BOLOGNA | Spazio Arte – Cubo Unipol | Fino al 31 maggio 2025
Intervista a FEDERICA PATTI e CLAUDIO MUSSO di Ilaria Bignotti
Non sarà facile uscirne: questa è una mostra, o meglio un’esperienza nata per essere e andare altrove, passando attraverso il mondo digitale e virtuale di quattro protagoniste di fama internazionale della media art: LaTurbo Avedon, Auriea Harvey, Kamilia Kard, Mara Oscar Cassiani. La prima delle quattro, è un avatar.
Il percorso è curato da due attenti studiosi di questi temi: Federica Patti e Claudio Musso, i quali sin dal titolo, UNA, DOPPIA, COLLETTIVA, mettono bene in chiaro come qui, nell’epoca del Metaverso, si stia esplorando l’identità, ancora e sempre, posta in relazione all’altro, all’altrove e all’altrimenti: all’imprevisto e alle potenzialità che l’universo digitale mette in campo e in gioco. Hanno lavorato per mesi a questo progetto, con in mano Pirandello (Uno, nessuno e centomila) e negli occhi la densità di un tema che si articola nei due Spazi Arte di CUBO, il Museo d’Impresa del Gruppo Unipol, e nel metaverso.
Il contesto per inaugurare la mostra non poteva che essere l’ottava edizione di “das. dialoghi artistici sperimentali”, format prodotto dal Museo che, come di consuetudine, apre le porte durante la settimana dell’arte a Bologna, in contemporanea ad Atte Fiera. Puntando a mettere in luce, e a porre in crisi, l’arte stessa nelle più recenti declinazioni e nei più complessi approdi.
Ne abbiamo parlato con chi ha ideato e curato il progetto.

Una doppia collettiva. L’identità al tempo del Metaverso, veduta della mostra, CUBO Unipol, Porta Europa, Bologna
UNA, DOPPIA, COLLETTIVA: pur mettendo in evidenza il tema del molteplice e del possibile, legato al mondo della media art, avete evidenziato che le tecnologie non sono le protagoniste di questa mostra, ma diventano strumenti per esplorare temi archetipici e universali dell’arte, quali la relazione con il corpo, la complessità identitaria, le connessioni emotive e le radici comunitarie, tra reale e virtuale. Avete scelto quattro artiste, di cui una è un avatar: come è avvenuta la selezione e, sebbene abbiamo completamente sdoganato il tema del genere, questa è una mostra “al femminile”; c’è una motivazione?
Abbiamo iniziato a lavorare al concept del progetto espositivo dalla tarda primavera del 2024 e, conoscendoci da molti anni e avendo già collaborato in passato, lo scambio fra noi è stato ricco e naturale fin dalle prima battute: ci siamo ritrovati sintonizzati sulle stesse frequenze, con idee e proposte affini e correlabili, da calare nel contesto di CUBO Unipol.
Abbiamo in primis individuato una serie di concetti e parole chiave, così come un primo gruppo di artisti e artiste con cui avremmo voluto collaborare; la richiesta di CUBO di immaginare l’esposizione attraverso diversi spazi ci ha portato automaticamente a considerarli non solo come luoghi, ma come contenitori di nuclei tematici. Così è nata la mostra visibile oggi nelle sale: le ricerche e i linguaggi di Avedon, Harvey, Kard e Cassiani, per das 08 si sostanziano in formati oggettuali – sculture, installazioni, video –, ognuna delle artiste porta in scena un processo evolutivo sociale, culturale, politico ed economico in atto, per darne una sorta di lettura collettiva, corale.
L’intenzione che guida i progetti presentati poggia su due caratteristiche principali: la prima è la natura ludica, giocosa, cute, critica ma costruttiva, destrutturante ma scanzonata, coinvolgente e divertita; la seconda è di colore, mood, più che di genere: la radice di questi processi artistici è femminile, espansiva, calorosa, un’indole gentile e leggera che tende alla costruzione di una community, alla declinazione del sé corpo/persona attraverso le dimensioni digitali, che coinvolge attraverso un fare accogliente, invogliante. Rivoluzionario, situazionista, non per rottura, ma per confidenza.
