di ILARIA BIGNOTTI* e VERA CANEVAZZI*
La scoperta dei collezionisti “fantasma” Ferri, Lonati, Rinaldi, Sartori – ovvero, mai esistiti nella realtà, ma creati con profili ad hoc sui social network e strategicamente utilizzati per portare credito a giovani artisti e prima ancora ad art dealers di questi, spingendo altri collezionisti e galleristi ad acquisire e a divulgare un artista altrettanto inesistente, Moritz Kraus, le cui opere invece reali, a questi attribuite, sono state realmente vendute e pubblicate da altri collezionisti, altrettanto reali – sta facendo tremare il panorama artistico contemporaneo, tra rivelazioni, accuse, smascheramenti e tanta, tantissima amarezza.
Le vicende, oramai note grazie, in prima istanza, alla ricostruzione – ancora in progress – dei fatti elaborata da Nicola Zanella su Il Sole 24Ore Cultura online (visitabili a questi links: https://www.ilsole24ore.com/art/schema-ponzi-corre-instagram-valorizzare-fantomatiche-opere-AE7QI46; https://www.ilsole24ore.com/art/artisti-immaginari-bonifici-reali-AEM6IO7 ), stanno portando alla luce, ora dopo ora, diversi nomi di persone conniventi coi fatti, a partire da quello di un Artists Run Space con sede a Brescia che effettivamente per primo promosse le opere di Moritz Kraus in una mostra personale e che descrisse, con nomi di fantasia, un suo curriculum internazionale che correva dall’estremo Oriente al nord Europa.
Tanto per iniziare, a prima vista, questo primo “regalo” del nuovo anno, già drammaticamente segnato da una recrudescenza della pandemia con le conseguenze che ben conosciamo nel sistema – o in ciò che resta, ed evolve – dell’arte – sta letteralmente scuotendo la stampa e provocando non pochi effetti domino in gallerie, artisti, curatori e collezionisti che con questi presunti fantomatici collezionisti e artisti hanno avuto, in termini e modalità diversi, a che fare.
Amarezza e rabbia, vergogna e paura sono i sentimenti che inevitabilmente stanno facendosi strada tra chi si è sentito preso in giro, diversamente, da questa architettura dell’inganno che vede complici strategici i social network, in prima istanza.
Ma non crediamo sia solo questo…
In questo contributo che riteniamo sia fondamentale pubblicare, proprio questa vicenda intricata ed ecoizzata grazie agli stessi mezzi digitali e virtuali pensiamo infatti possa mettere in luce alcuni problemi e relative modalità relativi al nostro lavoro, che è oramai evidente sia necessario riconoscere come fondanti l’approccio all’arte contemporanea, in particolare, e all’arte tutta, in generale.
Vediamo allora assieme di nuovo come quanto è successo possa permetterci di trarre alcune riflessioni per un approccio costruttivo. Dopotutto, questo è il nostro lavoro.
IL VALORE DELLA RICERCA D’ARCHIVIO
Innanzitutto, ripercorrendo le vicende, al di là dei frastuoni social, quel che non va dimenticato è che il primo atto dello smascheramento dei fatti è stato merito di un gallerista attento e perseverante, Federico Vavassori: il quale, come ricostruito da Nicola Zanella, nota sul profilo di uno dei 4 falsi collezionisti, Pier Paolo Lonati, che un’opera di un artista rappresentato dalla propria galleria non corrisponde ad alcuna di quelle pazientemente archiviate e conosciute nei minimi dettagli: quell’opera è infatti manipolata digitalmente e pertanto non collima con nessuna di quelle realmente realizzate dall’artista stesso. Una volta richieste informazioni in merito a questa immagine manipolata al collezionista “fake”, i dubbi diventano più grandi: a risposte vaghe, le indagini proseguono e si infittiscono.
Il resto è storia ormai tristemente nota (e in continua evoluzione, coerentemente con le indagini).
Quello che qui ci preme evidenziare è, appunto, il fatto scatenante le indagini stesse: i veri professionisti osservano, confrontano, studiano e fanno ricerca. Dappertutto e sempre. Un profilo social, come un catalogo cartaceo, sono parimenti da interrogare alla ricerca di dati e immagini. Dati e immagini che vanno scrupolosamente comparati e interpretati. È questa la regola prima, e unica, che deve animare tanto il lavoro scientifico di un curatore d’archivio d’artista, quanto quello di un responsabile art consultant e art advisor: non fermarsi davanti alle apparenze e alle dichiarazioni superficiali.
