DOMODOSSOLA (VB) | Collegio Mellerio Rosmini | 12 novembre 2022 – 5 febbraio 2023
Intervista a ELISA SEITZINGER e PAOLO LAMPUGNANI di Matteo Galbiati
Lo scorso mese di novembre abbiamo avuto l’occasione, grazie alla generosa ospitalità del curatore e organizzatore Paolo Lampugnani e alla preziosa disponibilità dell’artista Elisa Seitzinger, di visitare in anteprima la spettacolare mostra Alchemica. L’imponente personale dell’artista e illustratrice, infatti, investe e si impossessa degli imponenti e suggestivi spazi del Collegio Mellerio Rosmini di Domodossola (VB) portando numerosi cicli di opere che non solo sono allestite, ma quasi naturalmente si legano a questi ambienti in modo coerente e puntuale. Il suo stile grafico inconfondibile, nell’immaginario e nel segno, qui trova una dimensione di perfetto equilibrio e di importante valorizzazione, tanto che le diverse serie e tipologie di lavori abitano il luogo e rendono, nell’equilibrio perfetto della loro distribuzione e suddivisione (oltre che nella precisa modalità di presentazione che tiene conto anche del loro contenuto), la mostra un momento di interessante desiderio di scoperta, di necessaria continua riscoperta. Alchemica attiva un vero e proprio viaggio per lo spettatore che porta il suo sguardo ad osservare nel profondo dell’animo e dell’immaginario di Seitzinger e, nonostante il grande numero di opere esposte, alla fine la nostra vista non è mai sazia. Vuole alimentarsi ancora di queste immagini, vuole ritornare a percorrere l’itinerario appena compiuto per cercare altri spunti, forse dettagli sfuggiti o non del tutto osservati. Immagini che paiono essere sempre state lì, eppure bisognose di essere ri-guardate con scrupolosa attenzione. Abbiamo intervistato in questa duplice intervista proprio Elisa Seitzinger e Paolo Lampugnani e con loro approfondiamo ulteriormente questo loro progetto:
Sei una delle esponenti più significative dell’illustrazione contemporanea: tieni di più a sottolineare il tuo profilo di illustratrice o di artista? Penso al fatto che, ingiustamente, l’illustrazione sia sempre considerata come un qualcosa di “marginale”, collaterale, rispetto agli altri linguaggi artistici, quando, in realtà, in autori come te, assume tutta la dignità dell’arte come i più la intendono…
Elisa Seitzinger: Infatti, è proprio questo il punto, personalmente non vedo nessuna differenza tra un illustratore e un artista qualora l’illustratore si consideri artista. Purtroppo in Italia c’è ancora una certa diffidenza tra le due categorie, ma le cose stanno cambiando e a mio avviso questo muro va abbattuto. Non credo che sia un problema di pubblico, ma di assetti economici, di mercato dell’arte e forse di pregiudizi culturali. Per quanto riguarda la mia esperienza, il pubblico è molto interessato all’illustrazione come forma d’arte, addirittura la sente più “vicina” di altre forme artistiche dagli esiti estetici più ostici. Certo l’arte non è fatta con lo scopo di compiacere il pubblico, ma essendo una forma di comunicazione con esso, non è fatta nemmeno per allontanarlo. Relegare l’arte contemporanea alla pura definizione che nasce dalle avanguardie novecentesche è un discorso di per sé contraddittorio, tanto più farne una gerarchia tra generi. L’illustrazione è arte applicata, concetto che nasce proprio dal superamento di arte minore o decorativa. Applicata a mio avviso significa flessibile, ovvero applicabile per esempio sia alla copertina di un libro che a un’installazione in uno spazio espositivo.
Quali sono i tuoi modelli? Quali quelli a cui tieni di più? Quali autori hai come riferimento o che senti vicini?
Sono tanti e variano molto a seconda dei periodi. L’arte medievale mi ha sempre affascinata, perché non è interessata alla mimesi del reale e senza distinguere ciò che è vero da ciò che è reale, non pone limiti all’immaginazione. Anche il Simbolismo e il Surrealismo rivalutano questi aspetti onirici, che per l’artista medievale tanto onirici non erano.
