MILANO | PAC | 5 ottobre 2013 – 6 gennaio 2014
Intervista ad ADRIAN PACI di Ginevra Bria
Il 5 ottobre, al PAC di Milano, inaugura l’ultima retrospettiva di Adrian Paci. Un’ampia selezione di opere realizzate a partire dalla metà degli anni ’90 fino alla produzione più recente, la nuova opera The Column (2013), in un percorso che esprime la varietà di linguaggi che Adrian Paci utilizza nel suo lavoro, spaziando dal disegno alla fotografia, dalla pittura al video fino alla scultura.
Espoarte, in anteprima, ha incontrato l’artista albanese.
In occasione della IX Giornata del Contemporaneo inauguri al PAC, Vite in Transito. Com’è cambiata la presenza dell’arte contemporanea a Milano? Quale contributo ritieni che la mostra possa apportare?
Milano è una città significativa per l’arte contemporanea in Italia e perciò, una mostra al PAC, che rimane l’unico spazio pubblico totalmente dedicato al contemporaneo, è un momento importante. Come ogni mostra, anche la mia cerca di stabilire un dialogo, di suscitare delle riflessioni, di provocare il pensiero e la sensibilità di chi andrà a visitarla. Fare le mostre vuol dire riattivare i lavori, relazionandoli l’uno con l’altro, con lo spazio e con il fruitore. Quello di essere un contributo, come lo chiami tu, è un augurio che io mi faccio, ma non spetta a me definirne i termini. Quello si vedrà quando la mostra sarà allestita e, anzi, forse si vedrà meglio quando sarà finita.
Dopo molti anni i tuoi video torneranno, tutti assieme, a brillare a Milano. A tuo modo di vedere, quale elemento servirebbe per dare nuova luce alla contemporaneità milanese?
L’Albania, da dove io vengo, è un paese dinamico, pieno di energie, contrasti e contraddizioni interessanti, ma non mi sembra ancora un posto con una scena artistica dalla quale una città come Milano possa prendere dei modelli. Speriamo che un giorno lo possa diventare.
Il titolo del percorso, Vite in Transito, quale aspetto sottolinea della tua vita in corrispondenza alla contemporaneità dell’arte?
In tutte e tre le domande che mi hai fatto finora, hai utilizzato la parola “Contemporaneo”. Difficilissimo da definire, perché nel momento in cui gli viene conferita un’identità perde, come dire, la sua “contemporaneità”. È stato di mio interesse indagare proprio questo aspetto transitorio, che caratterizza profondamente l’essere tanto nella sua essenza quanto nelle sue varie manifestazioni; un’entità analizzata non solo attraverso una speculazione teorica, ma anche attraverso l’esperienza e i mezzi sensibili dell’arte.
Potresti descrivere in breve le opere più significative che saranno installate al PAC soffermandoti sul nuovo progetto dal titolo The Column (2013)?
La mostra mette insieme un gruppo di lavori realizzati in momenti diversi. Ci sono anche alcuni lavori che ho fatto in accademia a Tirana come altri realizzati subito dopo che mettono in luce un tentativo di uscire dal figurativismo accademico dove eravamo obbligati a stare durante il regime, per tentare strade diverse. Poi ci sono i miei primi video, cosi come quelli più conosciuti come Centro di Permanenza Temporanea, Vajtojca. Ho voluto avere una presenza più forte dei lavori degli ultimi anni, come Electric Blue, The Last Gestures, Inside the Circle e The Encounter. Il nuovo lavoro che presento per la prima volta in uno spazio pubblico in Italia è The Column e racconta la storia di un blocco di marmo estrapolato da una cava nel nord di Beijing per essere portato su una nave e per essere scolpito nell’Oceano durante il viaggio fino a trasformarsi in una colonna di stile classico. Il viaggio ha una partenza, ma non ha una fine, se non quella della realizzazione della colonna stessa. Non vuole essere un documento, ma un racconto visionario che sta tra il possibile e il fantastico. La stessa colonna, dopo essere arrivata dalla Cina a Parigi per la mostra di Jeu de Paume, viene mostrata anche all’interno del PAC. C’è anche una presenza di pittura nella mostra perché essa rimane non soltanto un punto di partenza per me, ma anche una pratica che continua ad essere presente nel mio lavoro.
Dai disoccupati silenziosi di Turn On (2004) agli uomini in marcia verso un aereo pronto a decollare in Centro di Permanenza Temporanea (2007); dai volti estatici dei fedeli raccolti di fronte all’icona sacra di PilgrIMAGES (2005) ai lamenti della prefica che celebra il passaggio dalla morte alla vita in Vajtojca (2002) fino all’artista stesso che entra in contatto con il pubblico stringendo ad una ad una le mani dei presenti in Encounter (2011), quale di queste vite in transito si avvicina di più alla tua e perché?
Faccio fatica a individuare un elemento della mia vita che corrisponde o si avvicina di più a queste Vite in Transito a cui ti riferisci perché proprio nell’insieme degli eventi che si realizza questo essere “in transito” e non in un singolo fatto. Sicuramente il mio lavoro è figlio di una grande rottura storica. La rottura che ha segnato il crollo del regime dove vivevamo chiusi e isolati dal resto del mondo, seguito dopo dall’esplosione di aspettative, curiosità, desideri, illusioni e delusioni. Senza dubbio, un ruolo importante ha avuto nel mio lavoro anche l’educazione e la pratica della pittura che ho svolto da quando ero bambino.
Come mai è stato scelto di inserire un contributo di Giovanni De Lazzari (Lecco, 1977) all’interno del tuo percorso? Potresti descriverci il progetto che sarà installato al PAC?
Conosco Giovanni De Lazzari da quando insegnavo all’Accademia Carrara di Bergamo e in seguito siamo diventati amici e colleghi. Da qualche anno, Giovanni lavora su delle strutture che ospitano immagini, creando delle architetture mentali abitate da un pensiero visivo che lui costruisce partendo da un ricchissimo archivio di immagini. Per la mostra, Giovanni prenderà una serie di miei lavori che fanno parte della collezione di Luciano Formica e li disporrà in strutture che costruisce. È un modo di utilizzare il display come mezzo espressivo dove il mio lavoro entra in dialogo con la sua visione e, come dire, è costretto a stare dentro le regole del gioco che egli dispone.
Progetti futuri?
Una casa in Albania.
ADRIAN PACI. Vite in transito
a cura di Paola Nicolin e Alessandro Rabottini
mostra prodotta in collaborazione con prodotta con il Jeu de Paume di Parigi, il Röda Sten Konsthall di Göteborg e il Trondheim Kunstmuseum di Trondheim
5 ottobre 2013 – 6 gennaio 2014
5 ottobre dalle 18.00 alle 24.00 (inaugurazione aperta al pubblico in occasione della 9° Giornata del Contemporaneo)
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro 14, Milano
Info: +39 02 88453314 (Ufficio Stampa Comune di Milano)