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VALLE CAMONICA | DARFO BOARIO TERME (BS) | MUSEO FRANCA GHITTI

di LORELLA GIUDICI

“Nello scarto che cadeva per terra vedevo delle lettere, vedevo un nuovo alfabeto”. È con questa frase, scritta sul muro d’ingresso, che il neonato Museo Franca Ghitti a Darfo Boario Terme (Valle Camonica) accoglie i visitatori.

Gli sfridi, cioè i residui del ferro che cascano dall’incudine, e i lemmi di un alfabeto tutto personale sono due dei percorsi lungo i quali si muove il lavoro della scultrice camuna. Da un lato l’interesse per la memoria artigiana della sua Valle (era nata a Erbanno nel 1932), le radici di un territorio che era luogo di magli, di fucine, di mulini, di legno e di incisioni rupestri e dall’altro il codice di un alfabeto che, attingendo dalla preistoria, da Parigi, dall’Africa e da New York, si è concretizzato nei segni di una scrittura, fatta di chiodi arrugginiti, di pagine trafitte, di intagli e di legni bruciati, graffiati e rugosi.

Veduta di una sala del Museo Franca Ghitti a Darfo Boario Terme

Il percorso del Museo, aperto nel settecentesco Monastero di Santa Maria della Visitazione, inizia dalle Vicinie, un ciclo nato nel 1965 e ispirato alle comunità contadine, alle sue antiche istituzioni di mutuo soccorso, che nelle mani di Franca diventano cornici di legno logoro e trapunto di chiodi arrugginiti, memori nella forma e nello spirito delle edicole sacre che si vedevano nelle case e nei sentieri della Valle, ma anche compagni, con le debite differenze, delle “scatole magiche” di Joseph Cornell e dei Teatrini di Arturo Martini e di Fausto Melotti. Quelli di Franca Ghitti sono “casellari” e tabernacoli dalle geometrie approssimate, spazi spogli e disadorni, nei quali ha allineato sagome vagamente antropomorfe, famiglie più o meno numerose di “idoli” dalle forme primitive grandi quanto il palmo di una mano e discendenti di quelle figure che negli anni cinquanta Sironi incastrava tra scabre pietre e frammenti antichi. Accanto alle Vicinie sono esposte alcune Mappe, anche queste punteggiate da un rosario di chiodi che, con quadrettature, piccoli cerchi, graffi e abrasioni, tracciano cartografie di qualche immaginario paese o di inesistenti rilievi topografici che hanno le loro ascendenze nei disegni rupestri, di cui Franca non solo è stata tra i primi studiosi, ma ha pure collaborato, nel 1963, alla creazione del Centro camuno di studi preistorici (CCSP).

Franca Ghitti, Vicinia, primi anni settanta, legno e chiodi, 130×110×12 cm, Ph. F. Cattabiani

Nella seconda sala trovano posto alcuni grandi tondi in legno degli anni ottanta (scudi sulla cui superficie si alternano chiodi, intagli e tasselli lignei a disegnare rilievi totemici e apotropaici) e il Bosco (1989): una decina di tronchi scanalati e seghettati che si assiepano dietro a un grande cerchio di coppelle in ferro, tradizionalmente usate nella locale lavorazione dei metalli. Rito e memoria, storia e preghiera si mescolano in un lavoro dal grande valore espressivo, in un mix di rude materia e profonda poesia.

Franca Ghitti, Bosco, 1989, installazione, legno, terra di fucina e coppelle in ferro, Museo Diocesano di Milano, 2005, Ph. F. Cattabiani

Alla continua ricerca dell’alfabeto perduto, nel 2007 Franca avvia un nuovo ciclo: le Pagine chiodate (una loro testimonianza è nell’ultima saletta). Qui il legno ha ceduto il posto alla carta, a fogli consumati dal tempo e tinti con colori autunnali su cui si dispongono file ordinate di chiodi sottili come spilli, appuntati con un certosino lavoro sartoriale a simulare una scrittura metodica, regolare. Sono pagine rugose, tattili e vergate in un metallico alfabeto braille. La disposizione dei chiodi si ripete pacata e ordinata, come quegli attrezzi che a fine giornata ritornano nelle rastrelliere sui muri e che Franca amava tanto collezionare. Sono pergamene che portano in grembo le verità di una Valle, di una donna, di un’artista e, più in generale, della storia.

Franca Ghitti, Pagine chiodate, 2008, carta trattata, chiodi, cm. 70X120, OK Harris Gallery, New York, Ph Fabio Cattabiani

Il Museo è solo il punto di partenza per andare alla scoperta di tutte le opere disseminate nel territorio e realizzate dall’artista su committenza. Tra le tante possiamo citare: il monumento a I 13 martiri partigiani sulle sponde di Lovere, il Tempo del ferro a Pisogne, le vetrate della chiesa di Sant’Antonio Abate con le storie della Genesi, dell’Apocalisse e delle Beatitudini a Costa Volpino e l’installazione nella piazzetta di Gianico (I testimoni di Gianico). All’Hotel San Martino, a Darfo Boario Terme, è collocato un grande Tondo nero, in legno rivestito di ferro, dal sapore medioevale, mentre a Civitate Camuno, l’Albero croce ricorda Falcone e Borsellino e nella Cappella Maggiore del Cimitero di Melegno, una monumentale vetrata è dedicata alla Veglia dei morti. Anche Breno vanta un ampio nucleo di opere: dalla Vicinia in Sala Giunta della Comunità montana all’Albero fiorito negli spazi del Municipio. Infine, al cimitero di Erbanno non sono da perdere i Tre alberi collocati nell’antica cappella di San Martino. I chiodi, nel tronco al centro, sono distribuiti all’interno di un corpo annerito e attraversato in lunghezza da una striscia rossastra. Sembra un arto spezzato, una gigantesca scheggia ossea, ormai fossilizzata, riesumata dalle viscere della terra o dai ghiacci perenni. Sono opere che nascono dallo studio, dalle radici della propria terra, dall’origine delle cose, dalla conoscenza della materia e della storia: “Non credo nell’improvvisazione – diceva –. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo di conoscenza che dura tutta la vita”.

Franca Ghitti, Tempo del ferro, Pisogne

Info: www.fondazionearchiviofrancaghitti.com

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