ROCCAVIGNALE (SV) | Sedi varie
Intervista a ELEONORA CHIESA di Livia Savorelli
Roccavignale, un paesino di 745 abitanti nell’entroterra savonese, ha ospitato quest’estate un evento di poster-art davvero interessante capitanato da un’artista performer Eleonora Chiesa, che i natali li ha anch’essa in terra ligure. Ripercorriamo la nascita di L’Aperto – questo il nome del progetto – con la sua creatrice…
L’Aperto, ispirato all’omonimo libro di Giorgio Agamben, riflette “sul concetto di spazio aperto, inteso non solo come spazio misurabile ma anche come dimensione di apertura o spazio in cui accadono le diverse possibilità”… Arte pubblica e arte relazionale, un seme che può attecchire ovunque?
Credo di sì, in fondo ogni esperienza umana cognitiva/esplorativa si basa sulla Relazione con l’altro da sé, con ciò che sta “al di fuori di noi”. Arte pubblica e arte relazionale non sono certo la stessa cosa ma, allo stesso tempo, sono due ambiti d’azione paralleli con diverse possibilità in comune, infatti l’arte a contatto con lo spazio pubblico modifica la percezione degli spazi e del paesaggio cambiandone la visione quotidiana che i passanti hanno dello stesso, se poi a maggior ragione l’arte pubblica decide di sfruttare le possibilità d’interazione che le pratiche dell’arte relazionale offrono allora si possono aprire interessanti “spazi di manovra”, spazi in cui si verifica l’esperienza o come le chiama Roberto Marchesini: delle “aperture di sistema”. Per questo ho scelto L’Aperto come titolo del progetto, per riferirmi a quel “TRA” di cui parla Giorgio Agamben quando indaga il rapporto tra umanità e natura, tra umanità e animalità, quello spazio che intercorre tra diversi mondi, tra mondi “altri”, quell’apertura che c’è tra noi e chi consideriamo L’Altro.
L’Aperto è stata una piccola sfida, un voler mettersi alla prova invitando e coinvolgendo il lavoro degli altri artisti che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento, chiedendo agli artisti invitati di mandarmi un’immagine che fosse destinata all’ipermanenza, un’immagine, un documento, una visione che raccontasse una storia in parte aperta, ancora da scrivere o da raccontare. I feedback che ho ricevuto sono stati incredibilmente complementari tra loro, sia dal punto di vista formale sia relativamente ai contenuti.
Come hai operato, da artista, la scelta degli artisti da coinvolgere? Chi tra loro ha presentato opere site-specific?
Gli artisti che ho invitato a L’Aperto sono tutti colleghi (italiani e non) ma anche amici o persone che ho incontrato nel mio percorso, artisti con cui ho dei contatti continuativi e con cui sento di condividere un certo tipo di sensibilità o una parte di intenti. Alcuni di loro hanno proposto lavori già prodotti che hanno ritenuto in sintonia con il tema indicato nella lettera d’invito mentre altri hanno realizzato lavori nuovi appositamente pensati per il progetto: tra questi ci sono il duo italo-svizzero composto da Fabian von Unwerth e Giselle Bigatello, Opiemme, Chiara Marini, Massimo Palazzi, Simona Barbera, Ronny Faber Dahl, Guia del Favero. L’artista lituana Viktorija Gedraityte ha deciso invece di produrre un lavoro site-specific attraverso una serie fotografica realizzata nella vecchia chiesa sconsacrata del paese in cui io ho accettato di prestare “la mia presenza” di performer come soggetto.
Hai voluto portare in questi luoghi un linguaggio a te molto caro, quello della performance…
Sì, ho chiesto a 2 degli artisti invitati un’azione performativa che si potesse svolgere nel castello il giorno della presentazione del progetto al pubblico e agli abitanti del luogo, così da poter creare un maggior coinvolgimento e una maggiore attenzione/curiosità rispetto all’evento. Durante i miei diversi sopra-luoghi nel paese, parlando con gli abitanti ho capito che il castello, oltre all’antico dolmen, è un po’ il simbolo storico del paese, questa scelta probabilmente ha contribuito a determinare una buona partecipazione dei cittadini (molti dei quali neofiti rispetto all’arte contemporanea) all’inaugurazione.
