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MILANO | MANUEL ZOIA GALLERY | FINO AL 23 NOVEMBRE 2024

di ALESSANDRO MONDINI

Fino al 23 novembre 2024, Manuel Zoia Gallery presenta a Milano BLACKBOARD VIBES, la nuova mostra personale dell’artista, regista e performer Andrea Cusumano. Nato a Palermo nel 1973, Cusumano ha lavorato per più di trent’anni a stretto contatto con Hermann Nitsch, per il quale ha diretto dal 1997 l’orchestra di tutte le prime esecuzioni dell’Orgien Mysterien Theater (Teatro delle Orge e dei Misteri).
Nella tensione tra pittura e teatro che anima la sua ricerca personale, Andrea non si riconosce né pittore né drammaturgo, ma «arciere». Immagine e azione sono per lui i due estremi di un arco in trazione, che lo rendono demiurgo di un’arte che risponde per necessità alla tradizione del Gesamtkunstwerk. La scorsa primavera il Nitsch Museum di Mistelbach gli ha dedicato un’importante retrospettiva (Raumdramaturgie, 2 marzo – 18 maggio 2024), mentre a settembre le sue performance sono state protagoniste di una mostra personale al Loggiato di San Bartolomeo a Palermo (Pittura e rito, 3 settembre – 27 ottobre 2024). Per Manuel Zoia Gallery, Cusumano ha scelto di esporre alcune opere tratte dai cicli Retablo, Ostrakon e Neri. Lo abbiamo intervistato per parlare di Hermann Nitsch, Tadeusz Kantor, opere d’arte totali e processo creativo.

Andrea Cusumano, Serie Retablo H1-3, materiali vari su teca, 53 x 52, 2010

La tua carriera artistica e professionale si è intersecata per oltre trent’anni con quella di Hermann Nitsch. Prima come allievo alla Internationale Sommerakademie di Salisburgo, poi come collaboratore e direttore d’orchestra dell’Orgien Mysterien Theater. Quale influenza ha avuto su di te questa esperienza? Viceversa, quale eredità credi di aver lasciato nelle opere di Nitsch?
Nitsch, non solo è stato per me una grande fonte d’ispirazione, ma anche uno stimolo costante e uno sprone. Da lui ho imparato soprattutto che l’intensità è un abisso senza fine e che possiamo chiedere a noi stessi sempre di più. Non credo di poter dire cosa possa aver lasciato nella sua opera. Certo è che la mia è stata una presenza importante nella sua vita. Forse la mia più grande eredità nelle opere di Nitsch riguarda l’interpretazione delle sue “visioni” musicali. Come spesso ha avuto modo di dire, è grazie a me che la sua musica ha potuto realizzarsi in tutta la sua potenza.

Andrea Cusumano. BLACKBOARD VIBES, veduta parziale della mostra, Manuel Zoia Gallery, Milano Courtesy l’artista e Manuel Zoia Gallery

Nitsch ha scritto di te: «Stimo la sua singolarità nel guardare il mondo, che emerge nelle sue installazioni, sconcertanti rappresentazioni del tragico cambiamento delle cose». Su quali aspetti della realtà ti concentri maggiormente?
Non ho mai considerato l’arte una forma di rappresentazione della realtà. Essa è per me nient’altro che una dimensione del reale. Sono interessato alla sua natura, come materia, come corpo d’azione, come luogo in cui si attiva un processo d’individuazione. La mia indagine artistica coincide con la mia esplorazione epistemica. Tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila portai avanti un’indagine installativa sul tema della morte. È a questi lavori che Nitsch si riferisce nella frase che citi. Ho raramente affrontato temi della quotidianità. Mi è capitato di occuparmene soltanto quando ne ho sentito davvero l’urgenza. Una volta – era il 2009 – feci un reportage pittorico sui primi rimpatri da Lampedusa. Ultimamente, invece, avverto un senso di angoscia per un impoverimento del nostro senso di libertà, per la nostra sete di verità, per il nostro senso di giustizia. Certo: sono grandi utopie mai veramente compiute; ma avverto il timore che alcune certezze con cui sono cresciuto comincino a vacillare. Da qualche mese ho ripreso a disegnare persone, piccole scene di vita quotidiana che testimoniano le grandi contraddizioni del nostro quotidiano. Sono lavori un po’ alla Hieronymus Bosch, lavori ancora in divenire. Ultimamente, dunque, ricorrono nei miei lavori non solo gesti pittorici astratti, non solo immagini mitologiche, non solo indagine sulla conoscenza, ma anche rappresentazione del quotidiano. Forse sono istantanee di un quotidiano che ho difficoltà a capire.

