GROSSETO ǀ NELLO STUDIO DI ANTONIO BARBIERI
di MATTIA LAPPERIER
Lo studio nasce, cresce e si sviluppa di pari passo con l’artista. Ne riflette la personalità nel modo più autentico. È testimone silenzioso delle sperimentazioni più ardite, del perfezionamento di tecniche affinate negli anni e custodite gelosamente. È anche il luogo delle infinite prove, delle notti insonni, delle cocenti insoddisfazioni, che tuttavia possono sfociare talvolta in successi inaspettati. #TheVisit ha lo scopo di aprire le porte a tali realtà che per loro stessa natura sono poco accessibili, spazi che in tempi di pandemia hanno rappresentato pure una delle rare occasioni di confronto diretto con l’arte contemporanea.
Già capannone industriale, l’attuale studio di Antonio Barbieri è stato riconvertito dallo stesso artista nel suo luogo di lavoro, a partire dal 2016. Ampio, luminoso, versatile, lo spazio si presta a una ricerca che presuppone molteplici fasi operative. Dall’ideazione, che spesso avviene in forma di abbozzo su carta, alla sperimentazione al PC, alla progettazione vera e propria, sino alla produzione, Barbieri segue scrupolosamente ogni aspetto progettuale dalla A alla Z.
Il peculiare linguaggio adottato dell’artista modella lo spazio, determinandone la forma e la funzione di ogni sua parte. Il soffitto alto sette metri e il mobilio scomponibile e ricomponibile con assetto differente sono caratteristiche che gli permettono di estendere la sperimentazione su grandi formati, oltreché di riadattare con relativa facilità gli ambienti dello studio, a seconda del tipo di procedimento che intende portare avanti. All’occorrenza isolate dal resto dell’ambiente per mezzo di espedienti come teli o pannelli, all’ingresso, avvengono le operazioni più “sporche” di scultura, assemblaggio e saldatura. Davanti alle finestre, su ripiani orizzontali, l’artista ha invece disposto un’area dove dedicarsi alla pittura e alla rifinitura delle sculture. Se il soppalco funge da archivio e magazzino e parte dell’ambiente principale è deputato all’accoglienza dei visitatori, un’ulteriore stanza, anch’essa ricavata dal capannone e separata da questo per mezzo di una porta, riveste la fondamentale funzione di centro catalizzatore del processo ideativo dell’artista. Quella che definisce affettuosamente la sua “stanzina tecnologica” è il luogo dove Barbieri elabora i suoi progetti, dove raccoglie le idee e le trasforma in processi, talvolta ancor prima di avere a disposizione la tecnologia necessaria a realizzarli. In molti casi è anzi lo stesso artista ad assemblare strumenti utili a conferire una forma stabile alle proprie sperimentazioni; numerose postazioni PC per lo sviluppo elettronico delle opere, due stampanti 3D per la resa spaziale delle parti strutturali, una stampante in resina per la definizione dei dettagli e un plotter per la restituzione di lavori bidimensionali sono solo alcuni dei macchinari predisposti da Barbieri, anch’essi – al pari dei mobili – soggetti a continui mutamenti nella struttura e nella funzione, a seconda delle necessità.
Alla piena esplicazione di tale indole da progettista – anzi, da autentico architetto della forma – concorre la felice posizione dello studio, collocato nell’area industriale della città, in un contesto particolarmente favorevole alla sperimentazione. Lì peraltro l’artista può avvalersi della consulenza tecnica di un gran numero di professionisti attivi nei campi più disparati che spaziano, per menzionarne solo alcuni, dalla tappezzeria nautica, all’informatica, ad aziende di tecnologia dedite allo sviluppo di droni o laser. Insieme, danno vita a una vera e propria comunità che si scambia informazioni utili su processi, componenti, procedimenti e materiali. Barbieri fa tesoro di tali preziose occasioni di confronto, peraltro funzionali al perseguimento di un approccio olistico, che l’artista infonde in ogni sua opera.
Sin dai propri esordi affascinato dalla riflessione sulla forma, per lo più indagata attraverso i materiali della tradizione scultorea, è infatti solo a partire dagli ultimi anni che Barbieri apre alle possibilità offerte dalla tecnologia in ambito artistico, passando con disinvoltura dal ferro e dalla ceramica, al plexiglas, ai filamenti plastici, alla resina. La tecnologia tuttavia non fagocita la sua ricerca, che rimane nella sostanza fedele a se stessa, né è impiegata quale elemento di mera spettacolarizzazione; dischiude piuttosto nuove opportunità di esplorazione, magari in direzione di quella forma che sarebbe impossibile esprimere per mezzo dei sensi comuni. L’intelligenza artificiale, così come l’elaborazione di algoritmi complessi, il ricorso a scanner e stampanti 3D o le recenti incursioni nella realtà aumentata, nelle mani di Antonio Barbieri, divengono risorse in grado di estendere la conoscenza formale di un fenomeno.
Sospesa in un crocevia tra figurazione e astrazione, la ricerca dell’artista si propone di individuare nuove soluzioni a problemi formali senza tempo. Attraverso la tecnologia non solo attribuisce una conformazione stabile e tangibile a grandezze misurabili come il suono, la temperatura o l’umidità ma, grazie all’utilizzo dell’IA, l’artista ambisce persino a conferire dignità scultorea a qualcosa di ancora più labile e ineffabile, come le emozioni o le impressioni umane.
Il suo studio, vissuto quotidianamente come centro operativo di sperimentazione, è lo specchio di un linguaggio artistico che fonda i propri presupposti sui concetti di fluidità e versatilità, indagati sia sul piano materiale che concettuale. È un laboratorio della forma, dove la ricerca del nuovo precede persino la possibilità di esprimerlo in termini fenomenologici; è il luogo in cui ogni progetto, dall’ideazione all’esecuzione materiale, si esplica tanto nel formato elettronico, quanto in quello materiale o, come le attuali frequentazioni della realtà aumentata suggeriscono, persino nell’ibridazione dei due piani.
Antonio Barbieri (Rho, 1985) si diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dopo alcuni anni di sperimentazione in diversi ambiti, tra cui la scenografia, e un’intensa attività in laboratori specializzati nella produzione di opere scultoree in pietra e in bronzo, si trasferisce a Grosseto, in Maremma, dove vive e lavora. Affascinato dalle nuove tecnologie, si concentra sulla loro applicazione nella pratica artistica, questo fa da humus al concepimento delle opere e i soggetti che ne derivano spaziano dalla rappresentazione di organismi ipotetici fino allo studio delle regole frattali applicate alla natura. La sua ricerca si propone di analizzare i cambiamenti delle forme di vita, il modo in cui esse si strutturano e si modificano nel tempo. È docente di modellazione e stampa 3D e collabora con diverse realtà sia nazionali che internazionali. Tra gli ultimi progetti si segnala: Riportando tutto a casa a cura di Lorenzo Madaro (Museo delle navi romane di Nemi), Digital Soul (Talent Garden), Genetica della Forma (Palazzo Collicola), Organic Architectures (Officine Chigiotti), There is no wind on the Moon (Contemporary Cluster).