CHIARI (BS) | Galleria D’Arte L’Incontro | Fino al 20 febbraio 2023
Intervista ad ILARIA BIGNOTTI di Francesca Di Giorgio
Quella che doveva essere una recensione ad una mostra, Scenari dell’Arte Povera, in corso fino al 20 febbraio alla Galleria D’Arte L’Incontro, è diventato un dialogo con la curatrice Ilaria Bignotti, a dimostrazione di quanti pensieri ci siano ancora da scambiarsi su uno dei movimenti storici più famosi di sempre e ancora “scenario aperto” su cui agire e riflettere criticamente… Impossibile non partire da Germano Celant per poi pensare ai poveristi di ieri e di oggi, dalle opere di Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio, al testo testo introduttivo in catalogo di Ilaria Bignotti che, citando Celant, arriva a sintetizzare i punti cardine di riflessione delle ricerche poveriste, oggi temi caldi nelle riflessioni contemporanee, nell’arte, nella società, in politica… Sembra facile partire da queste certezze ma di fatto è molto complicato confrontarsi con un movimento così storicizzato e su cui sembra si sia detto tutto…
Da dove sei partita per costruire questa mostra? Da dove arrivano le opere in mostra? Che tipo di ricerca hai condotto?
Il progetto espositivo nasce come percorso attento e strutturato dalla volontà di Erminia Colossi che con una ricerca condotta nel tempo ha saputo selezionare e custodire, senza immetterle immediatamente sul mercato, opere di grande rilievo del movimento poverista, dialogando con gli archivi che rappresentano gli artisti e pensando a un organico scenario espositivo nel quale mi ha coinvolto in alcune occasioni. Diciamo che la mostra quindi nasce come restituzione importante e prestigiosa di un cammino lento di ricognizione e raccolta. Venendo al tema espositivo, mi è sembrato corretto parlare di scenari proprio perché, come scrivo anche nel saggio in catalogo, le intuizioni narrative e le immagini letterarie scaturite da quel movimento, e in quel periodo storico, rappresentano una fonte di riflessioni e di ispirazione attuali: non solo per gli artisti, ma per l’intera comunità di persone che si trova a dover fare i conti con un sistema sociale, economico e relazionale completamente scardinato rispetto ai modelli apparentemente consolidati e in un certo senso rimasti in essere sino al primo quindicennio del Nuovo Millennio. La rivoluzione radicale e a tratti anche violenta che ha caratterizzato il Sessantotto europeo, e sulla quale si è innestata, ispirandone anche diversi presupposti, l’Arte Povera, è oggi un ideale scenario aperto dal quale provare a trarre spunti di pensiero e anche di comportamento attuali: l’attenzione nei confronti di una dimensione più umana e in grado, se non di ribellarsi, di essere libera nell’utilizzo delle nuove tecnologie; il richiamo a una dimensione naturale e di nuova comunione anche spirituale con la natura; la celebrazione dell’amore nel rispetto delle unicità e delle diversità; la rivendicazione della libertà nomadica e dello scambio culturale.
Ai poveristi va il grande merito, a mio parere, di aver attribuito all’artista il ruolo di mediatore/portavoce e a Celant di aver teorizzato un concetto affatto banale, ieri come oggi: la vita è un continuo tableau vivant, per citare Celant, “dove il quotidiano si è tramutato in scena e l’unica possibilità di vita sembra risultare il teatro”…
Ecco, questo è un altro tema che si innesta sul titolo espositivo che come sai è per me sempre molto importante: il titolo è il nome di una mostra, la sua carta di identità in un certo senso, la prima “spia” di contenuto. E ovviamente, la tua riflessione è calzante e ci fa pensare a maggior ragione a quanto l’Arte Povera continui a ispirare le esperienze anche recenti performative, il dialogo con la città, l’importanza di trovare una dimensione aperta e liberata di dialogo con il fruitore e con il pubblico casuale. Pensiamo a cosa accadde allora, alla palla di giornale di Pistoletto per esempio, un mondo di carta che si ingrandisce a passeggio per le strade, con il contributo di tutti. Oggi i termini di arte collettiva, partecipata sono iper diffusi, ma allora queste cose erano una esplosione senza preavviso, un’intuizione folgorante. Ci sono in mostra due lavori di Pistoletto che in tal direzione raccontano l’evoluzione della sua ricerca: Dentro e fuori, 1977, costituita da una tela emulsionata con intervento a matita, un ambiente immaginato eppur reale che pone tutti noi nella condizione di spettatori e possibili fruitori di un luogo del pensiero.
