PALERMO | Palazzo Ziino | Fino al 24 agosto 2018
PALERMO | Luoghi vari | Fino al 4 novembre 2018
Intervista a GABRIELLA CIANCIMINO di Matteo Galbiati
Il quarto appuntamento della nostra ricognizione su Manifesta 12 (qui le precedenti #1, #2 e #3) ha per protagonista l’artista palermitana Gabriella Ciancimino, che dopo essersi distinta in ambito nazionale e internazionale, con In Liberty We Trust espone per la prima volta nella sua città natale con una grande mostra personale.
Questo progetto, evento collaterale ufficiale della Biennale europea e parte del calendario di appuntamenti di Palermo Capitale della Cultura 2018, è la settima proposta del format Visual Startup, il programma di direzione artistica di Palazzo Ziino affidato dal Comune all’Accademia di Belle Arti.
Pensiero politico e ricerca botanica sono i due riferimenti che si intrecciano in un insieme di forte valore simbolico e iconico, la riflessione, che l’artista conduce da oltre quindici anni, rappresenta, quindi, un momento di forte confronto e analisi rispetto alle tematiche offerte da Manifesta e di cui la mostra di Ciancimino costituisce un elemento di sicuro e prezioso valore e arricchimento.
Ecco le considerazioni che abbiamo avuto dalla brava e sensibile artista palermitana:
Cos’ha di speciale Manifesta 12 dal tuo punto di vista?
Credo che la Biennale sia stata una grande occasione per visitare dei piccoli e grandi tesori del centro storico di Palermo che spesso non sono aperti al pubblico.
A mio avviso, la programmazione degli eventi Aspettando Manifesta – intendo gli incontri, i talks, i workshops – sia stata più interessante ed intensa che la Biennale stessa. E quella fase, dedicata alla ricerca e allo studio del territorio da parte del team di Manifesta 12, era maggiormente rivolta alla cittadinanza. E da cittadina palermitana, penso che per raggiungere gli obiettivi culturali che Manifesta si è prefissata, un anno non sia sufficiente per conoscere un panorama così ricco e variegato come quello siciliano, dove le realtà locali si sono sempre impegnate nel coniugare il contemporaneo con il proprio patrimonio culturale. Un lavoro che si svolge da decenni e che purtroppo penso non sia emerso dall’analisi e lo studio del paesaggio locale svolto dal team della Biennale.
In questo senso come hai lavorato all’evento collaterale che ti vede protagonista? Cosa hai scelto di offrire al pubblico?
In Liberty We Trust è la prima mostra personale che faccio nella mia città su invito dell’Accademia di Belle Arti in cui ho conseguito il diploma nel 2015, quindi rappresenta un grande riconoscimento e un’ottima occasione per lavorare con professionisti con cui da anni condivido un lavoro di costante ricerca e impegno culturale per cui l’arte è catalizzatore di un cambiamento sociale basato sulla costruzione di un dialogo trans-generazionale che – in particolare in Italia – appare totalmente frammentato. Tutto ciò agendo da un luogo fino qualche anno fa geograficamente dislocato, ma totalmente in dialogo con realtà nazionali ed internazionali. In tal senso In Liberty We Trust è anche la presentazione di un lavoro quindicinale svolto con Daniela Bigi, curatrice della mostra e critica dell’arte di Roma che da circa 20 anni dedica la propria ricerca al contemporaneo siciliano e in particolare al percorso che gli artisti compiono fin dall’Accademia. E ciò avviene anche in collaborazione con Gianna Di Piazza, co-curatrice della mostra e docente di Fenomenologie dell’arte contemporanea.
In Liberty We Trust è anche il frutto di un workshop che ho tenuto insieme agli studenti dell’Accademia, con cui ho lavorato per la realizzazione di grandi opere site-specific pensate ad hoc per la sede espositiva di Palazzo Ziino: wall drawings e installazioni in cartone e carta vetrata intrecciata, con cui indago il concetto di monumentalità effimera e precaria del periodo storico attuale.
Quindi direi che la mostra In Liberty We Trust è sia risultato della ricerca artistica che ho svolto in questi ultimi anni, sia la restituzione di quel pensiero suddetto in cui la libertà dell’Essere non è subordinata al Fare.
In continuità con il percorso che ho intrapreso in diversi paesi del mondo, anche in questa mostra coniugo il mio pensiero politico e la ricerca botanica, concentrandomi sul valore simbolico attribuito alle piante endemiche, che migrano e che resistono adattandosi a vivere in situazioni climatiche differenti e secondo gli assetti più disparati.
In In Liberty We Trust si trovano dei chiari riferimenti alla figura del grande architetto Ernesto Basile, celebre maestro del Liberty siciliano, di cui ho studiato gli stilemi vegetali che innervavano le sue architetture, e le iconografie botaniche presenti nel suo archivio, dove, tra le tante, non mancavano alcune significative piante endemiche.
Il mio studio si è ampliato anche alle specie vegetali insediatesi sulle coste della Sicilia, soprattutto quelle che hanno sviluppato forme di adattamento morfologico o fisiologico che consente loro di vivere, non solo di sopravvivere, in ambienti salini e aridi.
