BOLOGNA | LABS Contemporary Art | Fino al 16 novembre 2024
di GIULIA GORELLA
Che cos’hanno in comune Elvira Amor (1982) e Julia Huete (1990), le due artiste cui è dedicata la nuova mostra di Labs Contemporary Art? Forse tutto, forse nulla ci dice la curatrice Cecilia Canziani, che ha conosciuto le due giovani spagnole durante una residenza artistica a Roma. Entrambe le artiste vivono e lavorano a Madrid, di conseguenza sono immerse nello stesso panorama culturale, ma è sufficiente l’attraversamento o l’abitazione di una zona per creare un discorso comune a entrambe? Tutte e due condividono un lavoro che tende all’arte astratta ma, oltre all’astrazione, le due artiste frequentano anche altri territori, ovvero il modernismo brasiliano, la poesia concreta e i calligrammi. Condividono anche la tendenza a espandere la pittura oltre lo spazio del quadro fino a comprendere l’ambiente circostante e la scultura. Oltre i punti in comune abbiamo però anche delle differenze tra le due pittrici e queste differenze riguardano in primis il loro modo di concepire il lavoro artistico: se Julia Huete si occupa principalmente di una ricerca basata sulla pittura che viene però indagata all’insegna di progettazione e meditazione, Elvira dialoga con l’arte pittorica seguendo un approccio più istintivo, spontaneo. La differenza tra le due artiste è lampante anche a livello visivo, in quanto Elvira si distingue per un uso di tinte accese e pennellate cruente che trasmettono vivacità, mentre Julia sceglie colorazioni più fredde e sobrie, per privilegiare un rapporto con le linee e con la dinamicità.
Entrambe le artiste, le cui opere sono inondate dalla luce che si riflette nel bianco preponderante delle pareti della stanza, valicano i confini dettati dalla pittura bidimensionale per sfociare in realizzazioni scultoree e quindi tridimensionali. Le opere dell’una e dell’altra occupano emblematicamente posizioni opposte ma speculari all’interno dello spazio espositivo: sono distanti, differenti, eppure si guardano. E non possono volgere sguardo altrove. Allo stesso modo i visitatori non possono far altro che attraversare lo spazio che scorre tra i due muri, tra i due universi artistici, lasciando che il ritmo che traspare dalle due opere li faccia oscillare da una parete all’altra, ora attratti e ora respinti dalle composizioni.
Non solo pittura e scultura dunque, ma anche ambiente. Essendo che le opere riproposte sono pensate appositamente per questa mostra, lo spazio scelto ha giocato un ruolo essenziale nella preparazione dei lavori e la luce netta e prepotente che non a caso penetra da una finestra posta più in alto e nella parete centrale – che separa le due opere adiacenti tra loro – sembra proprio voler sottolineare questa dimensione ibrida, questo contatto ravvicinato che si spinge oltre le differenze più superficiali. È forse proprio questo getto che illumina e ingloba le due opere a essere l’entità inserita, come vuole il titolo della mostra, “tra loro”, non tanto in termini oppositivi, bensì in termini traduttivi. Tuttavia, il titolo conserva una nota di ambiguità: tra loro potrebbe riferirsi sia al pubblico che è invitato a interagire sotto lo sguardo vigile delle due opere, sia alle molecole di luce e aria che si fondono in questo spazio di nessuno per contaminarlo e creare un ponte invisibile, una connessione tra le realizzazioni e quindi tra le due artiste. Eppure, non si può fare a meno di notare come il “tra loro”, secondo una connotazione più negativa, nasconde una sfumatura di significato che ci riporta all’idea di esclusione, di marginalità o ancora di segregazione e lo spazio che è lasciato vuoto quando l’ultimo visitatore esce dalla sala, permette anche la suggestione di una mancanza, di un’incomunicabilità. Nonostante questa interpretazione personale, traspare chiaramente l’intento di far dialogare le due opere. Tale dialogo è reso possibile da uno spazio che sentiamo ampio e allo stesso tempo accogliente, intimo, senza però che si perda l’ariosità che è insita nel bianco freddo e sobrio.
Lo spazio si fa quindi liquido e la frontalità bidimensionale è spezzata anche grazie all’elemento scultoreo della composizione di Elvira che pare concludere una frase, come un punto finale a un discorso, a una pagina scritta. L’elemento scultoreo dalla forma astratta che ricorda una goccia o una lacrima, è posto più in alto, come una nota acuta in uno spartito e il suo intenso blu notte ricorda la tinta di un’auto appena riemersa dalla carrozzeria. La scultura ci suggerisce che l’ombra è un colore e una forma, nonché un silenzio e fuoriesce dalla parete con prepotenza e impone un’osservazione da una prospettiva nuova, donando ritmo alla composizione.
