ROMA | ACCADEMIA DI FRANCIA A ROMA – VILLA MEDICI | 3 MARZO – 22 MAGGIO 2022
di MARIA VITTORIA PINOTTI
Tra i trattati d’arte del Cinquecento splende univoca la voce di Giorgio Vasari, il quale, domandandosi cosa fosse il disegno, lungi dal considerarlo come una pratica a sé stante, lo valuta come «padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura»[1]. Tuttavia, dalla seconda metà del XV secolo, il disegno, e tutte le arti grafiche annesse, acquisirono autosufficienza, e di contro a ciò che teorizzava il Vasari, gli artisti indistintamente iniziarono a praticarlo come forma d’arte autonoma, proprio quale campo di sperimentazione e metodo di osservazione del mondo. Da tale spinta d’indipendenza trova la genesi il percorso della mostra Gribouillage, Scarabocchio, da Leonardo da Vinci a Cy Twombly, allestita presso L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, fino al 22 maggio 2022, che tratta, secondo un ampio scarto cronologico, il tema del disegno, nella particolare inclinazione a trasfigurarsi in scarabocchio. L’esposizione è di grande rilevanza, beninteso, sia per l’ampia parentesi temporale che unisce lavori dal Cinquecento sino ai nostri giorni sia per la ricchezza espositiva che raccoglie circa trecento opere provenienti dai musei del territorio nazionale ed europeo. Una rassegna unica, in altri termini, organizzata con l’ausilio di un team curatoriale internazionale composto da Francesca Alberti e Diane Bodart ed il curatore associato Philippe – Alain Michaud, resa possibile grazie al sostegno del Centre Pompidou di Parigi, in partnership con l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.
L’esposizione è caratterizzata vuoi da una solida intelaiatura storica vuoi da ripetuti salti temporali sì da indurre, con un’acutezza di sguardo e versatilità, suggestivi ed audaci accostamenti, creando così stimoli interpretativi che sfidano i classici ordini cronologici. All’inizio del percorso al visitatore viene esplicitata la nascita dello scarabocchio nella pratica artistica: sin dagli esordi nei luoghi di bottega laddove veniva praticato come atto volto ad appuntare qualcosa di maldestro su qualsiasi superficie libera o di scarto. A seguire, la parentesi espositiva si amplia per schiudersi splendidamente sull’Avanguardia del Novecento sino ai giorni nostri, volgendo l’attenzione all’ingenuità primitiva con cui lo scarabocchio era momento di libertà creativa proprio per decantare un intimo stato d’animo. In questa ampia e complessa forbice temporale, tra le opere in mostra spiccano, con limpidezza e nitore per valorizzare una vena artistica parimenti inaspettata, i due pannelli laterali di una pala d’altare ad opera di Giovanni Bellini e bottega, raffiguranti san Girolamo e san Ludovico di Tolosa (1454 – 1460). Le immagini dei santi, figure ieratiche di vita contemplativa ed intellettuale, si pongono nello spazio naturale pervaso da una tiepida ed ariosa luce, aura e connotazioni tipiche della pittura veneta dell’epoca. Tuttavia si rimane stupiti quando si scopre il verso di entrambe le tavole da cui si rivelano profili di grottesche e soggetti caricaturali: singolare sorpresa che tende a lasciare interdetto lo spettatore, giacché la maestria e la purezza delle figure sul fronte non lasciano presagire il disordine creativo del retro, cifra di libertà che si presenta nella sua inedita bellezza.
Di altrettanto interesse è anche l’opera disegnativa intitolata Serie di teste caricate (1594 ca.), di Annibale Caracci, il quale, con un animo giocoso e bizzarro affronta il ritratto che si tramuta in caricatura. In questo modo, con un elegante surfing tendente ad abbandonare l’artificio, si approda ad una rappresentazione fisiognomica che ripudia la concettosità e gli effetti di verosimiglianza virtuosistica. Una ennesima intuizione verso la verità ed il naturalismo pittorico, quella di Annibale, Ludovico ed Agostino Caracci, convinti promulgatori in terra lombarda, di queste tecniche tanto da istituire l’Accademia degli Incamminati con lo scopo di una riproduzione artistica dal vero e dal naturale.