Il mio intento, quindi, è quello di rileggere le dinamiche di mobilità, di adattamento e di convivenza tra culture e colture differenti, focalizzando l’attenzione sia su specie vegetali con un’elevata resistenza biologica sia su alcuni movimenti politici di stampo libertario. Lo si evince in uno dei grandi wall drawings in mostra, dove le iconografie botaniche vengono intrecciate con le testate di periodici anarchici italiani, francesi, spagnoli e americani che ho ritrovato in archivi e biblioteche tra cui la Tamiment Library and Robert F. Labor Archives of New York e il Funds related to Anarchy and Pacifism dell’Archivio Mundaneum, Centre d’archives de la Fédération Wallonie-Bruxelles & Espace d’expositions temporaires di Mons (Belgio).
In mostra viene evocato anche un altro giardino ad alto potenziale simbolico, quel leggendario tappeto di 65×25 m commissionato dal re persiano Cosroe II, conosciuto come Giardino di primavera, che rappresentava l’allegoria del Buono e del Cattivo Governo: “un meraviglioso tappeto, ricamato di smeraldi, che il re faceva distendere nella sala della sua reggia per ricordare le gioie della primavera quando le nevi e le noie dell’inverno lo assillavano”. Un tassello fondamentale nella storia del giardino mediterraneo.
Di sala in sala, lo spettatore si trova dunque immerso in un grande paesaggio concepito come un puzzle in cui piante endemiche, slogan politici, iconografie del buon governo, pattern decorativi di materiali ruvidi intrecciano e indagano temporalità e geografie differenti, esprimendo il desiderio di abbandonarsi dentro una fitta giungla ove tornare a esperire un sentire elementare.
Come si legano i temi, sociali e globali, della coesistenza, dell’intreccio di culture, dei cambiamenti climatici, alla tua ricerca?
Da anni analizzo il rapporto tra esseri umani e piante alla base della costituzione di un Paesaggio come “luogo” di riflessione e nello stesso tempo di salvaguardia della memoria storica e di azione collettiva riflettendo sulle dinamiche di convivenza, adattamento degli elementi della Natura.
In particolare, il mio studio di focalizza su specie vegetali sinantropiche, quelle piante cioè che vivono strettamente associate all’uomo, quelle stesse che Clément definisce “vagabonde” perché si spostano con il vento, con il passaggio degli umani e degli animali, superando i confini geografici, crescendo nei luoghi di frontiera, appropriandosi degli spazi residuali.
Da circa 10 anni ho scelto il nomadismo come stile di vita per indagare anche il conseguente senso di nostalgia derivato dallo stare dentro e fuori le linee di demarcazione nazionale. Quindi una riflessione sul significato di frontiera, quel non luogo a ridosso di un limite che diviene area di transizione universale, terreno fertile per nuove relazioni ecologiche. Quindi racconto di “coloro che vengono da lontano” e in particolare arrivano in quelle città portuali che lungo i secoli hanno mantenuto la funzione di gate d’ingresso per i flussi migratori. E ciò che mi affascina è l’atteggiamento libertario di uomini, donne e organismi vegetali, dei quali cerco di rintracciare quelle micro-storie che, nel passato come nel presente, si possano ricollegare alla grande storia della resistenza, storica per gli uni, biologica per gli altri.
Gabriella Ciancimino. In Liberty We Trust
a cura di Daniela Bigi e Gianna Di Piazza
evento collaterale Manifesta 12
in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Palermo
inserita in Palermo Capitale della Cultura 2018
14 giugno – 24 agosto 2018
Palazzo Ziino
via Dante 53, Palermo
Orari da lunedì a venerdì 9.30-18.30
Ingresso gratuito
Info: www.accademiadipalermo.it
www.ciancimino.it
Manifesta 12. Il Giardino Planetario
16 giugno – 4 novembre 2018
Luoghi vari
Palermo
Info: www.m12.manifesta.org
Gabriella Ciancimino è nata a Palermo nel 1978, dove si è diplomata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti. Tra le mostre più significative: L’appartement 22 (Rabat, MO, 2010/2012), Biennale Benin (2012), Museo Villa Croce (Genova, 2013), PAV (Torino 2013), Kunsthalle Mulhouse (FR, 2013), MACBA (Barcellona, ES, 2014), Prometeogallery (Milano, 2016), MMOMA (Mosca, 2016). Ha preso parte a progetti per: Manifesta 12 (2017), Volume 1 project of “Sentences on the banks and other activities” at Darat al Funun (Amman, Giordania 2010); Working For Change. Project for a Moroccan Pavilion at the 54th Venice Biennale (Venezia, IT, 2011). Le sue opere sono state acquisite in alcune collezioni pubbliche tra cui, Palazzo Riso – Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, (Palermo); Museo del Novecento (Milano); Museo Villa Croce (Genova); Frac Provence-Alpes-Côte d’Azur (Marsiglia, FR).
Interviste precedenti:
Voci da “MANIFESTA 12” #1: i curatori
Voci da “MANIFESTA 12” #2: gli artisti Marinella Senatore e Giorgio Vasta
Voci da “MANIFESTA 12” #3: Laura Barreca, Antonio Presti e Giovanni Rizzuto