BOLOGNA | GALLERIA STUDIO G7 | FINO AL 6 MARZO 2021
intervista a DANIELA COMANI di Leonardo Regano
The Beginning The End, L’Inizio La Fine. È questo il titolo del nuovo progetto che Daniela Comani presenta alla galleria Studio G7 e che ha impegnato l’artista tra il 2014 e il 2020 nello studio e nella ricerca meticolosa di un confronto con la memoria e la percezione, personale e collettiva, nel rapporto con la letteratura. L’incipit e l’explicit di 212 romanzi, scelti tra grandi classici secondo una selezione personale, sono accostati da Comani in successione per dare vita a due nuove narrazioni quali L’Inizio e La Fine.
L’artista utilizza 424 citazioni in un testo unico nell’oggetto e doppio nella forma, dal ritmo narrativo composito e sincopato, seguendo la regola autoimposta della relazione speculare per la quale ad ogni inizio corrisponde, nella parte dedicata, la sua fine.
L’Inizio, come una vera e propria nuova novella, si fa specchio della costruzione mentale di Comani che alterna con sagacia e ironia – a tratti amara e pungente – ricordi, sensazioni, paesaggi, la formazione della propria identità, il rapporto con la famiglia, l’amore, la vita e la morte.
Ne La Fine il racconto si focalizza, in un flusso caotico, su tematiche più universali e generaliste.
“Come risaputo, la pratica di Comani si fonda sull’appropriazione e sulla manipolazione, che si potrebbe definire come una maniacale catalogazione analogica personalizzata”. Sono le parole di Veronica Santi che contribuisce, assieme a Matteo Bergamini, a questo progetto con un testo che scava nel profondo delle intenzioni dell’artista.
“La perfezione e la simmetria, formale e concettuale, che emerge in The Beginning The End (senza la “e” di congiunzione stavolta) sottostà all’idea di progetto e scelta dell’artista, e quindi a un disegno ben definito che si esplicita visivamente nell’altra formalizzazione del lavoro che si trova in mostra: un dittico in cui ogni quadro riporta uno dei due racconti”. Bergamini, con una riflessione altrettanto acuta e sensibile, sottolinea come sia “una questione geometrica – l’artista afferma di aver pensato al progetto simmetricamente – che ha a che fare con la circolarità del linguaggio: non è un caso che il volume che raccoglie le 424 strofe che compongono L’Inizio La Fine possa essere capovolto per una lettura al contrario che è sempre il diritto e il rovescio dell’altro lato: una porta aperta/chiusa – chiusa/aperta come quella di Marcel Duchamp in rue Larrey a Parigi.”
La mostra, in corso fino al prossimo 6 marzo, è stata l’occasione per un confronto diretto con l’artista, che ce ne spiega direttamente la genesi.
Puoi raccontarmi come hai costruito questo progetto?
The Beginning The End si compone di tre elementi: una grande installazione a parete, un dittico e un piccolo volume, che è il cuore di questo progetto; infatti, la mia prima idea era quella di realizzare un libro, poi ho pensato anche al dittico come immagine-testo. Successivamente ho realizzato la grande installazione a parete, visualizzando le 424 schede, come proiezione del mio tavolo da lavoro (che è davvero azzurro) nello studio di Berlino, rendendo così visibile sia il processo di ricerca sia quello creativo di composizione della sequenza di citazioni per il “nuovo” racconto The Beginning. Su questo grande piano ho disposto le 424 citazioni stampate su schede di cartoncino, di quei formati classici, A6, che si utilizzano ancora oggi negli archivi tedeschi.
Ed è questo quindi il senso dell’analogico rimarcato anche da Veronica Santi nel suo testo?
Esattamente. Sono molto propensa all’utilizzo della tecnologia digitale, come del resto si può notare da altre mie opere precedenti, ma un semplice “copia e incolla” non poteva essere funzionale in questa prima fase di lavoro di “collage”, anche per la quantità di materiale da leggere e visionare: 424 citazioni che corrispondono a 424 schede che come tasselli di un puzzle spostavo sul tavolo per cercare la sequenza “giusta” e procedere alla sua costruzione. Questo processo di lavoro “analogico” rimarca il senso del catalogo, dell’archivio, temi centrali nel mio immaginario di ricerca.
E a proposito di questo numero, 424, ha una valenza particolare?
