VENEZIA | Palazzo Contarini del Bovolo | 15 settembre – 3 novembre 2019
Tutto si muove. L’immobilità non esiste. […] Dimenticate le ore, i secondi, i minuti. Accettate l’instabilità. Vivete nel tempo. Siate statici – con il movimento. […] Smettetela di “dipingere” il tempo. Vivete nel presente.Vivete nel tempo e secondo il tempo. Per una meravigliosa e assoluta realtà! (Jean Tinguely, Für Statik, 1959)
La mostra The Only Stable Thing indaga uno dei linguaggi più interessanti oggi: l’arte cinetica e time-based. In essa, il movimento e il tempo vengono impiegati sia come aspetti formali che concettuali, generando una ricerca il cui significato sta plasmando il discorso artistico contemporaneo. Attraverso il coinvolgimento della kinesis nelle sue molteplici forme e significati, la mostra si inserisce nei dibattiti fondamentali relativi alla trasformazione, come i cambiamenti climatici e sociali, il ruolo della tecnologia, la comprensione del tempo e lo studio delle forze naturali.
Jean Tinguely disse: “l’unica cosa stabile è il movimento”. Da questa dichiarazione muove il percorso critico del progetto, perché ciò che essa incarna è una visione nuova della relazione tra uomo, tempo e arte, in cui l’opera non è più solo veicolo di rappresentazione del tempo, bensì esperienza di esso, attraverso la tecnologia. Proprio quella tecnologia che è la ragione e il mezzo attraverso cui l’uomo ha cambiato la sua relazione con il tempo e la percezione di esso. “Accettate l’instabilità” recitava l’appello di Tinguely nel 1959: un invito a capire che l’immobilità non esiste, e che l’unica costante è il movimento di cambiamento, disintegrazione e rinnovazione continua. Quel manifesto urlava a un tempo storico che accelerava, e che è andato accelerando fino ai giorni nostri. Oggi la tecnologia sta disegnando codici visivi ed emozionali nuovi, plasmando la nostra coscienza e la nostra capacità di astrazione. Uomo e tecnologia stanno rinegoziando i loro ruoli nella comprensione del tempo, inteso sia come dimensione fisica, che come epoca storica.
A livello concettuale, la riflessione delle arti time-based coinvolge infatti il tempo in questa sua duplice entità. Le pratiche e i discorsi artistici legati alla scienza, alla tecnologia, all’ingegneria e alla robotica si impongono dunque come strumenti essenziali con cui l’arte è chiamata ad esplorare il presente, perché sono essi i codici della contemporaneità e della quotidianità. Molti artisti sembrano aver accolto l’appello del pioniere dell’arte cinetica, e hanno aperto, con le loro opere, riflessioni cogenti. Una roccia mette alla prova la resistenza del vetro che la sostiene. Questo equilibrio non sarà per sempre: il micromovimento dato dalla pressione porterà a una rottura. È questione di tempo. (Public Morality, 2019). Le sculture di Arcangelo Sassolino comprimono il tempo in uno spazio emozionale fatto di suspense. Sia la struttura, che l’osservatore, sono portati a uno stato di tensione massima. Qualcosa di irreparabile sta per accadere, ma dobbiamo abbandonare la pretesa di prevedere con quale movimento e in quale momento. Public Morality è l’epitome del discorso di Tinguely: l’unica cosa stabile è il movimento, il cambiamento, l’instabilità dello stato delle cose. Il tempo che Sassolino invoca ha una scadenza, e spesso governa forze liminari e incontrollabili: pressioni, esplosioni, fratture. Lui lo manipola e lo scandisce in fasi di attesa e sorpresa, costringendo a scontrarsi con la sua natura incontrollabile.
“Siate statici – con il movimento”: è il paradosso necessario a ogni condizione di vita. Un seme sospeso da un soffio d’aria fornisce un ulteriore livello di paradosso e di riflessione (Paul Leitner, The Traveler, 2012). Il ciclo di riproduzione della specie è interrotto: sostituito con un artificiale condizione di “nomadismo permanente”. Il movimento perenne trasforma un processo di vita naturale in un asettico – e poetico – esperimento. Nel fascino per la meccanica e la tecnologia si compie un ulteriore legame tra l’uomo, la scienza e il tempo. L’arte cinetica e time-based è infatti anche un luogo per esplorare l’accelerazione della modernità attraverso il progresso scientifico: la tecnologia non è soltanto un medium, ma anche soggetto di indagine.