In UNA, DOPPIA, COLLETTIVA, accompagnandoci, le artiste invitano a esplorare i mondi virtuali e le loro dimensioni, insieme, in gruppo. Il sentiero, la guida che tracciano non si muove per dogmi, non procede per cliché, per stereotipi, ma per archetipi, riconoscendone antichi e costruendone di nuovi che diventano stelle polari, una sorta di mappa, un know-how umano, antropologico e atavico che trova, oggi come in passato, un suo modo di essere chiave interpretativa dell’ambiente, della comunità, della situazione stessa.
Teschi, conchiglie, fiori, maschere ma anche visori, delfini, gattini, spade e lattine: questi riferimenti simbolici lontani e vicini, sono molto diffusi nella produzione artistica più recente, soprattutto in relazione alle culture digitali. Un po’ come per cercare di disegnare una bussola, dare degli strumenti di lessico, di comprensione per questi nuovi ambienti, con un approccio anche umanistico, in un senso curioso della coscienza umana, che si mette in relazione con l’ecosistema da interpretare.
I riferimenti visivi, dinamici e volumetrici che caratterizzano le opere – sia quelle materiali che quelle virtuali – conducono il pubblico all’interno di un percorso rituale con cui interagire.
La rete e le sue dinamiche sono spesso portatrici di fascinazioni e ritualità primordiali, ricordando quasi l’immagine di una tribù riunita intorno a un fuoco, una schiera di individui che si ritrovano aggregati da un centro energetico, diventando comunità.

Una doppia collettiva. L’identità al tempo del Metaverso, veduta della mostra, CUBO Unipol, Porta Europa, Bologna
La mostra oltre ad aprire infiniti spazi virtuali ponendo il pubblico in una dimensione di interazione, scelta e relazione con essi, si articola in due spazi fisici, i due dedicati all’Arte in Porta Europa e in Torre Unipol del Museo. Come è stata costruita la mostra in questi ambienti e come i due ambienti “reali” dialogano con il terzo, quello appunto che si schiude attraverso queste opere, virtuale?
La possibilità di abitare metaversi è per le artiste occasione per svelare quanto possano essere in realtà alcova, incubatori di emotività declinata attraverso il gesto, la relazione – in termini di partner, di amicizia, di convivenza, di gioco – collettiva: quando si parla di rete, le comunità diventano globali, transnazionali, senza confini.
Ecco, il lavoro delle artiste inneggia ad una sorta di riappropriazione degli spazi pubblici online che, tornando ai termini iniziali, viene pensata come giocosa, accogliente, femminile e comunitaria, cercando di carpire come funzionano determinati sistemi di potere, strutturati e privati. Le artiste ci invitano a conoscere, e agire in prima persona, piattaforme e metaversi invece che subirli, perché diventino ambienti di quotidianità espressiva e di collettività.
L’approccio della mostra, e delle artiste, è quindi aperto e collaborativo, perché non prevede un individualismo monade in nessuna delle sue fasi, ma sempre una esigenza di collettività; il lavoro delle artiste porta i e le partecipanti dentro gli ecosistemi, dentro le situazioni per farle scoprire e vivere con mano, occhi, orecchie, pelle, corpo. Perché in prima persona si faccia esperienza e conoscenza di queste realtà, alla ricerca di punti di riferimento da seguire – e che il lavoro delle artiste cerca appunto di comporre.
Ci preme sottolineare come queste pratiche sono ascrivibili non solo all’arte del processo, ma anche all’alveo dell’arte nello spazio pubblico, delle pratiche sociali, che come sappiamo – soprattutto negli anni ‘70 e poi negli anni ‘90 – sono uscite dalle istituzioni, dai luoghi preposti, per invadere le piazze, le strade, l’ambiente. Lo spazio pubblico da esplorare, conoscere e in un certo senso riconquistare, oggi è anche quello condiviso attraverso la rete, le piattaforme e i metaversi attraversati continuamente, da invadere appunto con i mezzi creativi.
