ROMA | Nello Studio di Sabino de Nichilo
di Mattia Lapperier
Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, spazi che in tempi di pandemia rappresentano pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea.
Uno spazio piuttosto angusto, stretto e lungo, fortemente connotato e ricolmo di oggetti di ogni tipo è come oggi appare lo studio di Sabino de Nichilo. Precedentemente era la cucina di un’abitazione; con l’apertura al pubblico di Casa Vuota – spazio domestico romano convertito in sede espositiva che da oltre quattro anni propone progetti di arte contemporanea costruiti su misura per le stanze dell’appartamento – si trasforma in studio d’artista. Sabino de Nichilo ha rispettosamente mantenuto per gran parte l’assetto originario che comprende, tra gli altri elementi, la pavimentazione e le piastrelle tipiche di una cucina degli anni Sessanta. Per il resto, ha saputo predisporre sulla base delle proprie esigenze un ambiente certamente non ‘facile’, poiché strutturalmente poco rinnovabile. In un intricato gioco di incastri è infatti riuscito a introdurvi, oltre alla quasi totalità dei suoi lavori, in parte in bella mostra, in parte imballati, un tavolo da lavoro, già appartenuto al collega Agostino Iacurci, un forno per la cottura della ceramica e le molte scaffalature su cui sono riposti molti strumenti, materie prime e di recupero.
Avviato alla manipolazione dell’argilla da Riccardo Monachesi, in un primo tempo l’artista si impratichisce presso la bottega del suo maestro. Solo in un secondo tempo e dietro consiglio di quest’ultimo, ha inizio la frequentazione del C.E.R., la più antica scuola di ceramica di Roma, a due passi dal Colosseo.
Con l’inaugurazione di Casa Vuota, la storia dello studio di Sabino de Nichilo si lega a doppio filo a quella del centro espositivo. Talvolta si espande l’uno, invadendo lo spazio dell’altro; ciò accade per esempio quando l’artista ha bisogno di vedere allestite le opere oppure avverte la necessità di istituire un dialogo tra il proprio lavoro e quello di un artista ospite o anche quando, intento a cimentarsi in sculture di grande formato, sfrutta anche altre sale di Casa Vuota, come l’ingresso. In altri casi, soprattutto se ci sono mostre in corso piuttosto ingombranti, l’artista si ritrae nell’ex cucina e vi trascorre molte ore, sfruttando preferibilmente la luce naturale, per dar seguito alle proprie sperimentazioni in solitudine.
Sabino de Nichilo ha imparato, nel tempo, ad adattarsi a quello spazio compresso, a farlo suo. Negli anni ne ha esplorato ogni angolo; mentre lavora, infatti, ha l’abitudine di non stare mai seduto ma sempre e solo in piedi e in movimento, sfruttando ogni più piccola porzione di spazio calpestabile ancora disponibile. Anche la sua scultura, sin dalle primissime fasi, si confronta costantemente con un contesto che non è affatto neutro. Le opere in ceramica nascono dunque dal movimento del loro stesso artefice, in uno spazio caotico, colorato, ricavato da un ambiente preesistente e successivamente riconvertito. Le sculture stesse, mutevoli, imperfette, dai volumi scabri e compositi, riflettono gli stessi caratteri dell’ex cucina in cui sono state concepite.
La ricerca dell’artista si focalizza sul concetto di mutazione e sulla perdita di controllo, intesa come processo consapevole e ricercato. Sabino de Nichilo modella oggetti carnali, estrapolati da un corpo assente che non possiede né genere né età. Sottopone la materia a strappi, urti, pressioni; essa, in molti casi, è inframezzata a elementi di origine biologica come radici, tronchi, ossa, cactus o fibre naturali. L’artista, entro il proprio angusto laboratorio alchemico, esplora i confini tra organico e inorganico. Assembla sostanze di recupero, che ormai hanno concluso il proprio ciclo vitale, a ceramiche e smalti. Dà vita a qualcosa di ormai morto. Concepisce le proprie concrezioni ceramiche come organismi in via di sviluppo che si espandono nello spazio, talvolta arrivando persino a fagocitare vecchi lavori danneggiati o rimasti incompiuti.
Tra accumuli di materiali biologici e cotture a terzo fuoco – necessarie queste ultime per imprimere gli accenti metallici che caratterizzano la maggior parte delle sue sculture – lo studio di Sabino de Nichilo è il luogo in cui avvengono arditi passaggi di materia. Esso stesso, in perenne metamorfosi, è testimone di una sperimentazione continua, tesa tra procedure anticonvenzionali e un approccio alla ceramica di tipo gestuale e istintuale.
Sabino de Nichilo, nato a Molfetta (Bari) nel 1972, vive e lavora a Roma. Dopo un esordio espositivo nel 2009 con un’installazione presentata negli spazi del centro culturale Rialtosantambrogio di Roma, si dedica all’organizzazione di mostre (è tra i fondatori del progetto curatoriale Casa Vuota) e si avvicina alla pratica della scultura sotto la guida di Riccardo Monachesi. Tra le più recenti mostre personali si segnalano: nel 2019 Organi da asporto, con testo critico di Lorenzo Madaro, presso L29 Art Studio, Roma; nel 2018 Viscere, a cura di Bianca Sorrentino, presso il Museo Archeologico Fondazione De Palo-Ungaro, Bitonto (Bari). Tra le recenti mostre collettive si ricordano: 40 days. Artisti in quarantena, a cura di Mattia Lapperier, presso Quasi Quadro, Torino; nel 2020 Pezzi Unici, a cura di Noemi Pittaluga, presso la Galleria Gallerati; Basic Necessities, progetto virtuale organizzato da SpazioY e ABC Collective, Roma; Hommage à Sburracchioni, a cura di Nicola Zito, presso la Galleria Microba, Bari; nel 2019 Mediterraneo Keramikòs 2020, a cura di Lorenzo Fiorucci, presso il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina di Napoli; Miradas Cruzadas, a cura di Andrea Iezzi, presso la Fondazione Horcynus Orca di Messina; Entasi, presso l’Acquario Romano, Roma. Nel 2018 prende parte alla Biennale Arte Ceramica Contemporanea, presso la Fiera Roma Arte Expo; a Domestica, presso il sito archeologico delle Case Romane del Clelio, Roma; a Crete, presso il Museo Archeologico Arte Contemporanea di Cisternino (Brindisi); nel 2017 a In Crypta, presso il Convento dei Cappuccini, Grottaglie (Taranto).