MILANO | Studio Museo Francesco Messina | 21 ottobre – 28 novembre 2021
Intervista a DAVIDE MARIA COLTRO di Matteo Galbiati
Lo Studio Museo Francesco Messina di Milano accoglie, tra le sculture del maestro frutto di un’osservazione attenta della realtà restituita plasticamente attraverso una vitalità caratteristica del suo creare, Io sono lei, mostra personale di Davide Maria Coltro (Verona, 1967), interessante occasione per confrontare due ricerche che paiono essere lontane e distanti per linguaggio e tecniche, ma che, grazie all’impegno assunto dall’artista, trovano inattese e inesplorate connessioni. Coltro ha voluto dialogare con le opere del maestro senza rinunciare alla specificità del suo approccio e del suo linguaggio, così la scultura fisica e reale di Messina è stata sottoposta a una verifica di senso profonda che ne ha rinnovato il contenuto, ampliandone l’intenzionalità grazie al valore significante determinato dai Quadri mediali. Queste sono opere cui Coltro da anni sta dedicando un’assidua e costante sperimentazione che l’ha portato a trasformare radicalmente il concetto di arte digitale e multimediale: l’intuizione – avuta in tempi decisamente non sospetti – l’ha spinto a innovare, attraverso le possibilità offerte dalla tecnologia, una restituzione formale di tipo “tradizionale”, senza però mai perdere quel senso di contemporaneità che proprio l’apporto “tecnico” offre. La sua è e resta pittura o scultura anche se “interpretate” attraverso uno schermo e la risoluzione in pixel. Riappropriandosi della suggestione del presente, rimarca la logica antica del sapere artistico, superando ogni distinzione spazio-temporale e rendendo sempre “attuale” l’immagine evocata dai suoi “quadri”.
Abbiamo visitato con l’artista la mostra e con lui abbiamo avuto una lunga e appassionata conversazione. Ecco la sintesi del nostro dialogo con Davide Maria Coltro:
Come nasce questo progetto espositivo in un luogo tanto suggestivo come lo Studio Museo Francesco Messina?
Grazie all’invito che Alberto Fiz mi ha fatto già tre anni addietro. Da ottimo critico e curatore, era ben consapevole che dietro questo lusinghiero invito mi avrebbe lanciato una sfida. Ho dovuto disarticolare le mie categorie, vincere alcuni pregiudizi sulle abitudini installative, andare oltre il semplice omaggio didascalico al grande maestro. La triangolazione ideale con Aida Accolla è stata l’intuizione fondante.
Come ti sei relazionato alla scultura del maestro Messina? Quali spunti hai voluto cogliere e su cosa ti sei concentrato?
Relazionarsi con un grande maestro è sempre occasione di crescita e riflessione sul proprio lavoro. Ci separano pochi decenni, ma al primo approccio mi è apparsa una distanza abissale che mi ha intimorito. Ho cercato un dialogo su termini minimi di confronto, provando a concentrarmi sull’essenziale, sulle intenzioni che ci hanno animato entrambi più che sui risultati formali, forse più sul piano dello spirito che quello materiale.
Come può la tecnologia affrontare un dialogo con la classicità potente di un autore come Messina?
La tecnologia è solo uno strumento di processo, un mezzo che traghetta il progetto all’altra riva del fiume, al suo compimento. Se l’idea principale è quella del dialogo tra due modi di intendere la classicità, la tecnologia servirà al meglio questa propulsione. Con queste premesse il progetto ha buone probabilità di vedere la luce nella sua migliore versione.
Importante poi è stato anche il rapporto/confronto con la danzatrice Aida Accolla che di Messina fu una delle modelle predilette? Che relazione è nata? Quale esperienza e testimonianze hai colto?
Il rapporto con Aida è stato fondamentale sin dalla fase germinale del progetto. Grazie al suo rapporto privilegiato con Francesco Messina, raccontato e storicizzato, lei è stata per me prima musa ispiratrice e poi modella. Aida è una donna dalla personalità magnetica, ma non egocentrica, capace di forte empatia e di piccoli gesti che ne rivelano la grande umanità. Non mi ha mai messo in imbarazzo anche solo per le frequentazioni di altissimo livello culturale e sociale che ha avuto durante tutta la sua carriera e la sua vita. Tra noi è nata un’amicizia arricchita dalle nostre diversità quanto dalla reciproca stima personale.
Questo rapporto ha determinato anche la scelta del titolo: Io sono lei? Cosa ci dice?
Il titolo è scaturito improvvisamente, come spesso mi accade, durante una chiacchierata con il caro amico Alessandro Rivali, tra i massimi poeti italiani del nostro tempo. Il racconto di una sua lettura proprio alla Studio Museo, dove Aida lo aveva avvicinato al termine del suo intervento, per indicargli che molte delle statue in mostra la ritraevano direttamente o che ne era stata ispiratrice, è alla base dell’intuizione del fortunato abbinamento di parole. Io sono lei vuole innescare un processo biunivoco di indicazione tra modella e opere, un reciproco riconoscersi, un parallelismo di uguale intensità.