L’estetica dei metaversi fonda le sue radici nella dimensione del game design e della produzione di paesaggi videoludici. L’esperienza della virtualità, che oggi vive una rinnovata fortuna, vede nella prospettiva rinascimentale e nella capacità pittorica di creare ambienti tridimensionali oltre la superficie della tela un antenato illustre. Molteplici fenomeni sviluppatisi in rete nel XXI secolo traggono ispirazione da rappresentazioni prospettiche semplificate che in alcuni casi accolgono elementi appartenenti alla classicità greco-romana inondate di colori pastello o fluo (statue e colonne nella Vaporwave) e in altri si configurano come scorci di interni e stanze anonime o disabitate (Backrooms).
Le opere protagoniste di das 08 derivano da un processo di oggettivazione dell’arte, concreta e finita, ma derivata dal’’esigenza di worldbuilding, da un’esistenza liveness digitale: relazioni, emozioni, processi, azioni, in fieri, che ci avvolgono, avvengono sotto in nostri occhi, intorno a noi.
I metaversi, definiti anche ‘identity playground’ (parchi gioco dell’identità), offrono all’utente la possibilità di costruire liberamente una identità alternativa, sperimentando direttamente la propria rappresentazione virtuale. Questo processo spesso tende a dissociare il legame tra corpo e Io, apparentemente inscindibile invece nei contesti offline. Pur abitando sempre la stessa carne, in decine di migliaia di anni, l’homo sapiens ha intessuto una storia di processi simbolici, ideali e materiali che trovano nella liveness digitale nuove possibilità di esistenza virtuale ‘dal vivo’ e ‘in tempo reale’, ampliando lo spaziotempo condivisibile oltre le limitazioni fisiche. Nell’epoca del postumano, il corpo biologico, pur rimanendo primo e imprescindibile medium, risulta sempre più smaterializzato, disseminato, aumentato, contaminato con altre entità naturali e artificiali: è su questa attuale condizione che si concentra la sperimentazione artistica, protagonista a CUBO Unipol.

Una doppia collettiva. L’identità al tempo del Metaverso, veduta della mostra, CUBO Unipol, Porta Europa, Bologna
I temi centrali di questo progetto pongono in luce le dinamiche degli studi di sociologia in relazione alla media art e le declinazioni fenomenologiche di questi linguaggi: la relazione e l’immaginazione, la relatività e l’istante, lo scambio e l’interazione, la solitudine e la pluralità che ci abitano. Temi che entrambi, in quanto studiosi oltre che curatori, analizzate sulla base di un vostro coerente progetto di studio e ricerca. Me ne parlate?
La suggestione da cui nasce il titolo è un doveroso omaggio a “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello in occasione del centenario dalla prima pubblicazione. L’intento è collegarsi e sottolineare la sua celebre intuizione sull’ambiguità del tema identitario certamente influenzata dagli studi di Sigmund Freud dedicati al Doppelgänger e riflessa in alcune opere artistiche coeve. La rilevazione di partenza è di carattere fenomenologico, si basa cioè sull’analisi dell’esistente: le artiste, come tutti noi, sono immerse in una realtà sfaccettata in cui l’identità assume tanti riflessi quanti potrebbero essere quelli di uno schermo. Nel mondo delle piattaforme social, parole come profilo e utente assumono un significato preciso in relazione alla continua necessità di creare, modificare, aggiornare o proteggere la propria immagine pubblica. La fortuna del termine avatar inoltre, che l’informatica mutua dall’induismo, ha varcato i confini di ristretti ambiti disciplinari divenendo l’appellativo più comune con cui si rappresenta l’immagine del visitatore in rete, ribaltando per certi versi l’idea dell’incarnazione della divinità in un corpo terreno verso la prospettiva di un contemporaneo gioco di ruoli in cui l’individuo si veste di molteplici apparenze che variano a seconda dei contesti.
