ROMA | Matèria | 19 febbraio – 7 maggio 2022
di ANTONELLO TOLVE
Nei sette brillanti lavori che Giulia Marchi presenta nella sua seconda personale (Una pietra sopra) alla Matèria Gallery di Roma, la scrittura è parte integrante di una visione plastica – di una lacaniana paranoia critica – che mira ad annettere connettere ammettere al suo interno diversi livelli linguistici, diverse sollecitazioni temporospaziali e culturali, diversi strati o stati di pensiero che pensa la forma in tutta la sua squillante presenza materica, in tutta la sua incredibile radicalità morfemica e cromemica.
Ad aprire lo splendido percorso è una sottile asta metallica in cui sono infilati alcuni tabulati a modulo continuo per fax su cui si legge il titolo dell’opera (Questa non è una risposta ma un evento nel vuoto, 2022) che assorbe un passo della conferenza tenuta da Emilio Villa nell’ottantaquattro all’Accademia delle Belle Arti di Perugia: «si sono sparati, si sono suicidati tutti. Tutti». Villa si riferisce a Gorky, Pollock, Rothko. «Questa non è una risposta, ma è un evento del vuoto, però, un cadere nel vuoto dopo aver improvvisato una nuova vicenda dell’arte, completamente nuova, completamente dedicata alla vita».
Da Emilio Villa sono anche tratti i nomi di due altri lavori – È tutto nella testa (2022) e Il mondo addirittura è la figura dell’impossibile e l’impossibile non è il vuoto (2022), del resto «il mondo è soltanto un aspetto moderno del vuoto e del nulla. Però il moderno è tutto, tutto quello di cui disponiamo» – che vanno a creare, in mostra, una sorta di triangolo scaleno, una triarticolazione del pensiero, una pre-occupazione-visiva che si fa Gesamtstruktur, visione plasmante e assorbente, intervento sinfonico dello spazio trasformato, mi pare, esso stesso in linguaggio primario dentro il quale interagiscono tutta una serie di altri livelli linguistici, come quello della parola che va a generare vere e proprie azioni scultoscrittoree. «In effetti succede spesso, con Giulia Marchi, che nell’opera la parola sia presente come traccia, sinopia, innesco figurale poi cancellato, sottratto, fisicamente forcluso» avverte Andrea Cortellessa nel testo che accompagna la mostra: «l’immagine-guida che subito mi ha colpito, fra quelle da lei previste sulla carta, è quella di un’alta risma di fogli pressati da una morsa di ferro» (È tutto nella testa). «La sua dimensione non è quella del mistero; al contrario è quella del segreto: un’origine trascendente e dunque irraggiungibile, ma insieme perfettamente immanente, a portata di mano. La sua vera lettera resterà sempre rubata: esposta in piena luce, non potremo mai leggerla».
Ora, se da una parte l’artista modella via via l’opera plasmando appunto lo spazio espositivo – evidente è questa operazione nel lavoro denominato L’infallibilità è rigorosamente monocroma (2022) che richiama alla memoria la Libera dimensione (Azimuth 2, Milano 1960) di Piero Manzoni («Alludere, esprimere, rappresentare, sono oggi problemi inesistenti. L’infinibilità è rigorosamente monocroma, o meglio ancora di nessun colore») dove l’infinibile diventa infallibile –, dall’altra il materiale adottato è esso stesso parte integrante (consustanza) del momento più strettamente riflessivo e evocativo.
Quasi come rimandi e rimbalzi continui a figure dell’arte o della letteratura, i materiali adottati da Giulia Marchi richiamano infatti idealmente aspetti ben precisi di ricerche: sono indizi essenziali e asciutti di poetiche, sono idee, sono scelte d’autori con cui dialogare e da cui partire per avviare un processo di studio, di lucido stupore, di potentia activa: per Manzoni poc’anzi citato l’artista utilizza la lana, per Platone onice e vetro (Ricettacolo delle forme #1, 2022), per Michelangelo il marmo (Ci sono ferite che per cicatrizzarsi hanno bisogno di altre ferite, 2022), per Giorgio Manganelli di Centuria – di Manganelli adoro tra l’altro l’irraggiungibile storia parallela di Pinocchio – la carta Xuan (Quaranta righe più due metri cubi di aria, 2022). «Ho l’impressione che i racconti di Centuria siano un po’ come i romanzi cui sia stata tolta tutta l’aria» dichiara proprio Manganelli nella penombra mentale della sua Centuria. Cento piccoli romanzi fiume (1979). «Ecco: vuole una mia definizione del romanzo? Quaranta righe più due metri cubi d’aria. Io ho lasciato solo le quaranta righe: oltretutto occupano meno spazio, e lei sa bene che con i libri lo spazio è sempre un problema enorme». Ancora. «Avevo per caso molti fogli da macchina leggermente più grandi del normale e mi è venuta la tentazione di scrivere sequenze narrative che in ogni caso non superassero la misura di un foglio: è un po’ il mito del sonetto, cioè di una struttura rigida e vessatoria con la quale lo scrittore deve necessariamente misurarsi. Ma il fascino è tutto qui: in un tipo di scrittura che ti obbliga all’essenziale, che ti costringe a combattere contro l’espansione incontrollata. Insomma credo che se non avessi avuto quei fogli non sarei mai riuscito a scrivere questo libro».
Una pietra sopra | Giulia Marchi
testo di Andrea Cortellessa
19 febbraio – 7 maggio 2022
Matèria
Via dei Latini 27, Roma
Orari: da martedì a sabato dalle 11:00 alle 19:00