Non attingo da autori singoli, ma prendo ciò che m’interessa da iconografie e stili di altre epoche storiche, reinterpreto le nostre radici culturali sacre, profane, auliche o popolari in composizioni ieratiche e con colori pop. I miei personaggi, protagonisti assoluti delle mie illustrazioni, sono caratterizzati dai loro dettagli anatomici, dai loro occhi vuoti come le statue antiche (o meglio come la visione neoclassica delle statue antiche), dalle loro vesti o dai loro accessori se sono nudi, dal loro apparato simbolico, esseri stranianti che troneggiano sul loro palcoscenico, la superficie piatta del foglio. La mia arte scaturisce dall’emozione di una visita immersiva nei giardini iniziatici, sui sacri monti, nelle collezioni museali da Wunderkammer, nelle dimore artistiche e nei cimiteri monumentali, oppure dalla visione di certi film anni ’70, se così non fosse mi chiedo se la scintilla che accende il mio immaginario scoccherebbe comunque…
Tu attingi, quindi, dalle immagini del passato in modo direi onnivoro: le tue fonti sono ampie e diverse. Quali sono i tuoi spunti principali e come li rendi attuali? Come li adegui alla tua ricerca? Mi affascina la varietà narrativa delle tue opere e, soprattutto, la coerenza con cui sono, pur nella diversità delle occasioni, riconducibili alla tua ricerca, alla tua mano…
Ogni artista dovrebbe compiere un percorso proprio che è frutto di sperimentazioni, una ricerca nell’affinare un linguaggio. Se mi lasciassi ispirare dai contemporanei il rischio sarebbe quello di appropriarmi di un percorso che non è il mio. Così preferisco indagare le mie radici culturali e reinterpretare ciò che viene dal passato, perché sento che sono parte del mio DNA e del nostro inconscio collettivo. L’originalità sta proprio in questo, rifare a modo mio qualcosa che appartiene a tutti.
Gli aspetti contemporanei del mio lavoro, invece, sono connaturati alla mia esistenza in questa epoca. Tra questi aspetti annovero i colori forti e brillanti, digitali, i supporti e soprattutto l’eclettismo e l’inserimento di elementi contemporanei di una società globalizzata, che si integrano con simboli più antichi.
Da illustratrice devi lavorare a stretto contatto con altri autori cui devi interpretare il pensiero, la voce, il sentire e dare a questi immagine (penso ad esempio al lavoro con Vinicio Capossela). In questi casi come si regolano le tue visioni? Quali scambi hai con le tue differenti committenze?
Stefano Cipolla, direttore artistico de L’Espresso ha dichiarato che la mia grande abilità è stata “piegare le esigenze professionali dei suoi committenti al suo stile così personale”. A dire il vero non credo di aver piegato nessuno, ma questo significa che sono i miei committenti a volere la mia interpretazione, quindi tendenzialmente scelgono progetti che si adattano alla mia personalità artistica e godo di massima libertà espressiva nel rispetto delle nostre identità (mia e loro). Nel caso di Bestiario d’Amore ho intrecciato le mie immagini alla musica di un grandissimo cantautore e cantastorie come Vinicio e abbiamo creato un cofanetto prezioso che potesse esprimere un’idea di amore sia romantico che bestiale partendo dal magico epistolario di Richard de Fournival. Lui la musica, io la parte visiva, nessuno ha detto all’altro cosa bisognava fare, ma abbiamo lavorato per la buona riuscita del progetto che, infatti, è stato selezionato per i World Illustration Awards ed esposto all’Illustration Museum di New York.
Ogni progetto ha una storia di ricerca alle spalle che parte proprio da idee condivise con i miei committenti, senza di loro non avrei uno scopo, non esisterei come artista. I committenti per me sono anche i galleristi e i curatori. La dimensione artistica è il motore della mia scelta professionale e non vedo una separazione abissale tra i lavori commerciali e i progetti personali.
Quali sono le modalità tecniche con cui realizzi le tue opere? Quali procedimenti segui?
Sono un animale da studio, prima di affrontare un progetto leggo. Tutto parte da una ricerca sia di fonti scritte che visive (si leggono anche quelle), dopo averla fatta prendo la matita in mano e faccio dei bozzetti. Successivamente finalizzo i miei disegni a china, linea di contorno e tratteggio e coloro in digitale con delle accortezze estetiche fondamentali, a partire dalla composizione che deve valorizzare e adattarsi a formati diversi, l’impatto visivo che deve essere studiato per lo scopo del prodotto finale. Un manifesto non può essere progettato come il pattern di un tessuto. Inutile iniziare un progetto se prima non si sanno le finalità, le declinazioni, i formati, le dimensioni.
Dopo la mostra al Forte Malatesta di Ascoli Piceno come è nato il progetto per il Collegio Mellerio Rosmini? Come avete modificato, ampliato la mostra e l’avete resa così speciale?