Negli spazi di CUBO si racconta di gesti, relazioni, sensazioni, emozioni. L’individuo è ciò che comunica e ha la possibilità di scegliere con chi e come condividere la propria storia e identità sociale. Trova online ambienti ideali per sperimentare aspetti nascosti del proprio Io, utilizzandoli nella costruzione del sé virtuale. Tuttavia, come evidenziato dalla sociologa Sherry Turkle, questo gioco presenta un limite rilevante: la saturazione del sé. Nelle culture digitali, linguaggi come la danza e il ritratto diventano allora sistemi relazionali di condivisione emotiva, che si avvalgono di strumenti e dispositivi in grado di portare gli utenti ad abitare i luoghi che loro stessi hanno modellato, da protagonisti.
Negli ultimi anni, dagli studi di etnografia in rete – netnografia – è emersa tuttavia anche un’esigenza relazionale on/offline da parte degli individui, più urgente del desiderio di evadere dal sé incarnato per indossare la maschera di un sé desiderato.
Insieme alla rappresentazione di sé, i social, le piattaforme e i metaversi hanno reintrodotto una performatività del singolo, in parte come campo di azione specifico per l’indagine estroflessa dell’identità, ma sempre più spesso come sconfinata possibilità di creazione di alter ego, avatar, esseri ed entità ibridi che travalicano i confini dell’umanità “attraversando lo schermo”.
In questa società del palcoscenico, come la definisce Sennett, la quarta parete è rappresentata dagli schermi dei più disparati dispositivi, sorte di finestre luminescenti di fronte alle quali folle di individui si affacciano per confezionare azioni, gesti e ritualità in una grande performance collettiva per un solo spettatore.
Infine, emerge la quinta parete, che nelle parole di Hyto Steyerl è «immersiva, impletiva, tiktoculare, non-settler colonial e fatta di relazioni tossiche, sempre già alienata. Non rivela uno spettatore, ma nasconde un utente; non innesca un effetto V, ma una sensazione di realtà virtuale; sostituisce la cabina del soufflé con una piattaforma monopolista. Di fronte alla quinta parete, ognuno è un palcoscenico».

Una doppia collettiva. L’identità al tempo del Metaverso, veduta della mostra, CUBO Unipol, Torre Unipol, Bologna
Una mostra del genere ovviamente chiama in causa costantemente il visitatore. Cosa accade a chi farà questa esperienza? Quali gli approcci, le interazioni e quale il senso di partecipazione tra il fruitore e “l’altro”?
Per das 08, LaTurbo Avedon, Auriea Harvey, Kamilia Kard e Mara Oscar Cassiani presentano una serie poliedrica di eventi, formati e opere che si dispiegano negli spazi espositivi secondo dialoghi estetici, dinamici e tematici, creando situazioni deputate alla creazione di una drammaturgia personale dell’esperienza, giocando con la messa in scena di un altrove negli infiniti riverberi degli schermi.
Molte esperienze e opere hanno una doppia modalità di esistenza e collocazione phygital. Tutte contraddistinte dalla dimensione collettiva della fruizione, che porta alla intersezione di community online e alla costruzione di comunità di partecipazione. Come evoluzione della rete, il Metaverso rappresenta un cambiamento fondamentale nella nozione odierna di “essere online”, prima e dopo la pandemia, è anche emerso come spazio pubblico, ecosistema cruciale per esperienze sociali, conversazioni, progetti creativi e interazioni collettive. Forme di collettività DIWO (do it with others) stanno innalzando la qualità della user experience a livelli sempre più coinvolgenti, invogliando a partecipare direttamente ad attività di creazione, condivisione, decisione, apprendimento e commercio, collettivamente.
Forse il modo migliore per comprendere le modalità e le possibilità di interazione offerte al pubblico è la descrizione di alcune delle installazioni presenti in mostra.
Cusp (Outside/Inside), della serie Materia, è l’ultima creazione collettiva di LaTurbo Avedon, presentata per la prima volta in Italia a CUBO per das 08 come installazione e come live streaming. Prevede la creazione e diffusione di artefatti virtuali unici, integrati in una blockchain in grado di influenzare l’estetica, le forme e il futuro del sistema generale dell’opera. Materia ha introdotto nel lavoro di Avedon la partecipazione attiva del pubblico, inserendo il sondaggio nel flusso di creazione dell’estetica dei luoghi e della figura dell’avatar delle artiste stesse – oltre alla possibilità di collezionare una serie di cimeli virtuali, funzione tipica dei metaversi.
