Intervista a MIMMO SCOGNAMIGLIO di Matteo Galbiati
Come avete affrontato il lockdown e la relativa chiusura della vostra galleria? Avete cercato di colmare il vuoto attraverso la progettualità online e/o attraverso un uso diverso dei social? Come si è modificato il rapporto con il vostro pubblico?
Il lockdown ci ha colto alla sprovvista, come penso sia successo a molti, tra una fiera e l’altra. Eravamo reduci da quelle di Città del Messico e Città del Capo, in preparazione per la fiera di Dallas (quella di miart era già stata posticipata), e nessuna notizia certa per affrontarne l’organizzazione. Abbiamo dovuto rimandare la mostra personale di Jason Martin prevista per aprile, in concomitanza con miart.
È stato un momento di grande incertezza, ma abbiamo continuato a gestire il lavoro di galleria da remoto con gli strumenti che avevamo a disposizione: le piattaforme online come Artsy, le videoconferenze con gli artisti con i quali abbiamo tuttora dei progetti in corso, le viewing room online…
I social sono stati momentaneamente “silenziati”, non ci è sembrato necessario sfruttarli in maniera massiva in un momento come quello che abbiamo vissuto. Piuttosto ci siamo limitati a segnalare la nostra partecipazione all’edizione online della fiera di Dallas, tenutasi nelle date in cui si sarebbe dovuta svolgere la fiera fisica, e a mettere in risalto alcune opere arrivate poco prima del lockdown.
Il pubblico è sempre stato presente, con richieste e domande sugli artisti che seguivano da tempo. Abbiamo cercato di mantenere una certa linearità tra “prima” e “dopo”, soprattutto a livello comunicativo, per cercare di mettere a proprio agio gli interlocutori e mettendo da parte, per quanto possibile, sentimenti di ansia e sfiducia, che permeavano giù abbastanza il mondo reale. Il fine dell’arte è anche quello di fare da filtro alle varie difficoltà di tutti i giorni.
Mai come in questo periodo abbiamo sentito parlare di “mondo dell’arte” ma proprio in un momento come questo è difficile immaginarlo come omogeneo. Composto da figure diverse: artisti, collezionisti, appassionati, critici, curatori, galleristi, organizzatori, editori. Un insieme spesso diviso da interessi contrastanti… Ora, se e in che modo, vi sentite parte di un “sistema”? Come state affrontando, dal lato umano e pratico, la vostra attività? Vi siete posti degli obiettivi a breve termine?
Penso che in questo momento si avverta in realtà una certa coesione tra le varie parti. Le gallerie sono sempre in contatto per consultarsi sulle prossime mosse da affrontare, come ad esempio le fiere in programma, le modalità per inaugurare le nuove mostre in sicurezza. Ci si scambia opinioni e si fa rete. Stesso discorso per i dealer e i collezionisti, si crea un dialogo più umano e più votato alla fruizione “reale” delle opere, cosa che forse prima si perdeva a scapito di un discorso più speculativo. Noi stessi sentiamo di avere un approccio diverso verso i clienti, più diretto e lento, come richiedono questi tempi di semi-immobilità. Anche gli artisti sono più vicini alla galleria in termini di dialogo e di ricerca di un fine comune, che vada a beneficio di tutti.
Siamo nella famosa Fase 3, ciò presuppone una visione in progress, un prima, un dopo e un poi. Restituiteci una fotografia che vi ritrae in questi tre momenti…
Prima era frenesia, guardare già oltre tra fiere, mostre, eventi. Il dopo è la riscoperta del fare le cose con passione. Il poi è augurarci che questa passione rimanga intatta, insieme alla bellezza del contatto umano.