POLIGNANO A MARE (BA) | Exchiesetta | Fino all’8 agosto 2021
Intervista ad ANTONIO MARCHETTI LAMERA e ROBERTO LACARBONARA di Cristina Principale
Accesa 24 ore su 24 fino all’8 agosto la video installazione dell’artista bergamasco Antonio Marchetti Lamera si colloca sulla soglia dello spazio espositivo, coniugando la sua riflessione estetico filosofica sul tempo al movimento incessante del mare di sfondo.
Teatro d’ombra è la prima mostra 2021 all’Exchiesetta di Polignano a Mare, spazio galleria caratterizzato e simbolico – nel 1968 titolato alla memoria dell’allora scomparso Pino Pascali – che ogni anno, regolarmente da quasi dieci, ospita artisti capaci di intrattenere con architettura e contesto un proficuo dialogo. Quello generatosi con Antonio Marchetti Lamera (Torre Pallavicina, Bergamo, 1964) risulta poetico e attuale, viste anche le contingenze per cui riconsiderare le esposizioni in luoghi interni, le distanze e il proprio “ritmo museale”, approdando alla scelta di creare una membrana, uno schermo su cui far fluttuare le forme, che sigilla e allo stesso modo apre l’edificio all’incontro con l’esterno, giorno e notte.
In accordo d’intenti con il curatore Roberto Lacarbonara, lo spazio è stato “trasformato in una antica lanterna magica, un teatro delle ombre o una macchina dell’immaginazione” che restituisce in video la ricerca sintetica, pittorica e segnica, dell’artista.
L’opera Teatro d’ombra consta di un video loop che trova riferimenti nella cinematografia in b/n. Qual è il processo che porta a queste immagini proiettate?
È chiaro il riferimento e il mio l’amore per il cinema in bianco e nero fin dalle origini. Rispetto a tutti gli artisti che hanno esposto finora, ho pensato a un lavoro che dall’interno venisse irradiato verso l’esterno. Teatro d’ombra, paradossalmente, nasce come lavoro notturno, che viene però realizzato durante il giorno, una sorta di versione cinematografica della “Caverna di Platone” al contrario, dove l’operatore proietta dall’interno verso l’esterno e il pubblico viene incatenato frontalmente davanti a quello che definirei un disegno mobile di ombre in continuo divenire. Le stesse si scompongono, interagiscono tra loro, diventando trama di un racconto, un’animazione, con fotogrammi di una realtà che muta ogni istante il proprio aspetto, un mondo che si pone tra il visibile e il dissimulato.
È una riflessione sulla mutevolezza inarrestabile dell’ambiente attraverso il variare delle ombre, che cambiano impercettibilmente ma inesorabilmente ogni istante che passa: segno ineluttabile dello scorrere del tempo.
L’installazione si costruisce appunto sulle ombre di Polignano, che hai colto fermandole in fotografia e riscrivendole col disegno, nei giorni di residenza sul territorio. La fenomenologia della luce, e quindi dell’ombra, che contraddistingue il tuo lavoro pluriennale ha trovato qui una determinazione diversa che altrove?
Ho passato una settimana a fotografare centinaia di ombre del posto, per poi selezionarle e trasformarle in disegni. Il tutto è stato condensato in un video di tre minuti, dove fotografia e disegno si assemblano fino a confondersi, creazioni di un attimo destinate rapidamente a svanire.
Le immagini ottenute e poi fissate dalla ricerca fotografica possono essere facilmente assimilate ai disegni, in virtù della gradazione cromatica del bianco e nero. Il disegno come la fotografia, delinea la realtà, la definisce nei suoi contorni. Io uso esclusivamente matite grasse che si avvicinano molto di più alle evanescenze e alla dissoluzione tipiche del colore; l’idea di un disegno sospeso e avvolgente che non delinei le forme, ma le faccia galleggiare, fino a una polverizzazione della realtà che si estende anche agli aspetti più visibili.
Amo la luce del Sud: netta, vivida, accecante, sicuramente terreno fertile per il mio lavoro. Parafrasando Goethe: dove la luce è più forte, l’ombra è più nera.