No, è venuto nel corso del tempo mentre ricercavo i romanzi da cui trarre le citazioni. Ho però scelto di fermarmi a un numero di testi che fosse speculare, 212, questo si può senz’altro dire, e il cui doppio avesse la medesima caratteristica. Il progetto stesso si fonda su una costruzione simmetrica, un continuo confronto tra due citazioni corrispondenti, inizio e fine. Il libro ha due lati, il numero dei libri è 212 e il numero delle schede 424, tutti elementi di una precisa struttura simmetrica quasi ossessiva; qui mi tornano in mente le parole di Jorge Louis Borges, quando in una delle sue Finzioni, nel racconto “La morte e la bussola”, scrive: “Vista da vicino la villa abbondava di simmetrie maniache e di inutili ripetizioni: a una Diana glaciale in una nicchia malinconica corrispondeva, in una seconda nicchia, un’altra Diana; un balcone si apriva di contro a un altro balcone; doppie scalinate correvano tra balaustre doppie. Un Ermete a due facce proiettava un’ombra mostruosa”.
Uno dei tuoi lavori più ‘iconici’ – concedimi il termine – Sono stata io. Diario 1900-1999 si confronta anch’esso con la scrittura e con la pratica della citazione (in quel caso non di frasi ma di eventi storici). Esiste una relazione tra questi due lavori e cosa ha significato per te tornare a relazionarti con il testo scritto?
Sì, una connessione tra i due lavori esiste ed è rappresentata proprio dall’atto di scrivere come processo artistico (anche se in Sono stata io non si tratta di citazioni, ma di fatti storici riassunti da me). Sono stata io si sviluppa per 3 metri di altezza e 6 di lunghezza per cui risulta “scomodo” o quasi impossibile riuscire a leggere il testo nella sua interezza, come poi il diario stesso che questa misura racchiude: 100 anni di storia. La trascrizione in prima persona di questi fatti storici diventa un grande atto di appropriazione, come poi rivela il titolo stesso: “Sono stata io”. In The Beginning The End lo scorrere della narrazione lo si può cogliere immediatamente. La scrittura è per me una forma di appropriazione per mezzo della quale mi inserisco in prima persona nel racconto altrui. Questo è esplicito nell’“Io” narrante che lega tutti gli eventi riportati in Sono stata io o nel cambio di genere dei protagonisti dei 212 romanzi di The Beginning The End, quasi tutti riscritti al femminile.
Anche il rapporto con la letteratura è un elemento che ritorna nel tuo lavoro, mi viene subito in mente la serie delle Novità editoriali a cura di Daniela Comani presentata durante Artissima online e oggi allestita negli spazi della GAM di Torino fino al 12 febbraio; come si colloca all’interno della tua ricerca? Nello scegliere i romanzi per questo nuovo progetto è nata una corrispondenza con questo precedente lavoro?
Sì, il riferimento alla letteratura è un tema presente e ricorrente nella mia ricerca. Ed è quasi sempre in parallelo all’indagine sulle questioni di genere. Tra le Novità Editoriali e The Beginning The End ci sono tanti punti di sovrapposizione e di incontro. Le copertine dei romanzi della serie e della pubblicazione Novità Editoriali hanno una loro valenza anche come immagini della memoria collettiva ed è per questo che spesso risulta difficile al primo colpo d’occhio accorgersi della manipolazione del titolo. Ci si sofferma un attimo e poi solo successivamente si coglie il mio intervento. Mi piace l’idea di come, con il solo cambio di genere dei protagonisti dei romanzi, si creino nella mente di chi osserva nuove possibilità di lettura, nuove storie. Chi è, per esempio, questo Monsieur Bovary? Qual è la sua storia?… E quella delle Sorelle Karamazov? Uno straniamento che ho utilizzato anche nell’installazione e nel progetto editoriale, My film History dove protagoniste non sono solo le foto delle locandine di 100 film famosi ma anche le sinossi degli stessi, che per l’occasione ho riscritto e reinterpretato ipotizzando una nuova storia sulla base del cambiamento del genere sessuale del titolo: dai classici del cinema italiano come Rocco e le sue sorelle fino al blockbuster hollywoodiano Iron Woman, che come dice lo stesso poster (manipolato) Superheroines are not born, they are made.
Daniela Comani. The Begging The End / L’Inizio La Fine.
con testi di Veronica Santi e Matteo Bergamini
Fino al 6 marzo 2021
Galleria Studio G7
via Val d’Aposa, 4/A Bologna
Info: info@galleriastudiog7.it
www.galleriastudiog7.it