Il percorso espositivo, qui va da sé, sintetizzato, risulta altrettanto vivido nella parte dedicata all’arte d’Avanguardia, laddove l’alchimia dello scarabocchio è pregnante nel far emerge una geografia introspettiva che incide sull’irresistibile fantasia creativa dell’artista. A tal riguardo ecco il bel disegno in mostra di Pablo Picasso raffigurante un arlecchino circondato da cani e caricature di Apollinaire (1905): figura solenne dal carattere classicheggiante e di introversa memoria che intende incedere nello spazio coabitato da un gruppo di teste dagli sguardi congelati tutti raffiguranti il cennato Apollinaire nelle vesti di Padre Ubu. Quest’ultimo personaggio, creato dallo scrittore Alfred Jarry, è facilmente riconoscibile per la sua caratteristica testa a pera e viene sfruttato dall’artista come un chiaro esercizio e stimolo verso situazioni creative surreali.
Negli spazi che seguono si coglie, con meraviglia pari ad interesse, un nuovo vaglio interpretativo che rovescia nuovamente la teoria vasariana precedentemente cennata, così lo scarabocchio acquisisce una forma ancora più autonoma e monumentale conquistando spazi comuni quali ideali luoghi di città. Proprio sul finale del percorso, al visitatore si offre l’ingenuità primitiva dello scarabocchio, dimodoché la sottile linea tra arte e vita diventa sempre più fluida ed indistinta. In tale contesto risulta di particolare interesse il gruppo di opere allestite attorno alla tela di Luigi Pericle: in specie, un interessante taccuino di Cy Twombly e un marmo cipollino del I-V secolo proveniente dal Colosseo. Questa riuscita scelta allestitiva profuma visivamente di un’arte dagli echi cavernicoli; segno tangibile della capacità degli artisti di liberarsi della figuratività, verosimilmente come reazione al bombardamento d’immagini della vita contemporanea. Ebbene, questo stato d’animo non poteva esprimersi in modo migliore se non con il cennato taccuino, intitolato North African Sketch Book, redatto nel 1953 dopo un viaggio di studio in Marocco che indusse l’artista a studiare, al suo ritorno a Roma, numerosi reperti africani conservati presso il Museo Pigorini della città. Così, le linee spezzate che paiono eseguite da un fanciullo, ben dialogano con il rilievo cipollino derivante da un gradino del Colosseo rappresentante un padre con un bambino.
Tuttavia, il ritmo della sala è dettato dall’opera di Luigi Pericle per la sua particolare capacità di tradurre il linguaggio scultoreo in una pittura visivamente energetica, segnata da una geometria libera che rarefà degli scribacchiati segmenti geometrici. L’artista, con ferrea tenacia e misurata fantasia, basata su un fatuo pot-pourri, scopre il velo sublime dall’aspro magnetismo del provocatorio gesto. Pericle, in altri termini, si dimostra capace di cogliere, con discrezione, il movimento e la sua ritmicità per mai sovrastarlo, bensì per immortalarne le mutevoli forme in frammenti di cadenzate composizioni visive. Sia pur da questa unica opera in mostra, emerge chiaro l’obbiettivo artistico di Pericle: donare allo spettatore un messaggio poetico espresso con movimenti di conformazioni e colori, disinteressandosi se a due o più dimensioni, poiché l’artista, non preoccupandosi dell’immagine figurativa, si concentra sul grafema e la sua irregolarità che si trasforma in un vibrante battito. Così, proprio con lo stesso Pericle, si può provare a confutare la teoria inizialmente esposta dal Vasari, il quale fissa il disegno con un riconoscimento parziale tra le arti, donando di conseguenza un giudizio alquanto declassatorio. A fronte di tale riduttiva visione, ne emerge una ancor più acuta del Vasari secondo cui il disegno – e qui possiamo affermare anche lo scarabocchio, in particolare anche l’opera di Pericle sopra descritta – sia «espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell’animo»[2].
GRIBOUILLAGE / SCARABOCCHIO
Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly
3 marzo – 22 maggio 2022
Accademia di Francia a Roma – Villa Medici
Viale della Trinità dei Monti 1, Roma
Info: +39 06 67611 | www.villamedici.it
[1] Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1568, introduzioni di Maurizio Marini, 2010, I Mammut, Newton Compton Editori, p. 73
[2] Ivi