PARMA | Mauro Staccioli, Parma ‘73
Intervista a ALBERTO FIZ di Matteo Galbiati
Abbiamo voluto raccogliere e rilanciare l’appello pubblico dell’amico e collega Alberto Fiz che ha segnalato sugli organi di stampa e i vari canali social l’urgenza di un intervento di salvaguardia dell’opera pubblica, “conservata” in un parco a Parma, di uno dei maggiori scultori internazionali contemporanei Mauro Staccioli (1937-2018), per entrambi un compianto amico e uno stimato artista.
Parma ’73 è uno di tre elementi che componevano il progetto pensato ed installato da Staccioli per la Piazza della Steccata, in uno dei primi grandi interventi di arte pubblica italiani che il capoluogo emiliano accolse nel 1973 inserito nell’ambito della mostra Sculture contemporanee nello spazio urbano.
Segno-intervento tra i più iconici dell’artista toscano, questo disco puntuto, nell’essenzialità minimalista, per forma e materiali, non manca di rappresentare una dichiarazione di intento politico-sociale, affine a quello di molti altri artisti (nella mostra di Parma, per esempio, erano presenti anche Kengiro Azuma, Gianfranco Pardi, e Giò Pomodoro), specialmente scultori, che rivendicavano allora, per la propria opera, un ruolo militante, in relazione all’attualità del contesto storico che stavano vivendo.
Questa scultura, mutilata negli elementi metallici e offesa da graffiti di nessun valore se non come testimonianza di un vandalismo figlio dell’incuria, è “dimenticata” in un parco periferico della città e sta lentamente subendo un processo di deterioramento che va arrestato prima che diventi irreversibile. Per fortuna, la denuncia di Alberto Fiz ha smosso le acque e il 29 novembre l’assessore alla cultura di Parma Michele Guerra ha annunciato in Consiglio comunale che la scultura di Mauro Staccioli sarà ripulita e valorizzata. Speriamo che dalle parole si passi presto ai fatti.
Ecco un riassunto della lunga e appassionata conversazione che abbiamo avuto con Alberto Fiz:
Cosa ti ha spinto a scrivere la lettera al direttore de La Gazzetta di Parma lo scorso 5 novembre?
Come sai, ho seguito molto il lavoro di Mauro e ne ho da sempre apprezzato l’eccezionalità e la profondità di pensiero. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui nel 2011, in occasione della grande mostra in Calabria al Parco Archeologico di Scolacium e al Museo Marca di Catanzaro. Nel 2018, subito dopo la sua scomparsa, ho, poi, realizzato la grande e scenografica esposizione alle Terme di Caracalla a Roma. Staccioli è stato un uomo di straordinaria sensibilità, un artista attento alla storia e al mondo concependo la scultura come azione critica. Fin dalle esperienze dei primi anni Settanta ha posto come elemento di riflessione imprescindibile, divenuto termine costante della sua ricerca, la relazione tra scultura e ambiente-spazio. Un rapporto che teneva anche in grande considerazione la realtà sociale, la condizione e il vissuto in cui operava.
Con Parma ’73 Staccioli concepisce un progetto di grande rilievo: afferma, infatti, la necessità di abitare lo spazio urbano per mezzo della scultura intesa come strumento d’azione, non necessariamente pacifico. Il dialogo con la città e l’affermazione dell’arte ambientale conducevano al superamento del rapporto con la monumentalità classica. Non bisogna dimenticare che nel 1972, poco prima di approdare a Parma, Staccioli aveva realizzato la prima mostra in uno spazio urbano a Volterra, suo luogo di nascita, dove ritorna l’anno successivo in occasione di un Simposio di Scultura coordinato da Enrico Crispolti a cui partecipano, tra gli altri, Alik Cavaliere, Nicola Carrino, Francesco Somaini e Giuseppe Spagnulo. Parma ’73, dunque, s’inserisce in un contesto storico particolarmente importante. Negli anni Settanta l’Italia ha vissuto una fase di forte sperimentazione che ha coinvolto anche l’arte pubblica, anticipando eventi internazionali di grande richiamo come Skulptur Projekte di Münster, la mostra di sculture all’aperto, che dal 1977 si svolge ogni dieci anni. Visto lo stato in cui si trova attualmente Parma ’73, ho sentito la necessità di intervenire per sensibilizzare l’attenzione verso un’opera d’arte simbolicamente importante per la città prima che il processo di deterioramento diventasse irreversibile. E mi pare di esserci riuscito. Il restauro non rappresenta solo un dovere rispetto alla donazione di Staccioli, ma costituisce anche una presa di coscienza rispetto alla necessità di tutelare non solo l’antico, ma anche il contemporaneo.
