NAPOLI | MADRE – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA e FONDAZIONE MORRA GRECO | Fino al 10 aprile 2023
di ANTONELLO TOLVE
Ogni singola opera di Jimmie Durham è una poesia, un canto leggero («credo che ci sia una relazione molto profonda tra la leggerezza e il mio lavoro»), un segnale che invita all’ulteriorità e a principi di restanza, così come individuati da Derrida: «è interessante pensare la mostra come un testo» ha suggerito l’artista in occasione di un progetto speciale curato da Achille Bonito Oliva al MAXXI di Roma. «Forse per me è più una poesia; non un capitolo di un libro ma una poesia in un libro di poesie; una poesia che dovrebbe dare alla gente un sentimento più che un’istruzione. Questo è quello che mi piace della poesia […]». Queste indicazioni preziose su cui Durham pone l’accento, sono, lo sappiamo, tracce preziose di una poetica che si avvale da sempre di lingue fluttuanti e umbratili, di idioletti, di idee che capovolgono ogni centrismo (ogni luogo comune) e che si infilano in tracce culturali da riscoprire, rivalutare, correggere, rileggere con l’occhio vigile del ricercatore, dell’esploratore mai pago di meravigliarsi e di meravigliare. Nato appunto con la poesia, Jimmie Durham è, sin dai primi anni sessanta del secolo scorso, poeta e saggista, artista e attivista politico (non dimentichiamo che è stato figura di spicco nell’American Indian Movement e che ha fondato l’International Indian Treaty Council), intellettuale globale capace di trasformare ogni singola opera in un atto del pensiero, in una riflessione scatenante altre riflessioni.
La lunga sfilata di opere che troviamo oggi nell’imperdibile Humanity is not a completed project, una imponente esposizione – una prima retrospettiva organizzata al Museo Madre di Napoli con la cura di Kathryn Weir (la mostra è un omaggio della Campania, a un anno dalla scomparsa dell’artista) – restituisce pienamente questa sua lucida volontà di concepire il lavoro come un dispositivo capace di innescare appunto pensieri in chi guarda, di dilatare l’orizzonte delle conoscenze, di non fermarsi sulle apparenze ma anzi di decostruire, destrutturare, sabotare «idee e categorie consolidate».
Sono tante le opere in questo splendido viaggio, se ne contano oltre 150 (alcune esposte per la prima volta), e in ognuna la forza di evocare storie o di aprire dossier è davvero potente, proprio come i primi lavori che incontriamo e che risucchiano lo sguardo all’ingresso del cammino: tra questi Gilgamesh (1993), Une blessure par balles (2007), Written in stone (2012) e il meraviglioso Acrylique et fer sur bois (2007).
Il percorso disegnato meticolosamente da Weir è circolare e aperto, ci accompagna didatticamente in ogni sala ch’è costruita come una preziosa atmosfera su temi o riflessioni affrontate dall’artista negli anni. Una, ad esempio, unisce opere che fanno «riferimento alle strategie spaziali sperimentali di Durham in mostre nella prima parte del suo percorso, come A certain lack of coherence (Palais de Beaux Art, Bruxelles 1993) e Original Re-Runs (Institute of Contemporary Art, Londra 1994), in cui l’artista ha creato allestimenti densi che raccoglievano costellazioni di opere singole. La sensazione di sovrabbondanza che ne deriva», la stessa che si respira in questa attenta retrospettiva, «ha creato nuove letture e messo in crisi interpretazioni univoche». Un’altra, con le installazioni On Ioan from the Museum of American Indian (1985) e Museum of European normality (2008, realizzata con Maria Thereza Alves) propone la mobilitazione critica dell’artista con «un’analisi precisa dei processi attraverso i quali la reificazione dell’identità serve gli interessi e le cooptazioni del capitalismo».
Tra le opere in mostra, tutte da leggere e da scoprire, ci sono Malinche (1988-1992) che richiama alla memoria la giovane donna Nahua «associata alla conquista dell’Impero Azteco» (una versione precedente dell’opera, prima di diventare Malinche è stata presentata da Durham per evocare Pocahontas del popolo Powhatan, «che si ritiene abbia contribuito alla creazione del primo insediamento inglese permanente nel Nord America a Jamestown in Virginia»), la costellazione A street level treatise on money and work (2005), La cagette (1990), Cortez (1991-1992), l’ariosa Evidence (2016), alcuni animali esposti per la prima volta alla 58a Biennale di Venezia (2019) Sweet, Light, Crude (2009), El salto (2016) e la poetica These twelve bricks were used to represent the dawn sky in Venice (2015) dove si legge, in pennarello nero, A cloud.
Al piano terra, in un angolo, troviamo La strada di Roma (2011) e al primo piano, solitaria e potente, Ghost in the Machine (2005). «Mi piace l’idea di costringere due scenari lontani a convivere l’un con l’altro», ha suggerito l’artista a proposito di quest’ultima opera. «Costruiamo macchine tecnologiche e poi cerchiamo di dare loro un significato che non hanno, di imporre loro un contenuto culturale. La nostra tecnologia crea il proprio fantasma».
Poco distante dal Madre, alla Fondazione Morra Greco, è possibile visitare And now, so far in the future That no one will recognize Any of my jokes, («una narrazione obliqua del lavoro artistico, del pensiero e dell’attivismo politico di Durham, delle sue letture, delle sue attitudini, delle sue posizioni», a cura di Salvatore Lacagnina), dove si incontra un aspetto più intimo di Durham: il suo legame con Napoli, i fiocchi d’avena a colazione, la scrittura, i libri letti o da leggere, le curiosità, gli anancasmi, la vita con Maria Thereza e tutta l’autenticità di un intellettuale capace di muoversi anche tra l’utilità dell’inutile, tra l’intensità dell’insensato o tra le meravigliose meraviglie della sciocchezza: «mi piace l’idea della sciocchezza; vuol dire che agisci insensatamente anche se in modo serio».
Jimmie Durham: humanity is not a completed project
a cura di Kathryn Weir
23 dicembre 2022 – 10 aprile 2023
Museo MADRE
Via Settembrini 79, Napoli
Nell’ambito di Progetto XXI
Jimmie Durham: And Now, So Far In The Future That No One Will Recognize
Any Of My Jokes
a cura di Salvatore Lacagnina
23 dicembre 2022 – 10 aprile 2023
Fondazione Morra Greco
Palazzo Caracciolo di Avellino
Largo Proprio di Avellino, Napoli