Insieme a Hermann Nitsch, nella tua biografia risuona in più occasione il nome di Tadeusz Kantor, che oltre ad essere stato un grande regista teatrale fu anche pittore e scenografo. Che cosa ti colpisce di lui?
L’intensità espressiva, il rigore formale, l’intransigenza estetica. Anche Kantor era ossessionato dalla dimensione reale della scena. L’arte come artificio, l’attore come maschera e marionetta: tutti temi fondamentali anche nella mia ricerca teatrale e performativa. Per quasi quindici anni ho insegnato teatro nei principali atenei del Regno Unito. Al Goldsmiths, al Saint Martins, al Rose Bruford dedicavo persino un corso intero a Kantor e al suo metodo di costruzione drammaturgica. Kantor era un pittore che con un gesto di grande libertà era scivolato nel teatro. Entrai nel suo mondo grazie a una delle sue più straordinari attrici: Mira Rychlicka. Quando la incontrai a Cracovia, mi disse che ero un pittore, quindi dovevo fare teatro. Le dissi che non sapevo da dove cominciare, e lei rispose «ti aiuto io». Kantor e il Cricot 2 sono stati il mio imprinting nella drammaturgia. Insieme hanno dato forma al mio mondo performativo e, per converso, a quello pittorico.

Andrea Cusumano, Serie Ostrakon, terracotta, vetro fuso e pigmento, 20 x 40 x 3, 2023

Nitsch e Kantor hanno una concezione metodica della propria arte. Lo stesso vale anche per te? Come organizzi il tuo processo creativo?
Kantor fu un grande sperimentatore. Sino a poco prima de La classe morta era un continuo superarsi; poi – ma a quel punto aveva già sessant’anni – comprense di aver creato qualcosa di davvero unico, qualcosa da preservare. Nitsch ebbe questa intuizione quando era molto giovane. A soli diciannove anni teorizzò il Teatro delle Orge e dei Misteri, un progetto che ha sviluppato sino alla sua morte con incredibile coerenza, rendendolo via via sempre più articolato. Ciononostante, entrambi sono legati all’idea dell’opera d’arte totale, del Gesamtkunstwerk. Penso che nella mia indagine artistica siano rintracciabili elementi di queste due ricerche apparentemente così diverse: la dimensione sperimentale, l’oscillazione irrisolta tra il performativo e il pittorico, l’arte come materia e non come rappresentazione. Il mio metodo è di “pratica-come-ricerca”. Il mio agire creativo non è mai ripetizione, ma è sempre indagine ed esplorazione di territori a me ignoti. L’arte è per me un campo d’azione umana in cui il corpo ha ancora un ruolo determinante nel compimento della conoscenza.

Andrea Cusumano. BLACKBOARD VIBES, veduta parziale della mostra, Manuel Zoia Gallery, Milano Courtesy l’artista e Manuel Zoia Gallery

Lo scorso 7 novembre hai inaugurato negli spazi di Manuel Zoia Gallery a Milano una nuova mostra personale, intitolata BLACKBOARD VIBES. Ti va di parlarcene?
Avendo un lavoro molto variegato, tendo a cercare una chiara narrazione espositiva. In questa mostra ho raccolto diversi lavori legati al nero. Lo sfondo nero è per me un luogo insaturo, in cui la luce ha facoltà di nascere. In BLACKBOARD VIBES ricorrono anche gesti veloci di colore che si sintetizzano in ricerche figurative, astratte, collage e nei recenti Retablo (grandi foto-pitture in cui cristallizzo in nuove immagini il mondo delle mie performance). Sono quasi tutti lavori su carta che esprimono un altro grande tema d’interesse nella mia ricerca: la mimesis. Che per me non ha a che fare con la rappresentazione della realtà, ma piuttosto con la danza che un artista compie insieme all’universo. Vibrazioni sul nero, dunque. Questo è fil rouge che collega i lavori in mostra.

Andrea Cusumano. BLACKBOARD VIBES

7 novembre – 23 novembre 2024

Manuel Zoia Gallery
Via Maroncelli 7, Milano

Orari: da mercoledì a sabato 15.00–19.00

Info: +39 333 4914712
info@manuelzoiagallery.com
www.manuelzoiagallery.com

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