Paolo Lampugnani: Le due mostre erano già nell’aria così è parso bene pensare a un progetto condiviso. La mostra ha goduto di due spazi molto diversi: mentre ad Ascoli è stata pensata in un ambiente possiamo dire neutro, nel senso che le belle sale del Forte Malatesta, notevole esempio d’architettura militar-residenziale rinascimentale, non ospitavano al momento della mostra collezioni permanenti. Al contrario al Collegio Rosmini si è dovuto, almeno per il primo piano, far conto di spazi già fortemente connotati quali la cappella, la biblioteca e le sale del museo scientifico. A questi si sono aggiunti i lunghi corridoi di collegamento con le loro ampie vetrate. Da qui l’idea di far interagire il contenitore e i suoi contenuti con i lavori di Elisa creando delle vere e proprie istallazioni d’arte, affinché dialogassero tra loro senza che una delle due parti prendesse il sopravvento. Tengo a questo proposito a sottolineare che le scelte di allestimento sono state fatte sotto l’egida dell’artista e con il prezioso e insostituibile lavoro di Tommaso Delmastro.
Cosa ti ha colpito del suo lavoro? Perché l’hai voluta per questo progetto così impegnativo? Cosa pensi sia l’elemento “in più” delle sue immagini?
Wow! Direi che questa è la reazione più immediata di fronte alle opere di Elisa. Da quando casualmente abbiamo scoperto un suo lavoro per una copertina è stato un continuo ritrovarla su giornali, riviste, web… Sempre con lo stesso effetto di stupore.
Quanto ad averla voluta direi piuttosto che è lei che si è fatta, in qualche modo, risucchiare dalla sua terra natale e credo un po’ anche dal nostro entusiasmo nei suoi confronti. Inoltre i temi che ispirano la Seitzinger mi sono estremamente familiari per il mio percorso di studi umanistici. Senza dubbio l’elemento in più è la cura maniacale dei dettagli che poi, a ben vedere, dettagli spesso non sono, ma parti in qualche modo ugualmente pregnanti rispetto al soggetto principale. Se a prima vista cogli l’insieme, i colori, sempre attentamente studiati sia nelle opere uniche che nelle serie, poi ti ritrovi appunto a perderti nel gioco dei dettagli delle piccole figure di contorno, dei simboli.
Negli enormi spazi del Collegio hai pensato ad un allestimento pluristratificato in cui ci si deve letteralmente abbandonare e perdere: quali sono le sollecitazioni che hai voluto restituire con il lavoro di Elisa Seitzinger?
La varietà dei mondi da cui Elisa trae ispirazione, quello classico, bizantino, medioevale, filosofico e metafisico, pur rielaborati in una sintesi assolutamente personale e contemporanea: ciascuno può ritrovare un suo interesse o un semplice motivo di piacere estetico. Al singolo visitatore si è lasciata la possibilità di scegliere una chiave di lettura personale che in qualche caso è stata pure fortemente polemica nei confronti soprattutto dei contenuti di alcune opere e nella scelta della loro collocazione. Ma va bene così, nel pieno rispetto delle singole sensibilità.
Come avete scandito il percorso? Ci racconti i contenuti delle sette sezioni di Alchemica?
Il percorso si è in qualche modo scandito da sé, non abbiamo fatto altro che mantenere la sequenza delle sale del collegio semplicemente creando con un volto degno del parco di Bomarzo l’ingresso al primo corridoio: serve a isolare i circa 1.000 metri quadri dell’esposizione dal resto del palazzo.
Infine i contenuti: si parte dalla cappella con 5 arazzi su tela con immagini di Santi, quindi si procede attraverso una doppia serie di tarocchi dapprima gli arcani maggiori, quindi quelli minori. Qui felice è stata l’intuizione di utilizzare le ampie vetrate dei corridoi riproducendo le tavole su vetrofanie a effetto cattedrale. Si passa quindi alle sale del museo, ciascuna allestita integrando opere in tema con le diverse collezioni: fisica, geologia, mondo animale, mondo vegetale. L’esposizione al piano nobile si chiude con la visita alla biblioteca storica, con due i due arazzi degli Orlandi e le tavole per il booklet dell’opera audio-visiva Formosus del gruppo prog Organic, opera che è stata eseguita dal vivo in occasione di un evento di promozione della mostra.
