MONZA | Villa Contemporanea | 20 febbraio – 18 aprile 2020
Intervista a THOMAS SCALCO di Alice Vangelisti
È un silenzio mistico ed evocativo quello che si sprigiona all’interno delle opere di Thomas Scalco (1987), in cui linee delicate e leggere si intrecciano con colori sfumati ed effimeri, completandosi a vicenda e dando vita a una silente armonia pittorica in grado di evocare un’essenza invisibile agli occhi.
La solidità del reale si smaterializza in evanescenti ed evocative composizioni in cui una lettura profonda dell’essenza propria del visibile è in grado di raccontare l’invisibile realtà di un oltre, in un dialogo serrato tra ciò che si vede a occhio nudo e ciò che si può solo percepire. Così, in un continuo gioco di silenziose connessioni e contaminazioni, l’artista sonda ancora più a fondo il mondo che conosciamo, facendoci sprofondare nell’oscurità di spazi solitari e nascosti. Lo sguardo è dunque catturato da questi universi visibilmente invisibili, rinchiusi nel buio di un abisso primordiale che si cela dietro la superficie per cullare la nostra esistenza in un effimero senso di studiata illusione.
In questo senso, invece di presentare il mondo che viviamo quotidianamente nella sua dirompente tangibilità, l’artista gratta la superficie del visibilmente reale per rivelare trame ben più complesse e spirituali, manifestando così l’illusione concreta di qualcosa che non vediamo, ma di cui possiamo sentirne la potenza e percepirne la presenza. In questo modo, lo spazio pittorico, che evolve anche in una sperimentazione tridimensionale, è testimone di apparizioni fuggevoli e avvolgenti che si cristallizzano in attimi astratti di dolci e meditativi silenzi.
Abbiamo intervistato l’artista, approfondendo con lui i contenuti relativi alla sua ricerca e i nuovi sviluppi presentati in occasione della personale intitolata Silēre, curata da Rossella Moratto negli spazi di Villa Contemporanea a Monza:
I tuoi lavori racchiudono la silenziosa armonia dell’invisibile che diventa visibile. In questo senso come nasce e si sviluppa la tua ricerca?
È curiosa questa definizione perché Visibile con l’invisibile è anche il titolo di alcuni lavori che ho realizzato alla fine del 2018 e che sottolineano il profondo legame di questa ricerca con l’intangibile.
Invisibile è in un certo senso il principio che governa tutto, ciò che anima le relazioni: se gli prestiamo attenzione ci permette quindi di vedere – termine da intendersi in contrapposizione al guardare.
Facendo un passo indietro, tutto nasce da una sensazione: si tratta di una mia esigenza di comprendere e successivamente evidenziare nessi, connessioni e sintonie all’interno delle esperienze quotidiane – grandi o piccole che siano – attraverso la forma e la sua negazione.
In questo modo, cerco di sviluppare nelle mie opere i punti di contatto che possono celarsi dietro al caso apparente, ricercando un equilibrio insito nelle cose che però non è sempre percepibile, anche per la velocità del mondo attuale.
Confine, limite e soglia sono così le chiavi del mio discorso artistico: tutto si svolge su un piano impercettibile, in uno spazio quasi impalpabile, all’interno di una superficie che limita e al contempo si fa tramite. Concepisco quindi i miei lavori come uno spazio di apertura capace di portarci altrove, sebbene racchiuso talvolta in un’opera di pochi centimetri quadrati.
Ma in fondo è la pittura che permette tutto questo.
Le tue composizioni profonde ed evocative aprono a mondi altri, invisibili e impercettibili. Quali sono le esigenze e i principi espressivi che le governano?
Estremizzando, per l’arte sacra prima del Rinascimento – prendendo il caso dell’Occidente – l’obbiettivo non era tanto rappresentare quanto piuttosto evocare. È una sottile distinzione che permette però di comprendere, ad esempio, il senso di devozione verso le icone, intese non più come immagini ma Immagine, e cioè una finestra attraverso cui è possibile vedere direttamente il sacro.
Si tratta quindi di una concezione della pittura intesa come medium nelle varie accezioni del termine.
In questo senso, la mia azione artistica intende graffiare la patina della velocità e della leggerezza del mondo contemporaneo tramite piccoli cortocircuiti, in modo da vedere oltre questa finestra un barlume di realtà. L’atmosfera che si manifesta nelle mie opere rimanda inevitabilmente ad un mondo onirico, dai tempi sospesi e dilatati, con l’impossibilità di una percezione chiara e definita, eppure proprio per questo così essenziale per la nostra esistenza.
Negli ultimi lavori della tua produzione c’è anche una particolare commistione tra pittura e scultura. Come ti poni rispetto a questa sperimentazione e che tipo di rapporto hai con i materiali che utilizzi?