La prima performance è stata realizzata da Opiemme attraverso la realizzazione “live” di un pannello di metri 3×2, fatto di colature di colore mentre il live elettronico di Yel Bosco accompagnava armonicamente i suoi gesti; mentre il duo Von Unwerth e Bigatello (sempre con la collaborazione-interpretazione musicale di Yel Bosco) ha proposto un’azione multimediale corale composta di proiezioni, live audio e un intervento fisico tra il cortile e la torre del castello.
Le varie installazioni dei manifesti nelle bacheche comunali del centro storico o negli spazi riservati alle affissioni lungo la strada, destinati all’usura e alla consunzione da parte del caso e degli agenti atmosferici, contribuiscono a creare un’immagine effimera del paesaggio urbano temporaneamente modificato, proprio come l’accadere temporaneo di un’azione performativa (in quanto linguaggio fondato di per sé sull’idea di non conservazione dell’arte) di cui resta solo una documentazione che per quanto curata possa essere non riesce a sostituire la presenza dell’azione avvenuta.
L’Aperto lascia comunque un segno permanente del suo passaggio. Penso all’intervento murale di OPIEMME sulla facciata della scuola…
In qualche modo questo è vero, anche se non del tutto. Il muro realizzato da Opiemme sulla facciata della scuola è un intervento nato grazie alle relazioni professionali e personali sviluppatesi di conseguenza al progetto ma non vi è direttamente incluso, si potrebbe piuttosto definire un progetto-opera “a latere” di L’Aperto; inoltre la street
art ha natura di arte pubblica anti-monumentale nonostante tratti e colore sui muri siano maggiormente permanenti rispetto ai manifesti, in futuro potrebbero sempre essere coperti da una ristrutturazione e comunque non sopravvivere al tempo quanto la struttura che li ospita.
Credi che le finalità con cui hai ideato il progetto siano state raggiunte? Trattandosi di arte relazionale, che feedback hai ottenuto dagli abitanti del paese? Credi che una tipologia di progetto come questo possa essere facilmente “esportata” anche in realtà totalmente diverse da questa?
Non so, l’idea di L’Aperto è nata solo dopo aver visitato il paesino di Roccavignale, vedendo la sua curiosa divisione in 4 frazioni, le sue strade, i suoi luoghi; è difficile dire se questo modello di evento di arte pubblica, che prende in prestito uno degli strumenti della street art, sia in effetti facilmente esportabile o meno perché un progetto del genere dipende molto dal contesto in cui viene ospitato. La partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini sono fondamentali, mettere dei manifesti in una grande città o ad esempio in una metropolitana potrebbe essere interessante ma sarebbe difficile ottenere un alto coinvolgimento degli abitanti senza realizzare prima un lavoro di reciproca conoscenza (determinato dalle possibilità della relazione diretta) con il territorio, i quartieri e suoi cittadini, senza fare ciò il rischio sarebbe quello di “invadere” lo sfondo degli spazi pubblici fruiti con le stesse dinamiche dei manifesti commerciali pubblicitari.
L’Aperto – Roccavignale Open Air
Progetto a cura di Eleonora Chiesa
Testo a cura di Margherita Merega
Artisti: Paolo Angelosanto, Simona Barbera, Eleonora Chiesa, Guia Del Favero, Ronny Faber Dahl, Isabelle Fordin, Vicktorija Gedraityte, Franca Giovanrosa, Monika Gricko, Chiara Marini, Massimo Palazzi, Moita Soto, Opiemme, Fabian Von Unwerth & Giselle Bigatello, Renzo Gandolfo
Roccavignale (SV), Spazi delle Pubbliche affissioni, castello, sedi varie