Mauro, pur con un linguaggio minimale e asciutto, sapeva cogliere e far sprigionare l’essenza e la specificità dei luoghi in cui lavorava…
Creava sculture intervento mai decorative, esito di un’azione che diventa l’occasione per ridefinire il processo plastico. La sua è una presa di coscienza che agisce sul territorio e ne rileva le dinamiche, oltre a sviluppare una forte reazione rispetto all’osservatore. Parma ’73, un tondo in cemento e acciaio, rappresenta una sfida aperta e il superamento di schemi conservativi, legati alla contemplazione inerte del passato. Voleva essere un atto programmatico, una presa di posizione stilistica ed estetica, ma anche ideologica e politica. Le azioni di Staccioli, in quegli anni, erano, in primo luogo, una sfida sociale che rifiutava la più comoda dimensione museale, una scelta che l’avrebbe penalizzato, cosa che non è accaduta agli artisti dell’arte povera che pur avendo proclamato la guerriglia ai musei, sono i più collezionati dalle istituzioni pubbliche.
Lui è stato un artista radicale che non ha mai accettato compromessi. Quando si presenta nel 1978 alla Biennale di Venezia espone un muro in laterizi e cemento alto otto metri che cela la vista della Laguna o del Padiglione Italia (a seconda del punto di osservazione), una proposta di esclusione che ha anticipato di decenni le più recenti opere dello stesso segno tra cui l’intervento di Santiago Sierra alla Biennale di Venezia del 2003 che prevedeva la chiusura del padiglione spagnolo con un muro di mattoni costruito all’entrata. Per Staccioli, insomma, le opere devono agire sul luogo diventando uno spunto di azione, provocazione e cambiamento, una logica che spinga ogni fruitore a mettere in discussione la stessa figura dell’artista.
In che condizioni versa attualmente Parma ’73?
Quella che ho visto è in pessime condizioni: è danneggiata, ricoperta di graffiti con alcune parti mancanti – le punte metalliche che la connotavano – forse tolte perché considerate pericolose in un parco pubblico. Resta un cerchio, un disco anonimo esiliato in un parco periferico senza alcuna logica rispetto al luogo per cui è stato concepito. Non c’è nemmeno una didascalia, un cartello, una targa che ne identifichi lo statuto di opera, d’arte contemporanea, la sua storia e il legame con la città. Ci sono, poi, i segni dei writer che l’hanno intesa come una indefinibile superficie muraria; mi divertono gli occhi disegnati in corrispondenza dei buchi, il vuoto lasciato dall’assenza degli elementi metallici, che è stato riempito ironicamente con uno sguardo. Sembra un tentativo di umanizzazione e di abbellimento. Per il resto, la scultura è totalmente abbandonata.
L’opera è un frammento di un’installazione più grande composta da altri due elementi che però hanno avuto un destino diverso…
L’installazione del 1973 si componeva di tre elementi. Oltre a questo, gli altri due sono egregiamente conservati in due collezioni private a Parma e Piacenza che sono disponibili a collaborare con il Comune (credo che non mancherebbero nemmeno gli sponsor) per riproporre l’opera nella sua integrità. Sarebbe, infatti, una bella occasione se, al termine del recupero, si potesse aprire una riflessione sul senso dell’opera di Staccioli esponendola temporaneamente in Piazza della Steccata per cui era nata e cogliere l’occasione per riproporre il progetto complessivo del 1973. È bene ricordare che a Parma opera anche la storica galleria Niccoli che ha sempre difeso e valorizzato la ricerca di Mauro, come testimonia anche la bella mostra Attraverso le avanguardie. Giuseppe Niccoli/visioni e coraggio di una Galleria aperta nello spazio Ape Parma Museo sino al 21 febbraio che ne ripercorre il lungo percorso.
Ci sono stati altri episodi di opere abbandonate?
Non c’è dubbio che Staccioli sia stato penalizzato da un’eccessiva generosità e tolleranza. Non era presuntuoso e questo appariva insopportabile per il sistema dell’arte, più propenso a premiare le vedette e a inchinarsi di fronte a starlette di poco conto. Lui era interessato solo al suo lavoro senza poi seguire adeguatamente gli sviluppi nel tempo delle sue opere, tanto che molti interventi sono descritti solo attraverso i progetti o i prototipi. Per fortuna, è stato lui stesso a volere l’Archivio nato nel 2012 che oggi lo difende. A presiedere l’Archivio Mauro Staccioli è la figlia, Giulia Staccioli, mentre la direzione è affidata a Andrea Alibrandi.
Esempio dell’oblio del suo lavoro è anche Prato ’88, il grande arco rovesciato che si estende per 120 metri realizzato per l’inaugurazione del museo Pecci e poi successivamente smantellato in occasione della nuova progettazione del museo da parte di Maurice Nio, Staccioli aveva rivisitato il progetto adeguandolo all’architettura ma, dopo una lunga serie di promesse non mantenute, l’opera non è mai stata ricollocata. Chissà, forse l’architetto aveva paura che gli facesse ombra….