Un sistema pneumatico si autoalimenta, per mantenere viva la sua gestualità meccanica di espansione e compressione (Sassolino, Macroscopico e Domestico, 2009). Sembra inesauribile. Quell’automa è in realtà quanto di più lontano dall’autonomia vitale: ad un certo punto si esaurisce, come un essere vivente, una tecnologia o un pianeta. È una batteria che va rigenerata. Un battito ordinario, un respiro ingombrante e maestoso, che non sarà mai infinito. Nell’esercizio artistico la macchina non è coinvolta soltanto per celebrare un’estetica tecnologica: di essa, vengono interrogati anche l’intelligenza e il ruolo. Le installazioni robotiche ed elettromagnetiche di Carolin Liebl & Nikolas Schmid-Pfähler mostrano movenze che mettono in discussione la macchina come entità soggetta all’uomo. Uno scheletro di bobine si contorce (They 5, 2018) e una polvere metallica prende vita come un animale (Object C, 2017). I loro movimenti li pongono in un rapporto emozionale – e non più funzionale e tecnico – con l’essere umano. Il movimento infatti è percepito dall’uomo nella sfera delle emozioni. Siamo visceralmente coinvolti dal movimento, sia negli esseri viventi che inanimati, ed è anche da questa pulsione che ha origine la fascinazione per la kinesis nell’arte. La robotica va sempre più in questa direzione, sfruttando l’istinto ad associare il movimento con la vita. Cinquant’anni fa Armstrong compiva la prima camminata sulla luna e centinaia di milioni di persone lo videro compiere quel passo. Ciò che si presentò di fronte agli occhi dell’umanità non fu un’immagine statica, bensì un movimento. Era quella la vera prova, straordinaria, della vita umana sulla luna. Il movimento è prova di vita – dove c’è movimento, c’è vita. L’esercizio di Edith Kollath consiste nel donare vita agli oggetti attraverso il movimento. In Thinking I’d last forever (2008 – 2018) il moto meccanico riattiva il tempo del passato rinchiuso tra le pagine di antichi libri. Come si trasforma il nostro rapporto con la tecnologia quando la usiamo per avvicinare a noi concetti astratti? Andreas Lutz utilizza il movimento come un linguaggio, per adattare i codici del mondo digitale alle nostre facoltà umane. Traduce in espressioni visive i fenomeni appartenenti ad ambiti astratti, come il rumore visivo (Simplex, 2018), o l’ermeneutica. Soft Takeover (2019) fa apparire su una tela bianca dei movimenti: corrispondono a numerose sequenze interpretative a partire da una matrice data da un computer. Nonostante la forma familiare, il contenuto appare impenetrabile, aprendo così un interrogativo sull’attendibilità dei messaggi e delle azioni dell’intelligenza artificiale. L’arte cinetica nata negli anni Sessanta era espressione della necessità di esplorare una coscienza in cambiamento nei confronti del tempo e del proprio Tempo. Oggi gli artisti continuano ad esprimere questa urgenza. Il tempo è movimento e trasformazione. Molteplici sono però le sfumature che la parola trasformazione può avere. A un senso di emergenza e irreversibilità fa rifermento il paesaggio di Carla Chan (Between Happening, 2017): la polvere di ferro con cui è dipinto si muove, e i possibili scenari così cambiano di continuo. Al suo passaggio, la polvere lascia sulla carta delle tracce indelebili, come quella dell’uomo sull’ambiente. È anche a livello epistemologico che si dischiude il confronto tra tempo e uomo, che si rivolge ad esso come dimensione cosmica. McLuhan ha ricordato come il dibattito culturale avesse additato negativamente le conseguenze della regolazione del tempo: molti arguivano che la sua codifica esatta – con l’orologio – avesse fatto sì che l’esperienza umana venisse allontanata dalla natura. La decostruzione di queste teorie da parte di McLuhan resta sempre attuale: la nuova era tecnologica ha restituito l’uomo ad una consapevolezza primitiva, proprio perché le possibilità della comprensione dell’universo sono amplificate. Il tempo oggi non è più quello scandito dall’orologio meccanico: è molteplice, o dilatato, o istantaneo, o congelato, o accelerato. Si rivela in ogni possibile dimensione e significato. L’esercizio di astrazione (poetica) sul concetto di tempo porta quindi l’uomo a un avvicinamento alla natura e al cosmo. Il lavoro di Felix Kiessling ha origine dall’atavico esercizio umano di capire le dimensioni del tempo e dello spazio, il modo in cui li attraversiamo, e la questione della misurabilità stessa. Tuttavia, Kiessling non cerca di rappresentare il tempo, come farebbe un artista, né insegue una misurazione esatta, come farebbe uno scienziato. È invece deciso a catturare il tempo. Il suo strumento non è un orologio e non misura una durata (Zeitzeichnung n.26, 2019): si pone così fuori dal dibattito su scala umana. Questo dispositivo accoglie l’inesattezza e l’imprevedibilità, invitandoci ad accettare che le cose sfuggono al nostro controllo. La kinesis della time-based art trasforma il tempo anche in un’esperienza tangibile.
Le installazioni di Pe Lang restituiscono un tempo numericamente quantificato: un sistema di motori crea una coreografia di pattern in continuo cambiamento (random | nº 1, 2019). Il controllo esatto delle forze meccaniche dà vita a un’orchestrazione di ordine e caos, imprevedibilità e serialità. Il moto viene esplorato anche come motore. In modular | nº 3 (2019, in collaborazione con Marianthi Papalexandri-Alexandri) il suono degli speakers è provocato dal movimento delle loro membrane, che però non è indotto elettricamente, bensì meccanicamente. Non è un suono dagli speakers: è il suono degli speakers.
Il tempo dunque è uno stato di movimento, ed è l’unica cosa davvero stabile, perché è cambiamento. Le time-based arts emergono tra gli strumenti culturali più efficaci per sondare ed esprimere questa verità. Queste opere sono un invito ad approcciarsi al tempo da angolazioni differenti: valutarlo come evoluzione, quantificazione e progresso ma, anche, come mistero e caos. (Lucia Longhi)
The Only Stable Thing
a cura di Lucia Longhi
con il supporto di I Gioielli Nascosti di Venezia; Fondazione Venezia Servizi
in collaborazione con GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana; Galerie Mazzoli Modena-Berlin-Düsseldorf; UNTTLD Contemporary Vienna; La Galleria di Dorothea Van Der Koelen Venezia-Mainz
Palazzo Contarini del Bovolo
San Marco 4303, Venezia
15 settembre – 3 novembre 2019
Inaugurazione sabato 14 settembre 19.30
Orario tutti i giorni: 10.00 – 18.00
Info: art@fondazioneveneziaservizi.it