Quali opere compongono questa tua personale?
Questa esposizione è caratterizzata da tre tipi di opere e due distinte intenzioni progettuali. Sono presenti i Quadri mediali di taglio decisamente importante (hanno dimensioni di 230×145 cm), Filiazioni di questi, cioè opere generate dal flusso in atto, stampati in esemplare unico. Queste Filiazioni sono una memoria del divenire incessante che è costitutivo dei Quadri mediali. Sono testimoni unici ed irripetibili di un processo dì casualità programmata che genera un tempo proprio dell’opera.
In queste opere la figura viene in qualche modo svuotata della sua forma e consistenza fisica, ma si ridefinisce in uno spazio e un tempo nuovi: quanto è importante la dimensione spazio-temporale? Come si riflette sull’esperienza dello spettatore?
Nella pratica mediale di questa mostra, lo spazio si fonde con il tempo, le due dimensioni del reticolo volumetrico diventano disegno che allude alla terza dimensione, la promette, ma la sospende. Il fruitore dell’opera, come spesso accade nei Quadri mediali, viene ingaggiato in una danza di attese e piene rivelazioni, una sinfonia visiva che avvolge la percezione. Desidero che le mie opere siano un varco attraverso il quale si possa entrare in sé, raccogliersi, ascoltare il vento leggero che soffia dentro di noi.
Mi interessa molto quando tu parli di “memoria in continuo divenire”: come può un quadro essere una memoria in divenire? Come muta, cosa consegna nel suo infinito fluire di possibilità?
Nel flusso che viene generato, ogni combinazione che si forma viene a manifestarsi per poi scomparire, dissolversi, diluirsi nuovamente nel campo delle probabilità. Nessuno, però, potrebbe percepire questo continuo cambiamento senza la possibilità che la percezione catturi e ricordi dei momenti di fissità, delle memorie percettive rapidissime, ma fondamentali. Si tratta di fotogrammi che si creano per le funzionalità della mente nei meccanismi percettivi. Tale apertura di possibilità consegna un’attesa che non si può consumare. Parafrasando Beckett si potrebbe dire che Godot continua ad essere aspettato, ma anche ad arrivare; presenza che genera assenza, arrivo che che non esaurisce l’attesa.
L’infinito fluire del quadro mediale si è anche “congelato” nelle “icone digitali”: come sono nate queste opere?
Lavorare con i Quadri mediali significa praticare una pittura in divenire, immateriale, permanente ma al tempo stesso inafferrabile. Il concetto alla base delle Filiazioni non è quello del frame estrapolato, dell’attimo fuggente congelato, bensì un moto creativo ulteriore, qualcosa che nasce dal divenire continuo del flusso mediale. Le Filiazioni sono generate dai Quadri mediali, ne sono estensione nello spazio fisico, diventano opere uniche, figlie privilegiate di un principio pittorico che tende all’infinito.
Quali prospettive ti auguri per la prosecuzione della tua ricerca sul quadro mediale? Credo sia una nuova interessante frontiera per portare la pittura nell’ambito digitale, senza rinunciare ai suoi mezzi canonici, eppure rinnovandone radicalmente la struttura lessicale…
Ciò che accade dentro un Quadro mediale, che poi diviene processualità fruibile all’esperienza, non appartiene né al mondo dell’immagine statica come pittura, fotografia o disegno, né all’universo dell’immagine in movimento come il cinema o la videoarte. Ogni immagine o processo vive di vita propria ed entra in relazione con gli altri in modalità che si rinnovano secondo una casualità programmata. Non ci sono cicli chiusi, nulla si ripete se non dopo milioni di combinazioni. Queste brevi riflessioni possono far capire che la portata di questa esperienza è ben sopra le mie capacità e spesso mi disorienta. È difficile tenere la rotta, posso solo dichiarare che, dopo più di vent’anni di ricerca in questa direzione, sento di essere ancora all’inizio del viaggio. E la destinazione? Mi è ovviamente ignota.
Davide Maria Coltro. Io sono lei
a cura di Alberto Fiz
con la partecipazione di Aida Accolla
promossa da Comune di Milano
in collaborazione con FerrarinArte
con il sostegno di Kromya Art Gallery
partner tecnologici Space Farm, Mondo Nuc, Evoluendo e Albed
Studio Museo Francesco Messina
Via San Sisto 4/A, Milano
Orari: da martedì a domenica 10.00-17.30 (ultimo ingresso ore 17.00)
Ingresso gratuito
A partire dal 6 agosto – ai sensi dell’art. 3 del Decreto-Legge n. 105 del 23 luglio 2021- all’ingresso dei musei, degli istituti e luoghi della cultura e delle mostre sarà necessario esibire il Green Pass (certificazione verde Covid-19) insieme al proprio documento di identità in corso di validità.
Info: +39.02.86453005
c.museomessina@comune.milano.it
www.studiomuseofrancescomessina.it
www.ferrarinarte.it
www.kromyartgallery.com