Bologna
Tina Sgrò. Tracce di luce (di Elena Baldelli)
Nel diario di viaggio firmato dall’artista calabrese Tina Sgrò riecheggiano le parole: Silenzio, Vuoto, Interno con poltrona rossa, Esterno Agip … È un mondo in attesa quello che la Sgrò presenta alla Grafique Art Gallery di Bologna; una panoramica desolata di tessuto urbano che contempla, da un lato, l’intimità nascosta all’interno di un’abitazione privata, dall’altro, le strade, quei percorsi che, lasciandosi alle spalle la città, talvolta conducono verso l’ignoto…
Elena Baldelli: Intitolando la mostra Tracce di luce hai sottolineato l’importanza della luce per la tua ricerca, trasformando, a parole, l’impalpabile e il fugace in impronta materica duratura. La stessa trasformazione avviene nell’atto pittorico…
Tina Sgrò: Tracce di luce come tracce di memoria. È la luce che crea, definisce e, nel contempo, indefinisce. Ho un impianto chiaroscurale molto solido, frutto di tanti anni di studio e rigoroso esercizio. Ed è proprio questa impostazione che dà modo alla luce di scavare, di traslare il ricordo, solo apparentemente sfocato e nebbioso, in un percorso attuale e reale. Mi soffermo per scoprire e narrare spazi inusuali e lontani nel tempo; non privilegio l’occhio a scapito della sensibilità, semmai ri-esploro la realtà con intento poetico, fuori dall’ordinarietà dell’oggetto stesso, per scoprire i lati nascosti di tutto ciò che appare o può apparire stereotipato e consueto.
La navata di una chiesa, scorci di stanze, strade, autostrade. Tutto vuoto.
I tuoi corpi non coincidono con i luoghi degli eventi; sono assenti, altrove… però ci sono stati: lo testimoniano gli oggetti, il vaso accuratamente riempito di fiori, il piatto dimenticato. Perché questa esclusione?
Le persone hanno svolto quella determinata azione, ripercorrono le stanze della loro memoria anche in maniera molto malinconica, ma poi vanno via. È un’assenza/presenza, un “dopo azione”. Non sono vicina alle persone nella loro rappresentazione fisica, bensì alla costruzione mentale ed emozionale del loro vagare.
Gli spazi contemporanei sono invasi da ogni tipo di tecnologia. I tuoi spazi, in particolare gli interni, rievocano una quotidianità passata, sembrano riaffiorare da un’altra epoca…
Amo molto la linea spezzata, il ricciolo o il piede capriccioso di una poltroncina, forse perché meglio traducono la nevrosi del mio segno pittorico… Gli ambienti “parigini”, gli interni di case borghesi, le finestre con le imbotti di legno, le porte sovrastrutturate e maestose, i corridoi abitati da statue marmoree seicentesche: quasi mi trovassi realmente in ambienti ed epoche dove sono lo spirito e l’anima a prevalere. L’esatto contrario del presente. Credo di avere una naturale predisposizione al classico che, secondo me, è assolutamente attuale e lo sarà sempre.
Aprendo la porta verso l’esterno, allontanandosi dai salotti, dalle camere da letto, dalle cucine, si scopre un mondo differente, molto più verosimile alla realtà odierna. In macchina s’incontra un distributore dell’Agip, spicca il giallo limone dell’insegna; poi, si entra in autostrada, si percorrono lunghe distanze, ma, talvolta, un segnale stradale attende l’auto rivoluzionando il percorso. Possiamo definire questi elementi rassicuranti e rivelatori di direzioni sicure o stimoli verso l’ignoto?
Assolutamente è l’ignoto a prevalere. Soprattutto nel viaggio, mi affascina la lontananza delle mete sfocate. Ma non è sempre così. Talvolta mi trovo in antitesi tra quello che voglio raggiungere e la consapevolezza di quello che mai raggiungerò. È proprio quest’ultima meta irraggiungibile (ed è un discorso ciclico che si rinnova) a farmi vivere, aggiungendo sempre nuovi ed appassionanti stimoli creativi. Viceversa sarei morta.
Autostrade e l’orizzonte a “chilometri e chilometri” o piccole stanze risolte in pochi metri. Esiste un punto d’incontro? Raccontaci di queste due ricerche apparentemente così distanti tra loro.
Sono due espressioni e due racconti diversi. Gli interni raccontano mondi personali ed intimamente nascosti che si appropriano degli oggetti per raccontare una storia, un’evoluzione, un cammino esistenziale quasi tragico: la consapevolezza della limitazione temporale (la durata di una vita), la paura del “dopo”, il senso della perdita e la malinconia del rimpianto. L’interno è un teatro di emozioni fluttuanti e reversibili (mi trovo nel 2011 ma sono stata, ho vissuto, forse, nel 1951) dove, comunque, riesco ancora a distinguere l’affanno dell’ombra dalla certezza della luce.
Il paesaggio, invece, è un correre avanti senza pensare più di tanto; giusto un orientamento piccolo e colorato (un segnale) per non perdere irrimediabilmente le distanze. Il “fuori” è una giostra giocosa, è un frame del quotidiano che predilige campi lunghi e prospettive che scorrono lungo uno spazio agitato. Non c’è un punto d’incontro, ma un continuo divenire altalenante tra interno ed esterno.
Un viaggio dell’anima, un viaggio della memoria, un percorso incontrollabile.
La mostra in breve:
Tina Sgrò. Tracce di luce
Grafique Art Gallery
via Ferrarese 57, Bologna
Info +39 051 363880
www.grafique.it
Fino al 30 ottobre 2010
In alto:
“Esterno Agip”, 2010, olio su tela, cm 50×75
In basso, da sinistra:
“Silenzio”, 2010, acrilico su tela, cm 90×130
“Senza titolo”, 2010, olio su tela, cm 60X50