitti ed il senegalese Badara Seck, cantante Sufi: loro, che sono maestri assoluti nel loro campo, non hanno avuto nessun timore ad aprire la porta alla loro intimità.
Britta Oling – Human Signs – Courtesy of the artist:
La tua ricerca è transdisciplinare e fortemente orientata al multimedia ed essendo tu anche compositore e chitarrista, utilizzi molto il sonoro. Che ruolo riveste, nella tua ricerca, il suono e come hai deciso di declinare l’approccio ad esso in Human Signs?
Nonostante io lavori molto con pittura, fotografia, video e performance, il suono è in qualche modo la mia lingua madre, e dentro il suono la voce ha un ruolo importantissimo, che declino a progetti su palcoscenico che coinvolgono ensemble enormi di centinaia di non musicisti e portatori di tradizioni antiche, artisti di tecniche estese e solisti della musica classica; anche nelle mie istallazioni utilizzo la voce, spesso per mappare geografie diverse e per far emergere le persone tra foreste di altoparlanti. Qui, in Human Signs, la voce è quella umana, e la voce umana è molto essenziale. Una cosa importante da dire è che nonostante tutto ciò che ho fatto con la voce nel corso degli anni, non ho mai utilizzato – o quasi mai – la mia propria voce, tenuta stretta come un qualcosa di molto intimo, utilizzata solo in poche sculture sonore, non facendola trapassare nella sfera pubblica. In Human Signs però avevo proprio bisogno della mia voce come punto di partenza, come veicolo di sfogo e mezzo essenziale di comunicazione, per questo ritengo si tratti di un’opera molto anomala e molto preziosa, che porto nel cuore.
Con questo progetto che riflessioni/messaggi vuoi diffondere? Come hai vissuto i mesi del lockdown e cosa ha rappresentato questo drammatico momento come uomo e come artista?
Nonostante a Human Signs si possano attribuire molti messaggi, di fratellanza umana, di multiculturalità, dell’esplorazione di nuovi linguaggi possibili nel momento del virus, del connubio tra tecnologia ed essenzialità, per me rimane comunque un’opera priva di messaggi e priva di concetti di base che vuole trasmettere. Non è un’opera concettuale ma un’opera esperienziale, e come tale viene vissuta da ogni spettatore e visitatore con i significati che può o vuole attribuirgli. Per di più, essendo un’opera partecipativa, gode della particolarità che ogni artista che vi ha aderito ne diventa co-creatore, in quanto ogni artista porta in sé i messaggi che lui/lei stesso/a vuole trasmettere in questo momento.
Io personalmente ho vissuto i mesi di lockdown in modo molto drammatico e anche molto contrastante: da una parte sono stato estremamente grato di aver recuperato l’intimità della sfera famigliare e di poter stare con mia figlia Alma – che ha 4 anni – tutti questi mesi, creando un rapporto bellissimo, una cosa che l’anno scorso mi è mancata poiché ho passato mediamente la metà dell’anno via per progetti vari. Dall’altra parte, ho vissuto un’invisibilità totale da parte delle istituzioni, ho vissuto il dolore di stare lontano da tutta la mia famiglia – che adesso si trova in Israele – ho trovato la paura del mio proprio corpo, e di una nuova situazione in cui il mio corpo diventa come una piccola nazione, con i suoi confini con altri corpi, in cui cresce il dubbio su quale è il corpo nemico e quale il corpo amico. Sicuramente una cosa che forse abbiamo attraversato tutti è il senso del crollo del paradigma dell’uomo padrone del mondo, la cosa più fondamentale forse che dobbiamo prendere da questo momento è il senso che siamo parte del mondo, siamo ospiti nel mondo, e in seguito dobbiamo iniziare a pensare come tali.
Natascha Nikeprelevic – Human Signs – Courtesy of the artist:
Pensi che la fruizione del progetto sarà sempre vincolata alla rete, con un unico e grande palcoscenico virtuale, o prevedi che Human Signs possa essere presentato nei luoghi dell’arte con una fruizione diretta e condivisa?
Proprio come la strategia per affrontare il Covid-19, fin dall’inizio anche Human Signs aveva delle fasi previste: la prima fase era quella del contagio, che ci ha permesso di arrivare ai vari artisti; la seconda – in cui siamo ora – è quella del raggruppamento delle diverse testimonianze in ensembles che vengono presentati online; la terza, su cui stiamo lavorando con LeftLoft, Yalp insieme al programmatore Niccolò Granieri della Birmingham City University, è la creazione di una specie di portale in cui i visitatori potranno vedere e sentire ogni singola testimonianza e leggere la storia dietro ogni artista.
Esiste anche la fase quattro, in cui prevedo la messa dal vivo di Human Signs come un’installazione immersiva con molti altoparlanti e molti schermi (sarebbe molto bello averne 19), tutti attorno al pubblico in uno spazio che continua a cambiare con costellazioni e accostamenti di voci e di corpi e che potrebbe anche ospitare dialoghi dal vivo site-specific di artisti che hanno partecipato nel progetto. Questo sogno potrebbe trovare la sua realtà in uno spazio museale, in un appuntamento d’arte quale Biennale o Documenta o anche in spazi pubblici, dove, posizionando le fonti multimediali ad una determinata distanza tra di loro, si permetterebbe una fruizione sicura anche dal punto di vista del social distancing. Per ora mi concentro, come sempre ho fatto, non nel futuro del progetto ma nel presente, cercando di dare tutto me stesso e dare qualcosa che, dal punto di vista del contenuto, ha un valore per me assoluto. Come ex solista di musica classica, che lavora nell’invisibilità su ogni nota per limarla finché diventa perla, anche qui cerco di dare tutto me stesso, questa volta non da solo, ma con una famiglia, una comunità che ha deciso di condividere la sua intimità e i suoi segni umani.
Human Signs di Yuval Avital
Opera partecipativa globale online di danza e voce
In collaborazione con Stefania Ballone (curatrice della parte danza dell’opera), Franco Covi, Niccolo’ Granieri, Tychonas Michailidis e Monkeys Video Lab.
Capitoli settimanali: ogni martedì alle 19.30 su youtube.com/yuvalavital
www.human-signs.com
Nato a Gerusalemme nel 1977 e residente a Milano, Yuval Avital è artista multimediale, compositore, e chitarrista. È conosciuto per le sue installazioni sonore e visive, performance collettive che coinvolgono masse sonore nella creazione di rituali contemporanei, opere icono-sonore, quadri multimediali complessi e per lo sviluppo di progetti tecnologici realizzati anche con l’apporto di intelligenza artificiale in spazi pubblici, siti di archeologia industriale, teatri e musei, sfidando le tradizionali categorie che separano le arti.
Nelle sue opere totali e performance, nei suoi concerti e progetti immersivi si possono trovare, uno accanto all’altro, portatori di tradizioni rare e antiche, grandi solisti di musica contemporanea, folle di non musicisti, ballerini, strumenti tecnologici elaborati o appositamente creati, multi-proiezioni video, stampe fotografiche, disegni e pittura. Pur nella grande complessità e articolata multimedialità, ogni opera rivela una sua identità precisa, divenendo un microcosmo esperienziale, poetico ed emotivo, frutto di una ricerca meticolosa realizzata con un linguaggio attentamente codificato.I suoi lavori trans-disciplinari sconfinano tra le più svariate categorie artistiche e sono stati presentati sia nei più grandi teatri d’opera che in musei e fondazioni d’arte.
www.yuvalavital.com