Umilmente, studiare e approfondire ogni dato, ogni immagine, ogni elemento possa essere utile: si auspica, non per smascherare il falso, ma sempre e comunque per elaborare una storia corretta e veritiera dell’opera, valutandone così pienamente il suo valore culturale, storico, critico, sociale ed anche economico.
Lo stesso valga per le cosiddette ricostruzioni della storia biografica e bibliografico-espositiva di un’opera e di un artista: le fonti vanno appurate, le mostre verificate, i cataloghi sfogliati, i documenti letti e interpretati.
Che si tratti di un artista alle prime affermazioni nel mondo dell’arte, o di un artista già approdato al catalogo ragionato e alla più importante retrospettiva della sua carriera.
ATTENZIONE AGLI ACQUISTI ONLINE
È necessario agire con cautela prima di comprare un’opera vista solo sul web, anche se si tratta di arte digitale. Negli ultimi due anni la crescita degli acquisti online se da un lato ha generato diversi cambiamenti positivi nel settore, come l’allargamento del collezionismo ai più giovani o il raggiungimento di una maggior trasparenza grazie alla pubblicazione dei prezzi, dall’altro ha reso la vita più facile ai “truffatori”.
La “maestria” di certi falsari del calibro di Wolfgang Beltracchi, attento non solo a falsificare i materiali ma anche ad antichizzare le etichette apposte sui quadri così da certificarne la provenineza, oggi può essere rimpiazzata da un sapiente uso di Photoshop.
Se scegliamo un’opera vista solo in foto dobbiamo quindi prestare molta attenzione dal momento che in rete tutto può essere contraffatto con più semplicità: il venditore e l’artista possono nascondersi facilmente dietro identità fittizie, le opere e i loro danneggiamenti essere modificati con il fotoritocco così come la storia espositiva ricreata digitalmente (come testimoniato dalle finte installation view del nostro fantomatico Moritz Kraus presso un inesistente spazio Lab Shimokitazawa di Tokyo).
LA CONOSCENZA DAL VERO DELLE OPERE E DEGLI ARTISTI
I curatori, i galleristi, gli art advisors, gli art consultants, gli archivisti, i collezionisti devono quindi vedere dal vero le opere, conoscere profondamente il loro processo creativo, e se possibile conoscere direttamente gli artisti. I tre aspetti vanno di pari passo, anzi, devono essere congiunti. Un curatore professionista si reca di persona nello studio dell’artista, o nel relativo archivio: chiede di vedere dal vero, fronte e retro, l’opera, ciascuna opera. Conoscere è un processo empirico che richiede tempo, energia, attenzione, esperienza. L’esperienza si costruisce con la assidua frequentazione di artisti, mostre, archivi, biblioteche, manifestazioni. I social vengono dopo: come momento parte di una divulgazione sistematica e certo attenta di quanto faticosamente appreso e fatto proprio, come metodo e bagaglio di lavoro, prima.
Non è possibile fare il contrario.
DAGLI OPINION LEADER AGLI INFLUENCER
La storia del mercato dell’arte è mossa da personalità geniali e brillanti: non solo dagli artisti, ma anche da coloro che prima degli altri sono in grado di riconoscerli e di affermarne il loro valore economico e culturale. I mercanti Bruno Bischofberger e Larry Gagosian, i collezionisti François Pinault e Charles Saatchi, i curatori Germano Celant e Hans Ulrich Obrist sono solo alcuni dei più celebri esempi. Grazie al loro carisma essi sono stati e sono in grado di influenzare le tendenze del mercato e del gusto (sappiamo bene che se un artista entra nella “scuderia” di un’importante galleria internazionale la risposta sulle aste è immediata).
È giusto ed auspicabile che si seguano con fiducia le selezioni fatte da stimabili critici, galleristi e collezionisti, proprio perché non è semplice “vedere prima degli altri” quello che sta succedendo, scovando talenti artistici emergenti o movimenti inesplorati. Ma è necessario individuare i giusti punti di riferimento, i veri “opinion leader” e non gli influencer con un profilo social aperto da due anni e con followers più o meno numerosi.
