Foligno (PG) | CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea | fino al 30 settembre 2018
Intervista a UGO LA PIETRA di Matteo Galbiati*
Tra le personalità di più forte visionarietà e di maggior sapienza, tra coloro che hanno fatto dell’eclettismo una virtù significativa e non un vezzo modaiolo, va annoverato certamente Ugo La Pietra, il quale, partendo dalla sua identità di artista (ruolo rivendicato sempre con orgoglio), non ha fatto solo pittura e scultura, ma ha saputo “invadere” e “contaminare” i territori dell’artigianato, del design, della produzione industriale, ma anche del cinema, della performance, dell’architettura… Discipline diverse in lui trovano, quindi, una fertile comunanza di pratiche che, nella nobile sapienza del “fare”, restituiscono un sapere antico e prezioso. Persona stimolante, amico stimato, artista lungimirante, non poteva mancare un suo contributo in questo numero in cui si riflette su arte e design; ecco la testimonianza che ci ha lasciato Ugo, incontrato al CIAC di Foligno, dove è ospitata una personale che ne racconta la lunga esperienza creativa.
Sei architetto, designer, saggista, artista, docente universitario, giornalista, …? Come definisci e riassumi il tuo percorso e la tua storia creativa?
Mi sono sempre considerato un artista (iniziando già alla fine degli anni Sessanta e operando all’interno della corrente della “pittura segnica”), ma ho sempre cercato di superare le separazioni disciplinari (mi sono laureato in Architettura con una tesi sulla Sinestesia tra le arti); così, per farmi capire meglio, mi sono sempre definito “ricercatore nelle arti visive”, operando dentro e fuori le varie discipline (arte, architettura, design, arti applicate, cinema…) per meglio travasare le varie esperienze da una disciplina all’altra.
Hai fatto, quindi, del superamento dei confini disciplinari una sorta di missione della tua ricerca, a cosa si rivolge il tuo sguardo? In che direzione si orienta in questo tentativo di abbattere gerarchie e confini della creatività?
Le mie opere nascono sempre guardando ciò che mi circonda: la società, l’individuo con i suoi problemi e le sue necessità; è proprio per questo che il mio operare deve cercare di volta in volta gli strumenti (oggetti, ambienti, performance, installazioni…) e le diverse scale di intervento.
Come hai visto evolversi nel tempo il rapporto-dialogo tra le arti e il design?
Negli Anni ‘50-’60 il mondo del design ha guardato (spesso parassitando) alle ricerche delle arti visive (basterebbe pensare all’arte cinetica e programmata), poi ha subito un forte impulso (dagli Anni ‘60-’70) dalle ricerche degli architetti radicali che hanno introdotto componenti “concettuali”, “ironiche” e spesso di contestazione nei confronti dell’oggetto di consumo.
Cos’è oggi il design per te? Cosa identifica e catalizza un oggetto? Cosa ha in più (o in meno) rispetto ad un’opera d’arte?
Negli ultimi vent’anni la decadenza della disciplina (ormai è sempre meno utilizzato il termine “industriale”, anche nella Facoltà del Politecnico, che si definisce ora “Politecnico del Design”) ha portato sempre di più chi si muove all’interno di questo ambito verso il mondo dell’arte e dell’arte applicata. Recuperando soprattutto quella componente fattuale (manualità, artigianalità) che nei decenni precedenti era stata quasi totalmente eliminata. Per decenni è sempre stato facile distinguere le due discipline: il disegno industriale si occupava di oggetti d’uso con una forte valenza estetica, mentre l’arte non aveva nessuna necessità di caricare le proprie espressioni con l’utilità delle stesse.
Oggi il confine tra queste due tendenze è sempre più sottile anche perché il design nostrano si sta sempre più avvicinando alla grande area internazionale del craft (estesa dagli Stati Uniti all’Europa centrale, dal Giappone alla Corea con musei, gallerie, mercato e istituzioni). Area che ha una forte autonomia e che, da sempre, ha preso le distanze dall’arte da una parte e dal design dall’altra.
Cosa ha rappresentato per la tua ricerca? Quale ruolo nelle sue diverse fasi ed esperienze?
