SARZANA (SP) ǀ NELLO STUDIO DI BEATRICE MEONI
di Mattia Lapperier
Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, spazi che in tempi di pandemia hanno rappresentato pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea.
Lo studio di Beatrice Meoni consiste in un ambiente unico piuttosto ampio, sormontato da un soppalco e abbondantemente illuminato nella parte superiore da luce naturale. Originariamente lo spazio accoglieva un laboratorio artigianale in cui venivano realizzati ed esposti lampadari; quando Meoni subentrò nel 2007 ridipinse muri e pavimenti che da neri divennero bianchi e, giorno dopo giorno, iniziò a dare forma allo studio, sino a giungere alla conformazione attuale. A ricordo della precedente attività, e in omaggio ad essa, è il poderoso lampadario dai vetri colorati che ancora oggi pende dal soffitto, al centro della sala. La luce soffusa, i mobili di recupero, le scaffalature in legno e le poltrone contribuiscono a restituire l’immagine di uno spazio accogliente, intimo, intrinsecamente vissuto dall’artista che lo considera
“una sorta di propaggine esteriorizzata, uno spazio che asseconda il pensiero, non ostacolandolo in nessun modo”.
Tanto la scrivania collocata sul soppalco, così come le poltrone al piano terra, oltre ai molti libri disposti negli scaffali e disseminati un po’ ovunque, sono tutti elementi rivelatori di come l’ambiente non sia impiegato unicamente come laboratorio per dipingere ma anche come luogo deputato all’otium. Rifugio confortevole dove leggere, osservare, dedicarsi alla ricerca e allo studio, dove lasciarsi andare a speculazioni intellettuali, anche suggestionata, tra gli altri, dal pensiero di autori come Virginia Wolf, Adriana Zarri o Chandra Livia Candiani, Meoni considera il proprio studio alla stregua di un eremo, benché topograficamente si trovi nel pieno centro di Sarzana. Un eremo in cui ritrovarsi e soprattutto dove sperimentare quella che definisce una “solitudine attiva”, poiché non fine a se stessa ma anzi esperita in prima persona quale condizione necessaria per abbandonarsi a riflessioni sull’immanenza delle cose, sulla caducità del tempo, sulla vulnerabilità del corpo, sulla morte. Forte degli studi letterari e della ventennale esperienza in teatro in qualità di scenografa, l’artista, quasi per deformazione professionale, è portata a misurarsi quotidianamente tanto con la parola scritta – che spessissimo funge da repentina ispirazione per le proprie composizioni – quanto con un gran numero di oggetti, anch’essi per lo più introdotti nello spazio della pittura, più come citazioni che come veri e propri ritratti puntuali.
Tazze rotte, bicchieri scompagnati, vasi, piattini, stoviglie di varie forme e colori, oltre a ninnoli di ogni genere provengono dalla casa e, transitando attraverso un corridoio esterno affollato di piante, raggiungono lo studio e lì perdono definitivamente il loro status originario di oggetti d’uso per divenire altro. Meoni li dispone sui mobili con rigore liturgico. Lì incontrano ex voto, fiori essiccati e cimeli di famiglia. In alcuni casi li impila in modo precario per saggiarne la stabilità, in altri li sposta deliberatamente nello spazio, alla ricerca di una collocazione stabile, in altri ancora li nasconde provvisoriamente alla vista, per poi riscoprirli nei momenti di fermento creativo. Vanno formandosi così, per accumulo e in modo casuale, quelli che l’artista stessa definisce i suoi “altarini”, quasi si trattasse di una privata e personalissima forma domestica di culto.
Un processo osmotico guida l’ingresso degli oggetti nella pittura; un processo uguale e contrario spesso permette l’emersione nello spazio reale di nuovi oggetti, questi ultimi ottenuti sagomando tavole di legno a partire dai volumi pittorici delle composizioni. A loro volta tali forme derivate dalla pittura sono utilizzate per nuovi e ulteriori assemblage che, nel tempo, torneranno ad essere ancora pittura. Lo studio partecipa dinamicamente al moto perpetuo appena descritto poiché esso stesso è determinato dagli oggetti che contiene e dal loro incessante movimento nello spazio, sommato all’ulteriore e precedente movimento dell’artista.
“Lasciare spazio intorno ai gesti ordinari, dargli una stanza, li fa brillare, permette che aprano un varco nell’oscurità in cui di solito viviamo, nel nostro quotidiano sonno. Allora, piano piano, si ricevono le visite della consapevolezza: sono i miracoli del noto”.
Tale citazione di Candiani, tratta da Il silenzio è cosa viva, racchiude in sé l’attitudine con la quale Meoni vive quotidianamente lo studio; l’ascolto attivo di sé stessa e del mondo, il suo isolamento ricercato e non indotto da cause esterne, la stessa necessità di silenzio come catalizzatore di riflessioni. In studio l’artista rielabora una condizione esistenziale costituita da frammenti – oggettuali o corporei – senza tuttavia la pretesa di attribuire loro un senso. Li fissa sul legno, supporto prediletto tanto per la porosità quanto per la possibilità di intervenirvi attraverso incisioni o graffiature. E ne preserva la memoria, raccogliendo le spoglie della loro originaria unità, così da celebrarne, in qualche misura, il lento e inesorabile declino. In quest’ottica lo studio si fa laboratorio esperienziale di una progressiva dissoluzione; dal materiale all’immateriale, dal visibile all’invisibile. Beatrice Meoni ne è testimone attiva e insieme artefice imparziale.
La pittura di Beatrice Meoni (Firenze, 1960) è caratterizzata da una figurazione minimale in cui il corpo umano e gli oggetti rappresentati si mostrano e si nascondono nello stesso tempo. Dettagli anatomici, suppellettili e ritagli di mondo si alternano vorticosamente sulla superficie, grazie a colori puri, opachi e pastosi, e a un segno scarno e potente che allude in maniera sintetica e silenziosa alla realtà. Meoni ha esposto presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, il Museo Civico Luigi Varoli, Cotignola (RA), il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova, il Museo Arte Contemporanea, Lissone (MB), il CAMeC, La Spezia, Mars, Milano. Vive e lavora a Sarzana (SP).