Un aspetto coinvolgente dei tuoi esiti estetici è che l’ombra si rende autosufficiente, staccata dall’oggetto portante, e dal luogo della sua “cattura”, oggetto a se stante e autonoma anche in termini temporali, frammento e contemporanea narrazione del tempo implacabile…
Le ombre fanno di tutto per segnalarci la loro presenza, ma spesso non le cogliamo, perché la nostra percezione è concentrata solo sulle realtà tangibili. Le ombre fanno parte del mondo fisico pur non essendo materiali, e questo ai miei occhi le rende uniche. Con la loro inarrestabile mutevolezza scandiscono, più di ogni altra cosa al mondo, la transitorietà del tempo.
La fotografia che può catturare un’ombra, è essa stessa un’ombra portata dall’immagine che coglie.
Questa cattura è una sospensione: l’immobilità dell’immagine è completa, assoluta; ma ciò che capta e racconta è la mobilità stessa, è il carattere fuggitivo di ogni evento, depone con sé una sorta di movimento latente, inscrive il tempo alla maniera di un orologio fermo per sempre, eternizzando ogni istante.
L’ombra è letteralmente il fantasma vivente e vibrante di ogni oggetto e, in quanto tale, installa il campo di apparizione che sarà proprio quello fotografico: fotografare ombre è in qualche modo mostrare “Pencil of nature” al lavoro, così definiva la fotografia Talbot nel 1844.
Considerando la tua pratica prettamente grafico-pittorica: avevi realizzato prima d’ora interventi installativi?
Mi è capitato in questi ultimi anni di fare alcuni interventi installativi, ma vorrei soffermarmi su uno in particolare: Tempo sospeso, un video rigorosamente in bianco e nero di circa un minuto, presentato nel 2016 presso la galleria Gagliardi e Domke di Torino, in occasione di una mia personale. Nello stesso avevo condensato, sovrapponendoli, fotogrammi estrapolati da una ripresa filmica di un’ombra, catturata ininterrottamente dal suo apparire fino alla sua dissoluzione. Tentativi vani di cristallizzare il tempo, di fermare tutto ciò che è evanescente e momentaneo.
A proposito del tempo che accumula storia, chiedo al curatore Roberto Lacarbonara, che da circa un quinquennio si occupa delle mostre proposte dall’Exchiesetta di Polignano, di ripercorrere insieme i progetti realizzati. Ne nasce oltretutto una pubblicazione di riferimento, occasione per cogliere di filata opere e interpretazioni contestuali di questo gioiello adriatico in cui si incastonano mostre internazionali.
La rifunzionalizzazione come spazio per il contemporaneo è del 2012 e dal ‘14 sono stati ospitati, naturalmente Marchetti Lamera, Bianco Valente, Gianni Caravaggio, Vincenzo Marsiglia, Artan (Shalsi), Goldschmied & Chiari, Marco Strappato, Fabio Dartizio, Adeline De Monseignat, Driton Selmani, Mathew Mcwilliams, Giuseppe Teofilo, Rebecca Ward, Emanuel Röhss, Patrick Jacobs… dimentico qualcuno Roberto?
Sono trascorsi quasi 10 anni e per il decennale vogliamo tracciare la storia espositiva di Exchiesetta attraverso un catalogo che racconti le mostre e le opere prodotte. Oltre agli interventi citati voglio ricordare alcuni “progetti speciali”, prodotti anche fuori, come la scultura Eterno presente di Gianpietro Carlesso, realizzata nel corso di una residenza di tre mesi sulla balconata centrale di Polignano a Mare nel 2014. Abbiamo anche lavorato alla prima edizione del COAST Festival nel 2019 con un secondo intervento di Gianni Caravaggio e c’è stata una bella collaborazione con la Fondazione Pino Pascali in occasione della mostra di Lucia Veronesi nell’ambito del progetto Sta come Torre nel 2020. Per noi sono state importanti anche queste operazioni outdoor, auspichiamo di produrne ancora.
Antonio Marchetti Lamera. Teatro d’ombra
a cura di Roberto Lacarbonara
Fino all’8 agosto 2021
Mostra visibile 24/24 h
Exchiesetta
vico Santo Stefano, Polignano a Mare (BA)
Info: +39 333 2225445
www.exchiesetta.it