FIDARSI NON SIGNIFICA AFFIDARSI
La fiducia si costruisce a caro prezzo: è uno dei più grandi doni possiamo ricevere dall’altra persona e quindi richiede tempo, conoscenza, dialogo, anche conflitto.
Nel mondo dell’arte la fiducia è un bene rarissimo, ancor più perché essa si costruisce in un contesto dove gli interessi sono alti, il gruppo ristretto, i nomi conosciuti, le vicende spesso delicate, intrecciando amicizie, desideri, velleità, aspirazioni, frustrazioni. Ma prima ancora: si tratta di una fiducia che deve avere, come presupposto, il congiunto riconoscimento che l’arte è un lavoro serio, fatto di professionalità, costruito faticosamente, che non perdona chi improvvisa e chi lucra. Prima o poi, non perdona.
Fidarsi non significa affidarsi ciecamente: anche laddove il rapporto tra due persone è pienamente saldo e solido, lo sguardo e l’attenzione personali devono essere sempre attentamente posti sulle scelte espositive e ancor più di mercato. Fidarsi è un patto reciproco che richiede prima ancora la fiducia che ciascuno deve avere nelle proprie competenze e nei propri limiti.
MEME E MEMENTO
Davanti allo smascheramento e all’ondata di accuse e di malesseri che stanno via via infoltendosi sui social, non mancano i MEME, le DICHIARAZIONI, i MONITI che altrettanto veloci, taglienti, sadici e cinici si rincorrono in rete, generando risatine e commenti al vetriolo. Da un lato, i social network stanno infatti delineando un nuovo genere di artisti e di addetti ai lavori, da theartgorgeous a makeitalianartgreatagain, ovvero di professionisti della satira artistica che con battute e meme azzeccati portano avanti una narrazione altamente iconica e pienamente comprensibile non solo agli addetti ai lavori sulle aberrazioni e le mistificazioni, anche, del sistema dell’arte.
Il nostro invito è all’attenzione, comunque, sorvegliata verso i meccanismi che tali fenomeni possono far scaturire, meccanismi che qui, in chiusura, desideriamo lanciare:
– offrire a falsificatori e falsari un servizio di divulgazione delle opere e degli artisti “fake”, nonché della loro attività, ovvero suscitare, nel perverso mondo dei social, un ulteriore interesse verso i fatti e portare anche ad accrescere, in una sorta di prospettiva rovesciata, il mercato del sedicente artista Moritz Kraus – e di quant’altro potrebbe ancora emergere;
– offrire ai falsificatori assists interessanti per poter dichiarare che l’operazione “fake” è stata in realtà un progetto elaborato a tavolino per scatenare interesse sui meccanismi del mondo dell’arte e dei social dell’arte attuali: dare a tali falsficatori l’idea di dichiarare che quanto architettato è stato una sorta di performance social e digitale che ha portato comunque alla creazione di opere che sono effettivamente piaciute e che, al di là del metodo, per la loro estetica hanno comunque convinto all’acquisto i collezionisti (ovvero, anche se queste opere non avessero avuto il sostegno di collezionisti fake e di un artista inventato, sarebbero comunque piaciute e quindi acquisite).
In altri termini, questo fatto porta a chiederci e a chiedervi: cosa è un’opera d’arte? Se considerassimo le opere dell’inesistente Moritz Kraus dal mero punto di vista della loro valenza estetica, non saremmo comunque propensi a ritenerle “tali”, ovvero opere d’arte degne di una collezione?
Un collezionista, se davvero seguisse il principio del piacere estetico e non dell’investimento economico (ma anche qui, ci sarebbe da dire, dato che queste opere, per la loro fantomatica storia e l’uso strumentale del web, anche e proprio grazie al loro smascheramento, potrebbero continuare ad essere oggetto di interesse e anzi a superare il loro valore attuale) non dovrebbe forse preoccuparsi, più che di accusare chi le ha vendute, di conoscere chi le abbia fatte effettivamente e correre a stringergli la mano, dato che esse sono effettivamente piaciute al suo sguardo?