L’esigenza di lavorare sulle tre dimensioni e quindi di ragionare anche in chiave “scultorea” è nata spontaneamente, come ramo parallelo della mia pratica pittorica. Si tratta di una scelta anche dettata dalla necessità di pormi in modo altro rispetto alla forma tradizionale del quadro. La prassi però non muta dal mio consueto approccio: i materiali come carte, pigmenti, colle e leganti sono sempre gli stessi.
In realtà considero queste opere autonome rispetto a quelle strettamente pittoriche, benché mi affascini il modo in cui vi entrano in relazione senza discontinuità alcuna, ma, anzi, aprendo nuove riflessioni, connessioni e dialoghi.
Rispetto ai lavori su tela, però, con questa serie ho voluto agire in modo diverso, anche sacrificando per certi versi la facilità di lettura. Infatti, le metto in relazione allo spazio: non si sono più appese semplicemente a parete, ma si spostano invece sugli angoli, sui cornicioni, in cima alle colonne, anche con il conseguente rischio di non essere viste. Però, questo loro “nascondersi” nello spazio gioca con la nostra curiosità e con la nostra attenzione, manifestandosi come vero e proprio invito all’osservatore a scoprirle.
In queste opere ho inoltre voluto agire direttamente sul supporto, inserendo in esso un’azione “ordinatrice” come risposta ad un fare pittorico libero e gestuale: la piegatura rigorosa e le conseguenti sfaccettature sono il disegno effettivo del foglio che diventa oggetto.
I collage della serie Ist (2018) rappresentano un momento di passaggio verso le nuove tele delle serie Origine (2019), Silēre e Hercafalìa (2019-2020). Come si sviluppa la tua ultima produzione e come si relaziona a quella precedente?
Ist è una serie a cui lavoro ormai da anni e su cui continuo a tornare anche a distanza di tempo. Per me rappresenta un momento di riflessione e raccoglimento, che in parte si può dedurre dalle dimensioni contenute di queste carte. Allo stesso modo, trattandosi di tecnica mista – pittura, collage e disegno – queste opere racchiudono in sé anche tutte quelle pratiche che sviluppo in maniera più approfondita e singola all’interno di altre serie.
Nella mia produzione è quindi presente una chiara linearità: le varie serie sono parte di un unico inscindibile percorso, paragonabile al guardare lo stesso oggetto da tante angolazioni differenti per scoprire di volta in volta aspetti prima impensati. Per questo, ognuna di esse ha una sua propria essenza, pur mantenendo ben saldo l’elemento di continuità con tutto il mio percorso artistico.
Per esempio, la serie più recente Hercafalìa è nata in seguito a un progetto di residenza al quale ho partecipato l’estate scorsa. In questo caso, il senso di apertura verso l’invisibile è chiara, ma è presente anche un richiamo forte alla figura reale che viene controbilanciata dall’apparizione luminosa e dalla pittura, che si fa spazio, divenendo più evidente e gestuale, quando, invece, nelle altre serie viene celata dalla tecnica utilizzata. Il riferimento al reale è qui ancora più evidente rispetto alle serie precedenti, ma in questo senso la scelta di lavorare allo stesso tempo sulla figura e sulla sua dissoluzione è per me uno dei metodi per evitare la categoria, e quindi la chiusura del discorso. In un certo senso, lo stesso vale anche per i titoli delle mie opere: quando ci sono, sono sempre allusivi ed evocativi, come delle timide indicazioni.
I lavori delle serie più recenti sono i protagonisti indiscussi di Silēre, la tua personale che ha inaugurato recentemente a Villa Contemporanea. Come si sviluppa il percorso espositivo in rapporto alla tua ricerca e allo spazio? Quali riflessioni e sensazioni vuole innescare nel visitatore?
Sono molto felice del risultato ottenuto con questa mostra, perché è scaturito spontaneamente da un dialogo con Monica e Rossella. Sembra quasi che i lavori, benché realizzati in momenti differenti, aspettassero questa occasione per incontrarsi e attivarsi l’un l’altro. In particolare, mi ha stupito il dialogo che si è creato tra le tele e le sculture – alcune delle quali pensate appositamente per questi spazi: ogni opera infatti rimanda all’altra con naturalezza – e spero anche con armonia.
Thomas Scalco. Silērea
cura di Rossella Moratto
20 febbraio – 18 aprile 2020
Villa Contemporanea
Via Bergamo 20, Monza
Nel rispetto del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’ 8 marzo 2020 in merito all’emergenza Coronavirus (Covid-19) la galleria rimarrà chiusa fino a diversa comunicazione.
Info: info@villacontemporanea.it
www.villacontemporanea.it