BOLOGNA | Fondazione MAST | 11 ottobre 2024 – 6 gennaio 2025
di FRANCESCO LIGGIERI
Chi ha familiarità con la storia della fotografia, e con il suo particolare statuto di “falsa trasparenza”, come la definisce Roland Barthes, sa bene che questa non è mai stata mera riproduzione del reale. Chi ne sa di fotografia, sa anche che è sempre più difficile vedere qualcosa di davvero interessante in tal senso, nell’epoca del tutto instagrammabile, le immagini hanno perso la loro vera forza primordiale. Vera Lutter, con le sue opere, invece non soffre di questo problema anzi radicalizza questa consapevolezza fino a portarla al paradosso: la fotografia non è più il mezzo attraverso cui l’occhio umano si appropria del mondo, ma diventa il luogo di una rivelazione del suo opposto, il negativo. Alla Fondazione MAST di Bologna, Spectacular non è solo una mostra fotografica, ma un saggio in immagini che solleva interrogativi sulla natura stessa dell’arte visiva. Lutter non cerca di riprodurre il mondo, ma di trasfiguralo. Si serve di tecniche desuete come la camera oscura, uno strumento che ci riporta alle origini della fotografia, quando la cattura della luce era un processo lento, paziente, quasi liturgico.
Questo ritorno alle radici non è un esercizio di (triste) nostalgia, bensì un gesto concettuale: la lentezza del procedimento diventa la lente attraverso cui il tempo e lo spazio si scompongono e si ricompongono in nuove configurazioni (meraviglia). L’inversione delle luci e delle ombre che caratterizza le immagini di Lutter non è soltanto un espediente tecnico, ma una riflessione filosofica. Potremmo chiamarlo il paradosso del negativo: ciò che dovrebbe illuminare si fa oscuro, e ciò che dovrebbe essere celato nella tenebra emerge nella chiarezza spettrale della luce inversa. Potremmo qui richiamare quel celebre passaggio di La struttura assente, in cui si discute della capacità dei segni di rimandare a un mondo che non esiste più, o che forse non è mai esistito, eppure che continua a persistere nella nostra coscienza come assenza pregnante. È lo stesso meccanismo che Lutter attiva nelle sue opere: una tensione tra presenza e assenza, dove l’immagine non rappresenta più il mondo, ma ne rivela il rovescio, l’inquietudine, il lato nascosto. Prendiamo come esempio le sue immagini delle strutture industriali – miniere di carbone, centrali elettriche, fabbriche dismesse – che, nel loro essere monumenti del progresso, diventano in realtà emblemi di un passato immobile, quasi dimenticato. Nella Lutter queste strutture si trasformano in simulacri di una realtà che non ci appartiene più, fermate in una temporalità sospesa. Le sue fotografie non documentano, ma evocano. Evocano la presenza fantasmagorica di un’epoca che sembra perpetuarsi solo nella memoria delle sue rovine. Sappiamo che l’arte non è mai univoca, non è mai completamente definita, ma si presta a continue reinterpretazioni. Le fotografie di Lutter sono, in questo senso, un esempio paradigmatico di opera aperta: l’immagine non rivela tutto, ma lascia intravedere; non mostra il reale, ma l’inversione del reale. È come se la luce, anziché chiarificare, velasse, costringendoci a guardare oltre ciò che appare.
Nell’analisi semiotica del visibile, ad esempio abbiamo imparato a non fidarci mai di ciò che vediamo. L’immagine è sempre un sistema di segni che rimandano ad altro. Nel caso di Lutter, questi segni si invertono, si ribellano all’idea di rappresentare fedelmente la realtà. Potremmo richiamare qui la teoria dei simulacri di Baudrillard, che ci mette in guardia contro l’illusione che l’immagine possa essere specchio del mondo. Lutter porta questo concetto all’estremo: l’immagine diventa il suo contrario, un evento in cui la presenza è soltanto un riflesso dell’assenza. Come diceva il grande Umberto Eco, “non si dà significato senza una negazione di senso”. E qui la negazione di senso è radicale: la fotografia non ci mostra più, ma ci nasconde. C’è un’idea di monumentalità in Lutter che non riguarda soltanto la dimensione fisica delle opere, ma il loro statuto ontologico.
La macchina fotografica diventa essa stessa una macchina del tempo, capace di catturare non solo ciò che è visibile, ma ciò che resta fuori dal nostro campo di visione. Le sue stampe, che fissano immagini in negativo su enormi fogli di carta fotosensibile, sono testimoni silenziosi di questa assenza: una sorta di archeologia dell’immagine, in cui ogni opera è un frammento di un mondo altro, un mondo che esiste solo nella possibilità della sua negazione. In fondo, il lavoro di Lutter ci invita a ripensare la nostra relazione con l’immagine e con il mondo. È un invito a considerare il negativo non come un difetto del visibile, ma come una sua dimensione essenziale. La nostra capacità di comprendere passa attraverso il riconoscimento del vuoto, dell’assenza, dell’invisibile. E forse è proprio in questa inversione spettacolare della luce che Vera Lutter trova la sua più potente forma di espressione filosofica.
VERA LUTTER. SPECTACULAR
Un’esplorazione della luce
A cura di Francesco Zanot
11 ottobre 2024 – 6 gennaio 2025
FONDAZIONE MAST
via Speranza 42, Bologna
Orari: da martedì a domenica, ore 10.00 – 19.00
Ingresso gratuito
Info: www.mast.org