MILANO | Galleria Officine dell’Immagine | 5 aprile – 20 maggio 2018
Vita, la mostra personale di Tamara Ferioli, a cura di Fabio Carnaghi, presenta negli spazi della Galleria Officine dell’Immagine a Milano, fino al 20 maggio, gli esiti più recenti della ricerca dell’artista, classe 1982, che sperimenta nuovi approcci alla pratica del disegno.
Come scrive il curatore, Fabio Carnaghi nel testo critico pubblicato in catalogo «La più recente ricerca di Tamara Ferioli affiora da una lunga immersione nella natura che diventa soggetto totalizzante ed esclusivo». Sempre dal testo critico “Nuove geografie emozionali”: «La natura onnisciente si rigenera e sopravvive a se stessa. I processi biologici si elaborano in strutture architettonicamente ineffabili. La forma della vita è silente e imperscrutabile. Dell’umano non resta nulla se non lo sguardo che conserva impresse suggestioni dell’immaginario. La più recente ricerca di Tamara Ferioli affiora da una lunga immersione nella natura che diventa soggetto totalizzante ed esclusivo. Il titolo della mostra, Vita, deriva dall’omofonia e dall’omografia del verbo islandese – che significa sapere – e del termine italiano. La sovrapposizione linguistica coglie il dialogo tra due ambiti strettamente connessi nella poietica di Ferioli che si esprime, in questo recente corpus di opere, nella concezione panica di palinsesti naturali, costruiti per sintassi combacianti, insite nelle strutture zoomorfe e fitomorfe.
Questa accezione epistemica, nell’individuare il mondo naturale come deposito di arcane ed innate leggi di conservazione e trasmissione, assume un valore centrale nel riferirsi ad una natura sapiens che riproduce e reitera ataviche orografie generate da sostrati o cristallizzazioni di impeti magmatici. Il tempo ciclico e cosmico è costruzione e abbandono, è soffio e raffica, è stasi e flusso, è composizione e decomposizione. Sul recente immaginario di Ferioli incombe questa variabile che può dar esito all’analogia così come all’anomalia, cioè rispettivamente tratteggiare cumuli di animali marini o eruzioni vegetali.
Il repertorio semantico è così legato ad una prospettiva temporale manifestata in un persistente dualismo iconografico che spazia da conformazioni di eteree costellazioni a tumuli ctoni in chiaro riferimento a nebulose di aerea vitalità e ad evocazioni di morte. In questo senso risulta emblematico Self Sufficiency, una piscina assediata da ramificazioni e infiorescenze germinanti, in cui si esplica tale dicotomia semantica. La piscina di acque sorgive islandesi è salubre rimedio nel vagheggiare una mitica fonte della giovinezza, ma al tempo stesso è perimetro del vuoto più insidioso, carattere ribadito dal toponimo islandese Grafarlaug2 (piscina-tomba), a cui il disegno è ispirato.
Tutto avviene nella solitudine e nel silenzio dell’umano, in una dimensione fisiologica quasi presocratica, per cui ogni principio risiede in natura. Le tracce umane sono secondarismi, risulte, individuate da relitti infrastrutturali riconquistati dalla proliferazione naturale. Entra in gioco un habitat fatto di mimetismo, sopravvivenza e rigenerazione, in cui ogni gerarchia tassonomica è annullata: animale, vegetale, minerale sono classificazioni superflue e ridiscusse in relazioni e interazioni sovversive di ogni plausibile conforto scientifico. Il bianco sospende colonne basaltiche, germinazioni vegetali, fiori, pesci e crostacei nella reminiscenza costante di visioni islandesi, atlantiche e vulcaniche.
In questo universo tellurico, il cambiamento e la trasfigurazione hanno i contorni irregolari di un dinamismo inquieto sia da un punto di vista contenutistico che formale.
