Intervista a SABINA MELESI di Matteo Galbiati
Come avete affrontato il lockdown e la relativa chiusura della vostra galleria? Avete cercato di colmare il vuoto attraverso la progettualità online e/o attraverso un uso diverso dei social? Come si è modificato il rapporto con il vostro pubblico?
Una pandemia di tale portata ha conseguenze incontrastabili per una piccola realtà come la mia, almeno nell’immediato, nelle prime settimane. Devo ammettere di aver subìto questa situazione, mi sono isolata in casa e ho cercato più di affrontare le problematiche umane che mi circondavano che non quelle lavorative. Grazie ai 250 metri di distanza tra la mia abitazione e la galleria, passate le prime settimane, ho ripreso il lavoro dedicandomi a quelle cose che normalmente trascuro per mancanza di tempo o della calma necessaria. Non amo molto le mostre virtuali così come le varie videoconferenze o videointerviste, purtroppo spesso interrotte e disturbate da problemi di connessione. Sono troppe, gli orari si sovrappongono, il pubblico si riduce. Nulla può sostituire la fruizione diretta. Mostre, vernissage, eventi, fiere, incontri “veri” mi sono mancati tantissimo durante il lockdown!
Mai come in questo periodo abbiamo sentito parlare di “mondo dell’arte” ma proprio in un momento come questo è difficile immaginarlo come omogeneo. Composto da figure diverse: artisti, collezionisti, appassionati, critici, curatori, galleristi, organizzatori, editori. Un insieme spesso diviso da interessi contrastanti… Ora, se e in che modo, vi sentite parte di un “sistema”? Come state affrontando, dal lato umano e pratico, la vostra attività? Vi siete posti degli obiettivi a breve termine?
Ho affrontato diverse crisi nella mia vita di galleria, ho aperto nel 1991 durante la guerra del Golfo, poi sono seguite “tangentopoli”, gli attentati dell’11 settembre 2001, la grande recessione del 2008 e ora il Covid-19! Probabilmente la più impattante, perché ha comportato l’interruzione dell’attività, però l’unica che, nonostante tutto, ha portato anche un sentimento nuovo che ha toccato tutte le categorie: la solidarietà. Tutte le figure citate nella tua domanda hanno messo del loro, c’è stato chi ha promosso lodevoli progetti di raccolta fondi, chi ci ha intrattenuto con varie iniziative gratuite (cito ad esempio Milano Art Guide che col progetto The Colouring Book ha offerto opere stampabili da colorare come passatempo per adulti e bambini) o con impegnate lezioni e conferenze online, visite virtuali, ecc… Questo sentimento l’ho personalmente avvertito anche alla riapertura del mio spazio, nonostante l’avvicinarsi della “bassa stagione” e i timori per tutte le nuove regole da rispettare, i collezionisti, gli artisti, gli amici, i simpatizzanti, hanno subito ripreso a frequentare la galleria e a far sentire la loro presenza concreta.
Siamo nella famosa Fase 3, ciò presuppone una visione in progress, un prima, un dopo e un poi. Restituiteci una fotografia che vi ritrae in questi tre momenti…
Il vero problema nostro in questo momento non è dunque il ridare fiducia al mondo dell’arte che, a mio avviso, la fiducia se l’è confermata durante il lockdown, quanto il riorganizzare la socialità che ci distingueva. Il tanto temuto “affollamento” per noi è vita! Il successo di un evento, di un vernissage, di una fiera, di un talk era quantificato dai numeri di presenza allo stesso. Ora si parla di “ingressi contingentati”, di “su appuntamento”, di “prenotazioni on line”… Le mostre non avranno più un orario di inaugurazione, se non su invito riservato a pochi, ma le sole date di inizio e di fine entro le quali organizzarci. Dovremo essere bravi a inventarci un modo per accogliere le persone ancor meglio di prima, concedere loro la nostra massima attenzione, colmare il vuoto del distanziamento cercando di rendere comunque emozionale la loro visita in galleria, che sia un’esperienza diversa da prima ma assolutamente da vivere!