Cusp (Outside/Inside) descrive una location caratterizzata dalle proprietà cromatiche blu-verde, un ambiente navigabile composto da un atrio con una grande installazione scultorea cui segue una passerella illuminata. Dalla parte opposta si incontra lo studio virtuale di Avedon, dove sono esposti i lavori in corso e la sala in cui è stato composto l’Autoritratto Interiore. Cusp (Outside/Inside) presenta soprattutto al pubblico una nuova doppia declinazione dell’avatar di Avedon, che sembra quasi emergere dal profilo di una conchiglia luminescente – simbolicamente legata alla Nascita di Venere in molte culture occidentali: il riferimento va infatti alla generazione di un’individualità, e nello stesso tempo la scomparsa della ‘figurina personaggio’ che prima rappresentava le artiste.
Con The Mystery v5-dv2 (chroma screen) Auriea Harvey porta in mostra teste, teschi e ritratti che partono dai dati del corpo – del viso dell’artista mixato digitalmente con altri dati provenienti da altri corpi, visi, teschi antichi e d’arte, con un forte richiamo ad estetiche latino-americane e ad oggetti tradizionali sciamanici: per raccontare di un futuro in cui viviamo, in cui antico e nuovo danno vita al contemporaneo. Nell’allestimento in Torre Unipol la scultura digitale è visibile semplicemente aprendo con il proprio dispositivo (smartphone o tablet) un collegamento tramite un QR code, in questo modo questa versione dell’opera si dipana nello spazio in realtà aumentata permettendo sia la visione ravvicinata dei particolari che l’attraversamento e la relazione con le altre opere presenti.

Auriea Harvey, TheMysteryV5-dv2-ChromaStack2 (det.), 2023, frame di scultura digitale in ambiente HTML, realtà aumentata AR, unica, dimensioni installative
Toxic Garden è una esperienza partecipativa online che si svolge in una mappa di Roblox progettata da Kamilia Kard. Privati del loro avatar personalizzato e trasformati casualmente in una delle sette piante velenose che abitano l’ambiente, i partecipanti danzano insieme, esplorano lo spazio e scoprono un giardino abitato da piante velenose e piccole sorprese. Abitato per lo più da giovani giocatori, Roblox è il contesto ideale in cui affrontare queste problematiche.
Ispirandosi alla natura, Kard ha immaginato una coreografia che vuole essere un monito e una reazione agli atteggiamenti manipolatori, utilizzando la motion capture e l’intelligenza artificiale per catturare ed elaborare i movimenti di quattro danzatrici professioniste. In Toxic Garden le piante velenose – rappresentazioni metaforiche di diverse forme di relazioni tossiche – danno forma a uno scenario in cui gli utenti, liberati dal loro io abituale e protetti dall’opacità dei loro nuovi avatar, possono relazionarsi tra loro e interagire con l’ambiente circostante, imparando a riconoscere le situazioni tossiche e a sviluppare una reazione positiva ad esse.

Kamilia Kard, Toxic Garden Dance Dance Dance – Narcissus and Love in the Mist (det.), ongoing, still da ambiente ed esperienza interattiva nel metaverso Roblox
Stay Cute _ UWU di Mara Oscar Cassiani è il nuovo capitolo della serie y2k20 La Fauna, I Am Dancing in a Room. Un lavoro sull’eterna diffusione dei gesti e delle micro coreografie nell’era degli algoritmi sociali. «Il gesto in rete è ormai una coreografia che non ha mai fine, espressione performativa di milioni di utenti. Il gesto vaga per mimesi da una stanza all’altra, spesso senza nessuna variazione a parte il suo nuovo habitat: il corpo dell’esecutore e la stanza che lo ospita» sostiene l’artista.
