ROMA | FONDAZIONE VOLUME ! | FINO AL 31 OTTOBRE 2023
di MARIA VITTORIA PINOTTI
Agghiacciante è l’idea per cui il sentiero di una strada sia un tracciato lineare, piuttosto che un’esperienza da condividere, in cui le sovrapposizioni, i bivi e gli incroci rendono scorrevole il flusso delle informazioni. Va da sé, che le morfologie installative, generate dall’unione e dall’accostamento di elementi di ogni sorta, generino trame ed immagini nello spazio: una plastica visiva, in altri termini, intesa a produrre e segnare nuove zone. Ed ecco, che sfidando i tradizionali assunti della materia installativa, quanto sopra, prende corpo con l’artista Valentina Palazzari (Terni, 1975) nella mostra intitolata FU MARE, in programmazione presso la Fondazione VOLUME ! di Roma, dal 28 settembre al 31 ottobre 2023, con un testo di Davide Sarchioni. Proprio secondo il lucido scritto del critico appena citato, l’artista «verifica le proprietà fisiche e le qualità estetiche dei materiali entro la concretezza della dimensione spaziale, quanto quella storica e temporale». Secondo tale intenzione la Palazzari ridefinisce, infatti, l’esperienza di un nuovo spazio, unendo ciò che di norma in natura è saldato, come l’acqua, il metallo, la ruggine con i più eterogenei elementi utili alla produzione di energia elettrica. Nell’insieme di artefatti, che segnano ruvidamente il cammino espositivo, si ritrova un’artista che lavora la materia senza alcuna ambizione realistica, ma scardinatrice invece, come nel caso delle spine elettriche poste a fallimento di un passaggio di scarica, ma che tuttavia rimangono comunque straordinariamente espressive. In questa personale estensione del mondo, è pregnante per l’espositrice la forte pervasività allo sconfinamento dei materiali utilizzati, facendo affiorare la definizione di opera come luogo dalle ritmiche inattese e varietà dinamiche.
Sicché, in questo fascio di relazioni trova origine il progetto in rassegna, abilmente generato da un lavorio manuale che richiede un’azione fisica potente ed al contempo solare atta ad imprimere e forgiare i materiali alterati. Ed ecco, a tal riguardo, l’esplosione di prese elettriche sul muro, l’un chilometro lineare di cavo industriale che serpeggia lungo le pareti e nel soffitto, barattoli vitrei a compressione colmi di acqua e sottili polveri di ruggine. Così, il serio gioco dell’arte della Palazzari si concretizza con la materia lavorata, il tutto finalizzato ad imprimere vita, sostanza e colori ad una disinvolta frammentazione di diversi inciampi visivi godibili e frazionati nello spazio della Fondazione. In questa ridefinizione di luogo espositivo, si racchiude anche un atto di riflessione semiotica, in cui il segno linguistico è tacitamente privilegiato, per cui il titolo FU MARE potrebbe riferirsi al passato remoto del verbo essere o altrimenti far riferimento alla locuzione che allude all’atto del prendere fuoco. Tuttavia, secondo entrambe le soluzioni, lo spettatore è libero d’interpretare quanto crede, dimodoché, assieme alla scoperta dei processi compiuti dall’artista, per trasformare lo spazio ed erodere le tipiche gerarchie dell’arte, si conviene ad una logorazione del paradigma dell’opera installativa, per sottolinearne, di contro, il puro aspetto iconico. Ragione quest’ultima che induce la Palazzari ad eseguire il ricalco del valore dell’intertesto di ogni singolo intervento, per cui ogni opera si basa su uno scambio vitale: la mostra, pertanto, non risulta connotata da un collegamento neutro, bensì cifrata da un mirabile generatore di rapporti associativi che il mittente stesso è libero di intendere nelle ardite estetizzazioni spaziali.