Elvira afferma di dover lavorare nel silenzio più assoluto al fine di concentrarsi meglio, tuttavia, la sua opera risulta carica di ritmicità allo sguardo che segue lo svilupparsi sempre più pieno e irriverente delle forme e dei colori utilizzati. Da linee appena visibili, tracciate con apparente timore, al paesaggio astratto più pieno fino a giungere all’apostrofo metallico tridimensionale, la composizione scorre in avanti come una musica che inizia con un sussurro per terminare con l’acuta intonazione di un soprano.
Anche Julia Huete ci propone – a modo suo – una composizione che ha a che vedere con la dinamicità. Il suo gioco di bianchi caldi e scarichi, in contrasto con il rilievo di stoffa nera cucita al di sopra della tela, non suggeriscono solamente l’idea di movimento in quest’altro paesaggio astratto, che ricorda i moti ondosi del mare – ma anche un ponte se si tiene a mente che la mostra è un dialogo fissato a parete – visti attraverso le colorazioni che richiamano l’alternanza di due opposti: giorno e notte, luce e cecità, caldo e freddo. Un’altra particolarità meno visiva ma di natura più pragmatica è data dal fatto che si tratta di tele facilmente componibili e scomponibili, pratiche da trasportare e adattabili ad allestimenti di diversa natura, nonché a spazi di diversa funzione. La mobilità dell’opera d’arte è una caratteristica a lungo ricercata dall’artista che intenzionalmente ci regala un’opera nomade, che traduce lo stile di vita on the road più tipico dell’immaginario letterario, cinematografico e musicale, spogliandolo però delle figure umane che lo attraversano con le loro vicende, e restituendo solo un paesaggio sconfinato e distaccato dagli schemi rigidi della quotidianità.
Gli interventi delle artiste sono pertanto monumentali per dimensioni ma anche portatili dunque flessibili e riadattabili o riassemblabili. Questa insolita interazione con lo spazio circostante riflette l’energia e la voglia di fare delle realizzatrici che si sono incontrate in occasione di una residenza artistica e che rappresentano due dei mille volti della Spagna moderna: il primo è quello declinato da Elvira che rispecchia i colori cui viene associata generalmente la cultura iberica, quindi colori caldi e solari, da dove traspare un ritmo che si potrebbe paragonare al flamenco andaluso. Il secondo è se vogliamo meno rappresentativo da un punto di vista dell’immaginario comune e ma ha il merito di essere meno immediato senza per questo essere meno direttamente collegabile alla cultura spagnola, cultura che a lungo ha risentito della dittatura franchista e il cui segno indelebile non può essere tracciato se non attraverso tinte scure e pesanti, che procedono a ritmo lento forse più paragonabili al tango dell’Argentina.
In entrambi i casi il risultato è imponente, e ciò nasce anche da una volontà di affermazione da parte di due giovani voci sul panorama artistico attuale.
Un punto in comune per quanto concerne invece i materiali e la genesi dell’opera sta nell’utilizzo sovente dell’acrilico su carta come punto di partenza ma talvolta anche come destinazione finale del viaggio creativo. La carta è uno dei materiali più antichi e difficili per un artista. Alla pari di altri materiali di antica lavorazione come il legno e l’argilla, la carta non permette errori. Anche se un passaggio viene cancellato, all’occhio attento e potenziato dalle tecnologie moderne nulla sfugge: un segno su un foglio è paragonabile a un dato immesso nel web, ovvero indelebile nonostante ogni possibile sforzo. È la prova di un tentativo, di un percorso, di un passaggio. Concettualmente, è come non poter negare un’intuizione erronea, un passato che si vorrebbe disconoscere. La volontà di conservare tutto questo e di ammettere ogni imperfezione nel proprio processo creativo ci riporta non solo all’idea dell’arte in divenire ma anche a una forte sicurezza di sé che i due caratteri rivelano con tali loro scelte. Gli errori non per questo sono contemplati a lavoro ultimato, restano invece presenti nelle versioni incomplete. Il continuo ricominciare da zero, è un tentativo di combattere lo spaesamento prodotto dal fallimento. Ciò comporta il rifacimento – attraverso ripetizioni su ripetizioni – del medesimo gesto, del medesimo segno, fino a una perdizione totale, un’alienazione nella produzione artistica.
Elvira Amor/Julia Huete. Tra Loro
A cura di Cecilia Canziani
5 ottobre – 16 novembre 2024
LABS Contemporary Art
Via Santo Stefano 38, Bologna
Info: +39 051 3512448 | +39 348 9325473
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