Nemo propheta in patria. All’estero, tuttavia, lo Staccioli publico è tutelato e attentamente conservato. Un affondo – che condivido moltissimo e sottoscrivo – è quando nel tuo intervento parli di artisti che sono geni del marketing culturali (Bansky, Koons, etc…) e sono sostenuti da un divismo planetario, quando invece, come nel caso di Staccioli, altre grandi personalità, italiane sono totalmente trascurate. Basti pensare a Giuseppe Uncini o a Pino Spagnulo. È atto già grave il vandalizzare un’opera d’arte che è patrimonio della collettività, ma ben più grave è l’oblio…
Spesso di Mauro non si è stati capaci di tutelare l’importanza storica, culturale, di comprenderne l’eredità intellettuale. Non ha il riconoscimento mediatico di altri nomi dello star system e questo fa sì che riceva, talvolta, un trattamento non adeguato. Se fossero Koons, Kapoor, Serra o persino Banksy a subire un degrado simile, lo sdegno sarebbe immediato. Staccioli, a torto, per taluni non è motivo di orgoglio e vanto. Sebbene anche in Italia non manchino opere ben conservate, da Roma a Volterra da Catanzaro a Motta d’Affermo, all’estero c’è la massima considerazione del suo lavoro. Sono oltre 100 i progetti in giro per il mondo, dalla Corea a Taiwan; dal Belgio alla Germania. Ma è soprattutto negli Stati Uniti, in particolare in California, che il suo lavoro trova la sua dimensione ideale, come dimostra la perfetta collocazione delle opere al San Diego Museum of Contemporary Art. Negli Stati Uniti sono consapevoli dell’importanza di un’indagine che dialoga con il Minimaliste e la Land Art, come già aveva ben compreso Giuseppe Panza di Biumo. Nello straordinario parco di Celle, poi, Giuliano Gori colloca Staccioli in un contesto dove sono presenti Richard Serra e Robert Morris.
Generalmente, in Italia si preferisce tutelare l’antico in modo quasi eccessivo, talvolta paranoico, ma, spesso, non ci prendiamo cura delle opere del presente che sembrano essere prigioniere della superficialità e dell’approssimazione con cui le si giudicano.
Quando, invece, le opere vengono rispettate e valorizzate, la gente se ne prende cura a sua volta. È molto importante far sentire il contemporaneo come parte integrante di un’identità collettiva. Conosci l’esperienza del Parco della Biodiversità di Catanzaro dov’è collocato anche un grande lavoro di Staccioli: da luogo di degrado e discarica è diventato un’oasi verde per la città. Lì abbiamo collocato le opere degli artisti che hanno partecipato a Intersezioni tra cui Staccioli che è in compagnia di Gormley, Cragg, Pistoletto, Buren e molti altri all’interno di una grande collezione di arte pubblica. Per rimanere al Sud, un altro esempio virtuoso è la collocazione delle installazioni all’interno della metropolitana di Napoli.
L’educazione al contemporaneo è fondamentale per ogni intervento sul territorio e vale anche per Parma. Altrimenti, sistemata l’opera, in poco tempo ci si ritroverebbe al punto di partenza.
Cosa pensi del progetto Digital for Mauro Staccioli?
È sicuramente un progetto molto significativo che va nella direzione giusta. L’iniziativa, a cura di Ilaria Bernardi, ha vinto il bando Toscanaincontemporanea 2020 e prevede una mostra concepita esclusivamente per essere fruita digitalmente dove a riflettere sull’opera di Staccioli sono dieci artisti delle generazioni successive alla sua e coinvolge Massimo Bartolini, Francesco Carone, Loris Cecchini, Vittorio Corsini, Daniela De Lorenzo, Flavio Favelli, Giovanni Ozzola, Paolo Parisi, Luigi Presicce, Enrico Vezzi. Si tratta di una maniera per attualizzare il suo messaggio e lui che si è sempre definito un costruttore senza aver mai scritto una riga al computer, osserverebbe con soddisfazione e ironia questa celebrazione sul web.
Non dimentichiamoci poi che all’orizzonte c’è Parma 2021 Capitale italiana della Cultura. So che nel frattempo hai avuto qualche risposta…
Proprio in vista di questo imminente appuntamento si deve intervenire in modo rapido e con una progettualità precisa. Devo dire che dalla pubblicazione della mia lettera ho avuto un riscontro immediato. Mi ha incoraggiato l’interessamento dell’Assessore alla Cultura di Parma Michele Guerra che il 29 novembre ha avviato le procedure per il restauro. Il coinvolgimento dell’amministrazione pubblica è fondamentale rispetto ad un’opera che è nata per la collettività.
Le acque si sono mosse ma ti assicuro che vigilerò sul prosieguo dei lavori.
Info: www.maurostaccioli.org