Stay Cute _ UWU è una performance per ambienti reali e virtuali volta a sviluppare la creazione di una comunità temporanea. Riunisce sullo stesso monitor una serie di performer, che eseguono una coreografia per webcam. Ad accompagnare questo flusso visivo ci sono paesaggi alieni acquatici, adesivi galleggianti, avatar, meme e stati motivazionali, come se i mondi virtuali potessero fiorire ed esistere come forme di vita online. La carineria, conosciuta come Kawaii in giapponese, va oltre la mera estetica; incarna significati più profondi come gentilezza, profondità emotiva e vulnerabilità, ma anche l’eredità di una ribellione agli standard e agli stereotipi della società. Cuteness e kawaii si configurano come antidoto al conformismo stereotipato in favore della liberazione emotiva rappresentata da gattini, emoticon e reaction.

Mara Oscar Cassiani, Stay Cute UWU_I Am Dancing in a Room, La Fauna 2k25, 2020-2025, video documentazione della performance online (opening 2025)
Che senso ha questo progetto rispetto al Museo in cui è ospitato e alla città?
La mostra UNA, DOPPIA, COLLETTIVA e il public program si inseriscono nell’alveo dell’ottava edizione di “das – dialoghi artistici sperimentali”. Con questo formato il Museo d’Impresa del Gruppo Unipol intende, attraverso una rassegna che si conferma ormai da diversi anni, portare l’attenzione su temi di stretta attualità attraverso la presentazione dei linguaggi dell’arte di oggi. In questo senso i progetti delle artiste invitate rispondono puntualmente alle suggestioni poste dal contenitore, tanto che tutte loro hanno presentato sviluppi ulteriori delle ricerche individuali e, in molti casi, opere prodotte specificatamente per l’occasione che sono state esposte per la prima volta. Durante le fasi ideative abbiamo condiviso con le artiste fin da subito sia il tema principale che avrebbe guidato l’esposizione così come tutti i possibili innesti e le innumerevoli variazioni generate in forma rizomatica. Allo stesso tempo il confronto e il dialogo si è svolto anche sul piano architettonico e ambientale, abbiamo cioè riflettuto insieme sulle caratteristiche degli spazi espositivi come la grande presenza sia in Porta Europa che in Torre Unipol di vetrate che permettono la compenetrazione tra spazio esterno e spazio interno, ponendosi efficacemente come metafora di una soglia tra due mondi o come rappresentazione di una liminalità. Nelle opere in mostra e nelle performance che hanno contraddistinto la settimana inaugurale è presente, inoltre, una riflessione sull’elemento naturale che risulta anche come soggetto protagonista nell’allestimento. Il verde organizzato, il giardino, persino l’idea di Hortus Conclusus medievale non solo trovano ispirazione da elementi che connotano gli spazi di CUBO (il parco in Porta Europa e i terrari in Torre), ma sono precisi riferimenti di un’estetica tecnologica.
Per la città ci auspichiamo che l’intero progetto possa essere un’occasione per conoscere più da vicino il percorso delle artiste selezionate e per offrire, attraverso la fruizione attiva delle loro opere, spunti di riflessione critica: la pratica artistica in ambiente digitale può infatti essere occasione e contesto risocializzante, “laboratorio di trasformazione”, gymnasium/palestra di comunità, modello creativo alternativo per l’adozione di modalità attive, non estrattive, decentralizzate, a prescindere da dinamiche speculative e di hype.
UNA DOPPIA COLLETTIVA. L’identità al tempo del Metaverso
LaTurbo Avedon, Auriea Harvey, Kamilia Kard, Mara Oscar Cassiani
a cura di Federica Patti e Claudio Musso
ottava edizione della rassegna das – dialoghi artistici sperimentali
7 febbraio – 31 maggio 2025
Inaugurazione venerdì 7 febbraio, dalle 17.00 alle 23.30
CUBO in Torre Unipol e in Porta Europa
CUBO in Porta Europa
Piazza Sergio Vieira de Mello, 3/5, Bologna
CUBO in Torre Unipol
Via Larga, 8, Bologna
Orari: lun, 14 – 19 | mar, 9.30 – 23.30 | mer – gio – ven, 9.30 – 20 | sab, 9.30 – 14.30 | Dom chiuso
Ingresso libero
Info: www.cubounipol.it