Tamara Ferioli sperimenta nuovi approcci alla sua peculiare prassi artistica. Le opere, che si avvalgono del disegno con l’utilizzo di matite, capelli e carta applicata, scoprono, quasi in una pratica di automatismo, una via ulteriore, effimera ma vibratile. Il tratto si associa alla sovrapposizione di livelli che creano varchi percettivi nel richiamare una nuova prospettiva metafisica. Il segno si fa medium costruttivo di palinsesti e utilizza moduli figurativi che dall’infittirsi e dal diradarsi acquisiscono una leggibilità cangiante e volutamente ambigua. The guardians of the preciuous things è un lavoro esemplare sul tema di tali assemblaggi spazio-visivi che dissimulano la loro natura: all’apparenza l’universale lo riconosce come un ammasso indistinto di origine minerale, quasi una pietraia, il particolare invece lo svela come roccaille di granchi.
A questo proposito risulta interessante il carattere miniaturistico della tecnica di giustapposizione di livelli cartacei, che nel tratto e nel supporto sembra quasi rimandare al disegno scientifico di natura che arricchì la Collection des Vélins (La Collezione dei Velini è una raccolta di 7000 guache e acquarelli botanici e zoologici, opera di artisti naturalisti per conto dei Re di Francia).
Metaforicamente il lavoro di Ferioli si attesta sul medesimo intento di ricognizione, di curiosità per un onirico site-seeing che lascia intendere il forte legame con i luoghi islandesi da tempo dichiarato. La serie di disegni presentati per Vita si vela di un’atmosfera geografica che si traduce in topografia emozionale. È come se Ferioli avesse segnato traiettorie simboliche su una visionaria Carte de Tendre (si tratta della Carte du Pays de Tendre – Mappa del paese della Tenerezza, pubblicata nel 1654 a compendio del romanzo Clélie di Madeleine de Scudéry, ideatrice di questa mappa immaginaria), al punto da compiere una vera e propria perlustrazione cognitiva che indaga un territorio sensibile. È a questo punto che un itinerario in folio dà adito ad una pratica di mappatura che attinge all’immaginario, vera terra incognita. Ne deriva una cartografia che si imbeve di un archivio di immagini emozionali fino a creare un atlante la cui cifra è rappresentata dall’emozione (dal latino emovere), spinta attrattiva verso il movimento e dunque pretesto del viaggio. Ed ecco un carnet topofilico che traspone i titoli delle opere in immaginifici toponimi: da Shelter Island si raggiunge Hollow dove la cavità di una conchiglia diventa dimora di germogli, si passa per il mefitico Hot Blood e si avvista Anything Peak per poi convergere al cospetto di Volcano’s Lullaby.
Cosmic surgery ha un ruolo significativo in questo percorso, in quanto materializza direttrici geopsichiche tra gli apici di una cattedrale di colonne basaltiche. È possibile identificare un concetto migratorio tra un lavoro e l’altro che compila una mappa mnemonica ed emotiva, a cui la presenza dei capelli dell’artista sancisce una partecipazione fisica, sensuosa e dunque emozionale.
Infine, compendio di tutto il progetto, The wide sea comes each morning è un’installazione ambientale composta da sculture realizzate con ossa di pesce selvatico pescato nel Nord Atlantico. Ferioli interviene sul materiale di origine animale, scarto di lavorazione della pesca, conferendogli forma vegetale. I fiori, che si generano quasi spontaneamente, rispettano nel processo scultoreo la struttura ad incastro esatto che la materia organica offre, sfruttando cavità e protrusioni anatomiche. L’esito delle sculture ribadisce la profonda e metafisica sapienza naturale, che l’artista indaga con un lavoro paziente e meticoloso. Ogni fiore è dunque un fossile che cristallizza in forme plastiche le geometrie seriali e i principi matematici sottesi ai sistemi biologici».
TAMARA FERIOLI. VITA
a cura di Fabio Carnaghi
Catalogo: Vanillaedizioni
5 aprile – 20 maggio 2018
Officine dell’Immagine
Via Carlo Vittadini 11, 20136 Milano
Ingresso libero
Orari: martedì – sabato: 11 – 19; lunedì e festivi su appuntamento
Catalogo: Vanillaedizioni
Info:
+39 02 91638758
info@officinedellimmagine.it
www.officinedellimmagine.it