La visita prosegue al piano interrato nella sala del Refettorio con una sorta di retrospettiva, nel corridoio con le tavole per il Bestiario d’Amore di Vinicio Capossela e la galleria dei ritratti e, infine, con la saletta liberty dove è esposta la serie per il libro Nome non ha, sia nella sua forma definitiva che nelle tavole a china originali.
In che misura questa mostra rientra nelle progettualità dell’Associazione Musei d’Ossola e dell’Associazione Asilo Bianco? Penso anche all’inserimento nei palinsesti di Interreg Italia-Svizzera “Di-Se – DiSegnare il territorio”…
La mostra si integra perfettamente con questo progetto e con la sua finalità: valorizzare e far conoscere il territorio attraverso forme d’arte che inducano a una più attenta e partecipe osservazione. In questi tre anni di programmazione DI-SE ha portato sul territorio alcune tra le migliori firme dell’illustrazione italiana, svizzera e qualche volta internazionale, sia con il Festival dell’illustrazione, sia con collettive e personali realizzate in forme espositive anche outdoor.
Avete prodotto anche una grande monografia ce ne riassumi i contenuti?
Ad accompagnare la mostra un bel volume cui sono state chiamate a scrivere figure partecipi del mondo della cultura a vario titolo, tutte accumunate da una grande, genuina stima e ammirazione non solo per lavoro ma anche per il lato più squisitamente umano dell’artista.
Perché bisogna venire a Domodossola per vedere questa mostra? Cosa motiva il pubblico? Quali pareri hai riscontrato?
Credo che il site specific della mostra sia così particolare e azzeccato da meritare una visita, senza dimenticare uno sguardo alla cittadina che riserva più di una sorpresa. Devo dire che l’ottimo riscontro che l’esposizione sta ottenendo è dovuto anche alla scelta della location che viene scoperta e riscoperta, nei suoi ambienti spesso chiusi al pubblico, anche da quanti vivono sul territorio. L’arte di Seitzinger è poi così particolare e accattivante anche per un pubblico non consueto alle mostre d’arte da richiamare numerosi visitatori dalle regioni vicine e in generale da tutto il nord Italia. Sicuramente molti sono stati attratti dallo specifico tema dei tarocchi cui abbiamo dedicato una serata molto partecipata. Da ultimo ci tengo a segnalare – e questo mi fa particolare piacere – la grande presenza di giovani, che spesso ritornano più volte in visita.
I vostri prossimi progetti (e anche collaborazioni condivise se ci sono) quali saranno?
Elisa Seitzinger: per quanto riguarda i miei progetti futuri firmerò il manifesto del Premio Strega di quest’anno e ho in mente di viaggiare molto, la mia monografica sta diventando un format che vorremmo portare in varie sedi espositive nazionali ed internazionali. Stiamo pensando di cambiare nome perché la mostra in sé è in continua metamorfosi a seconda delle esigenze site specific e del costante ampliamento della mia produzione artistica.
Paolo Lampugnani: La terza edizione del Festival dell’Illustrazione a maggio con la presenza di tre artisti differenti per impronta e sensibilità. Poi la mostra outdoor estiva quest’anno sul tema del fantastico nella tradizione popolare delle valli ossolane con la partecipazione di 30 illustratori. Infine stiamo accarezzando l’idea di un grande nome internazionale per la mostra di fine anno… Anche se dopo Alchemica, non sarà affatto facile!
Seitzinger Alchemica
a cura di Stefano Papetti, Elisa Mori, Giorgia Berardinelli, Filippo Sorcinelli, Paolo Lampugnani
allestimento a cura di Tommaso Delmastro e Paolo Lampugnani
in collaborazione con l’Associazione Culturale Verticale d’Arte di Macerata
parte del progetto Interreg Italia-Svizzera “Di-Se – DiSegnare il territorio” a cura di Associazione Musei d’Ossola, Museumzentrum La Caverna di Naters, Associazione Asilo Bianco
catalogo con testi di Nicola Lagioia, Maria Vittoria Baravelli, Diego Passoni, Matteo Piccioni, Simone Sbarbati, Vinicio Capossela, Loredana Lipperini, Mauro Bubbico, Stefano Cipolla, Jonathan Bazzi
12 novembre 2022 – 5 febbraio 2023
Collegio Mellerio Rosmini
via Rosmini 22, Domodossola (VB)
Orari: venerdì 16.00-19.00; sabato e domenica 10.00-13.00 e 15.30-18.30; per aperture straordinarie, scuole (giovedì e venerdì mattina, 10-13) e visite guidate scrivere a museiossola@libero.it
Ingresso libero
Info: +39 335 5223122
www.amossola.it