Secondo tale formula gli interventi della Palazzari, sebbene siano fortemente laboriosi, non presentano un carattere costruttivista, ovvero volti alla ricerca dei materiali utilizzati ed alla loro manipolazione, ma semmai fortemente idealista. Per cui è direttamente l’opera a produrre l’idea nella sua pura forma di dissenso sino a generare una fase di attesa, quasi uno spasmodico attendere invano che i cavi elettrici penzoloni nell’ambiente inneschino inaspettatamente un esiziale cortocircuito. Occorre una pulsione immaginativa davvero poderosa per decidere di tappare con dei barattoli in vetro l’ingresso del luogo espositivo, sino a non permetterne l’uscita perché occlusa da una installazione video. Va da sé che in entrambi i casi, si tratta di un processo meditato di una sensibilità tecnica suggestiva e particolare, che sconfina la classica visione dello spazio, capace com’è di cogliere nuove inclinazioni scardinandone, al contempo, il normale flusso di visita. In questa dinamica rappresentativa appare tangibile che uno degli obbiettivi della mostra sia proprio quello di immaginare una nuova forma spaziale, toccando, nel mentre, l’aspetto fenomenologico tra astrazione e figurazione, struttura e referenza dai profondi e meditati segni letterali metaforici.
È da tali presupposti che la Palazzari ragiona sull’ecosistema ambientale specifico del luogo, caratterizzato, com’è da una soglia di umidità poco al di sopra del normale tale da giustificare la presenza di vapore e lo stato di brina presente nei barattoli in vetro; mentre i cavi elettrici, sfilacciati nelle parti terminali e tenuti da delle fascette sommessamente unite, alludono ad una operazione eseguita per portare luce nei bui ambienti. Tutti particolari eterogeni, in altri termini, che l’artista cura con doverosa manualità, lasciando un insieme di opere intenzionalmente imperfette. Difatti, il progetto, anche se ispirato da una visione d’insieme, include un orizzonte diagonale, per cui tutte le opere se considerate singolarmente appaiono cose dure, di pura fisica e chimica, sì da accompagnare lo spettatore verso luoghi inesplorati laddove si matura una suggestiva lettura idiosincratica. Tuttavia, ciò che definisce le scelte della Palazzari è un qualcosa di molto fisico, dai tratti scabri e duri, per cui la sua riuscita equivale anzitutto a valicare l’ambiente della Fondazione stessa con il proprio corpo, un atto che delimita la necessità di affermare la peculiare presenza materiale per farci toccare la fragile coerenza dell’essere anche noi, dei vivi e convinti protagonisti.
Nondimeno, la mostra rimane ben strutturata, sì da non essere riduttivamente referenziale e didascalica, perdipiù presenta anche un accenno di intimità, che induce a librare nuovi significati. Questo è quanto avviene se ci si lascia cullare dalla voce spezzata nella nenia di sottofondo appena diffusa in tutte le sale sotto la pressione emotiva di un enunciato misterioso che si incrina per l’emozione e si ammutolisce per essere più espressivo di qualsiasi altra vibrata eloquenza. Uno schema realizzativo che si pone come un istante di ricchezza in termini di riflesso non facendo mai emergere contraddizioni ambientali, ma riflettendo su un nuovo modo di coniugare la normale visione delle cose; dimodoché per l’artista il carattere informativo si perde e rimane in bilico in una struttura idealista della realtà. Per chiudere, in tale percorso, che può sembrare apparentemente alienante, l’ambiente è caratterizzato da una riuscita circolarità, una dipendenza tra ciò che è accaduto nell’atto creativo e ciò che viene raccontato. E l’obbiettivo è sempre quello di evolversi nella necessità di contraddire, di mischiare l’acqua l’elettricità, per farsi intertesto, un dialogo, infine, eseguito per contatto e cortocircuito tra emissione e ricezione.
Valentina Palazzari. FU MARE
Con testo critico di Davide Sarchioni
28 settembre – 31 ottobre 2023
Fondazione VOLUME !
Via di San Francesco di Sales 86/88, Roma
Orari: dal martedì al venerdì dalle 17.00 alle 19.00
Info: + 39 06 6892431
www.fondazionevolume.com