Dieci anni prima, tra il 1957 e il 1958, Pistoletto dipingeva Fiori ad Israel: una delle prime opere nelle quali l’immagine diventa icona, si staglia su un fondo nerastro che sarebbe stato la base dei successivi Autoritratti, prima con l’olio così lucido da essere specchiante, poi con l’uso dello specchio, vero e proprio.
Solo pochi giorni fa la notizia della scomparsa di Efi Kounellis, compagna di Jannis, che di Arte Povera e teatro ne sapeva qualcosa, ha vissuto pienamente un con lui un momento storico riassunto così nelle parole di Jannis: “Ciò che oggi dobbiamo fare è stabilire un’unione tra la vita e la nostra pratica artistica”…
Immenso Kounellis, ne ho appena ammirato una sala straordinaria allestita al m.a.x. museo di Chiasso, nel contesto della mostra: materia, gesto, impronta, segno: l’opera grafica di Burri, Vedova, Kounellis, Paolucci e Benedetti.
Per rispondere a quanto mi scrivi, ricordo un pensiero del 1967 di Germano Celant che a mio dire diceva già tutto, o comunque moltissimo, di questo maestro straordinario: “colpito dalla ricchezza del suo esserci, recupera il suo gesto artistico col dare il becchime agli uccelli, con lo staccare le rose dal quadro, ama circondarsi di elementi banali, ma naturali quali il carbone, il cotone, un pappagallo. Tutto si riduce a un conoscere concreto che lotta con ogni riduzione concettuale, l’importanza è focalizzare, per Kounellis, che Kounellis vive”. Ancora la natura, ancora lo scenario dell’atto artistico: di questi principi al centro dell’Arte Povera, si fanno portavoce le due opere proposte di Jannis Kounellis che diventano traccia, segno di un passaggio alchemico di materia profondamente nera.
Parlare di teatro e di scena porta inevitabilmente a parlare dell’aspetto performativo nel lavoro condotto dai poveristi nello spazio e con gli oggetti. Il titolo per questa mostra, Scenari dell’Arte Povera, è altrettanto eloquente in questo senso…
In mostra c’è un bellissimo lavoro di Giulio Paolini che racconta di questa messa in scena impossibile, o meglio solo potenziale, del mondo: Teatro del mondo, del 2016, un trittico che mostra la scena centrale di un palcoscenico canonico, e due quinte laterali: a esporsi, è, appunto, l’impossibile immagine della nostra Terra, con i pianeti, accennati anche sulle righe di un pentagramma, nelle quinte laterali. Chi è il direttore dell’orchestra, chi conduce la musica, chi mette in scena l’arte?
Infine… Mi racconti qualcosa su La Stella di Camogli l’opera di Gilberto Zorio del 2006 scelta come cover del catalogo?
Certamente: è una delle tre tre opere proposte, due delle quali, datate 1992 e 2006, pongono al centro del campo visuale proprio il contenitore alchemico, uno dedicato al compositore Gioacchino Rossini – in memoria della passione per la musica del padre – gli alambicchi rimestano la materia pittorica, non riescono a contenere l’esalare della sua potenza che esce e schizza fuori, invadendo il perimetro grigio antracite e grigio più chiaro delle due opere; la Stella di Camogli (2006) terza opera del maestro, è una dichiarazione della possibilità di apparizione di un simbolo, tra lacche e materia fosforescente, sullo scenario del pensiero. Nel testo che Celant compose nel 1967 quale manifesto del movimento dell’Arte Povera, le opere di Zorio sono definite “entità espressive […] enfatizzazioni visuali di un avvenimento instabile […] Un’imprevedibile coesistenza tra forza e precarietà esistenziale che sconcerta, pone in crisi ogni affermazione, per ricordarci che ogni “cosa” è precaria, basta infrangere il punto di rottura ed essa salterà. Perché non proviamo col mondo?”, chiedeva il critico.
Mi piacerebbe chiudere così la nostra conversazione, che ne pensi?
Salutarci così è perfetto… Grazie Ilaria.
Scenari dell’Arte Povera.
Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio.
A cura di Ilaria Bignotti
Fino al 20 febbraio 2023
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