Nelle mie ricerche, già dagli anni Sessanta, ho cercato di riportare all’interno del mondo del design tutti quei valori (manuali e artigianali) che il disegno industriale aveva abbandonato, realizzando così le mie ambizioni artistiche già espresse con la “sinestesia tra le arti”.
Arte, artigianato, design… Quale percezione ha il pubblico? Che giudizi?
Il nostro pubblico non distingue un vetro da un cristallo, una ceramica da una porcellana, un mosaico artigianale da uno industriale. Per troppi anni (grazie anche alla crescita del design industriale) l’italiano medio ha perso il sapere che aveva accumulato per secoli sulla “cultura del fare”. Le gallerie e i musei lavorano per creare una sensibilità diffusa nell’arte, ma riguardo le arti applicate il nostro territorio ha eliminato qualsiasi strumento di conoscenza: sono stati smantellati gli ultimi laboratori degli Istituti d’Arte, mancano musei, istituzioni, gallerie di arte applicata contemporanea e quindi mercato, quotazioni e collezionismo.
La nostra epoca è segnata da sconfinamenti e cortocircuiti, ibridazioni e definizioni labili, mode fuggevoli, molta superficialità e facili (e fugaci) divismi… Tu hai sempre perseguito merito, valore e una dimensione etica del fare: possono arte e design impegnarsi ancora in questo senso?
Arte e design potranno in futuro allearsi per far crescere una nuova disciplina che io ho chiamato ormai da decenni Abitare la città. Una disciplina che si apre alla cultura dell’abitare e che dovrebbe trovare come un tempo dei sostenitori (collezionisti?) aperti a finanziare sempre più opere per il benessere pubblico.
Hai una mostra in corso al CIAC di Foligno? Cosa hai presentato? Che scelte hai attuato? Ci sono molte opere inedite e recenti: cosa troviamo? Su cosa hai lavorato?
La mostra al Museo CIAC di Foligno presenta un insieme di opere e un libro dal titolo Istruzioni per abitare la città. In questo senso l’insieme delle opere è una successione di ricerche raggruppate attraverso “Istruzioni” per meglio essere comprese dal pubblico. Non mancano tre nuovi video: uno relativo al Verde urbano, uno relativo alle Mappe di Milano (un esercizio che coinvolge il pubblico, presentato recentemente nella mostra Take me. I’m you(rs) all’Hangar Bicocca) e uno relativo alla Città senza morale, relativo all’installazione Nuovo tempio capitolino, che ho realizzato a Roma, dedicata a questa città e al suo degrado.
Ma soprattutto sarà allestita una casa, con arredi da Riconversione progettuale in scala reale, e due progetti dedicati alla città di Foligno, conosciuta per essere stato il luogo dove si è data alle stampe la prima edizione della Divina Commedia di Dante, nel 1472.
Dove (e cosa) guarda l’Ugo La Pietra del terzo millennio?
Nel terzo millennio guardo a una società che saprà mettere a frutto le grandi aspirazioni di artisti e designer che negli anni Settanta (i radicali, la Global Tools, gli artisti che hanno praticato l’arte nel sociale e per il sociale) hanno gettato le basi per un nuovo modo di pensare e lavorare (più che alimentare le logiche delle discipline, condizionate dal mercato e dal consumo), per la qualità della vita, affrontando i tanti problemi che affliggono la nostra società, cominciando dalla “solitudine urbana” per ritrovare un giusto equilibrio tra il virtuale e il naturale, tra la globalizzazione e la salvaguardia delle diversità e identità, e, soprattutto, per pensare a trasformare i luoghi (città) in cui vivere e lavorare.
*Intervista tratta da Espoarte #101.
UGO LA PIETRA – ISTRUZIONI PER ABITARE LA CITTÀ
A cura di Italo Tomassoni, Giacinto Di Pietrantonio e Giancarlo Partenzi
4 marzo 2018 – 30 settembre 2018
CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea
via del campanile, 13 – Foligno (PG)
Info: www.centroitalianoartecontemporanea.com
https://ugolapietra.com/