EDITORIA | Johan & Levi Editore
Il libro Superfici. A proposito di estetica, materialità e media di Giuliana Bruno ed edito in Italia da Johan & Levi a fine 2016 si interroga sul ruolo della superficie all’interno di una cultura sempre più dominata dal virtuale e dai media. L’immagine – sia essa un dipinto, un video o un film – non è mai astratta, ma è profondamente legata a una dimensione materiale la quale, a sua volta, ha sempre una relazione con l’estetica, la tecnologia e la temporalità. Ne ho discusso con l’autrice…
Il libro si pone come una mappatura delle superfici che definisci come un elemento di separazione e connessione tra spazi corporei. Importante in questo senso è il concetto di aptico. Che cosa significa?
Già nell’Atlante delle emozioni mi ero occupata del passaggio dall’ottico all’aptico, ovvero da un registro puramente visuale a uno che pensa le immagini come qualcosa di tattile. L’aptico va al di là del senso del tatto, anche se lo contiene: secondo la sua radice greca significa “venire a contatto” e presuppone che nel contatto ci sia una relazione di interattività. Nel mio ultimo libro sostengo che sia preferibile parlare non di immagini, ma di superfici, ovvero di una materia che collega tra di loro diverse forme di rappresentazione, a cominciare dal nostro corpo e dagli abiti. Anche i quadri sono sempre stati considerati unicamente delle immagini, ma hanno la consistenza della loro trama, la materialità della tela e dei colori. E poi anche gli schermi, onnipresenti nelle nostre vite, hanno una loro fisicità.
La moltiplicazione degli schermi riguarda anche il cinema: è dislocato, non ha più come suo unico luogo di fruizione la sala cinematografica…
La dislocazione non riguarda solo il rimpicciolimento o l’ingrandimento del testo filmico su schermi altri rispetto a quello della sala cinematografica. È un discorso ben più ampio che ha a che vedere con lo schermo come luogo di formazione del sociale, in quanto il nostro rapporto tra pubblico e privato passa attraverso gli schermi. Tuttavia, non è soltanto nei messaggi che ci mandiamo attraverso gli schermi che costruiamo la relazione tra privato e pubblico, ma è l’oggetto architettonico in quanto tale che porta in sé, nella sua valenza semiotica, il ruolo che ha avuto nei secoli di divisorio tra interno e esterno, tra spazio privato e pubblico. In origine, infatti, era una sorta di paravento che si metteva sulle finestre o all’interno della casa con la funzione di creare delle zone di privacy.
Già in l’Atlante delle emozioni poni l’accento su quanto l’architettura stessa di una sala cinematografica influenzi e determini la fruizione di un film, che non esiste in astratto ma dipende dalla sua materialità. Qual è l’importanza dello spettatore e della sua corporeità?
Mi sono chiesta che tipo di relazione e di influenza l’architettura stessa della sala cinematografica potesse avere sullo spettatore. Mi sono immaginata a New York nel 1929 a vedere lo stesso film in due cinema diversi: in quello modernista, quasi minimale, costruito da Frederick Kiesler e nella sala atmosferica da 3.000 posti progettata da John Eberson, che era una riproduzione di un giardino all’italiana. Nel secondo caso, per via della sproporzione tra le dimensioni della platea e dello schermo, il testo filmico era solo la minima parte di un’esperienza sensoriale più ampia e articolata, che comprendeva anche i corpi vicini degli altri spettatori, quella che in un altro libro ho chiamato pubblica intimità.
In Superfici ho voluto rafforzare ancora di più questo discorso, legandomi a teorici della cultura che si sono occupati di questo fenomeno, tra cui Kracauer, che nel suo testo dedicato ai grandi palazzi del cinema degli anni ’20 parla di culto della distrazione. Intendo per distrazione il fatto che lo spettatore del cinema non contempli un’immagine singola o fissa, ma che sia sottoposto a vari stimoli provenienti sia dallo schermo in sé sia dalla sala. A questo punto ho considerato che quel tipo di spettatore è immerso in uno spazio di superfici: le pareti e lo schermo bianco.
In Superfici estendi il discorso anche all’arte contemporanea…
Oggi nei musei lo schermo è una vera e propria architettura di luce che entra in relazione con lo spazio corporeo in maniera più mobile e trasversale di quanto accada nella sala cinematografica. La mobilità dello spettatore è parte integrante della costruzione stessa dell’ambiente di schermi. Tuttavia ho sempre parlato di movimento anche rispetto allo spettatore cinematografico nonostante sembrava che non si muovesse. Come diceva Ėjzenštejn, il movimento immaginario dello spettatore è reale tanto quanto quello fisico.
Affermi: “come forma di spettatorialità, la sala cinematografica è profondamente legata alla cultura dell’esposizione e dell’arte della proiezione della prima modernità”. Qual è il legame tra il cinema e la cultura museografica?
Risale all’origine stessa del cinema e del museo come luoghi di collezione di immagini: sia il cinema sia il museo sono delle forme di archivio. Ora addirittura convergono nel creare storia e memoria culturale. L’esempio più eclatante che ho fatto in Superfici è The Clock di Christian Marclay, che è una sorta di storia del cinema condensata: è un’opera di 24 ore che circola soltanto nei musei ed è una collezione di migliaia di sequenze di film legati alla temporalità.
In che relazione sono il pre-cinema e cinema delle origini con il post-cinema?
Per me vi è una forte continuità. Non è una forma nostalgica, semmai di reinvenzione e di potenzialità di una storia non espressa. Oggi nelle sale dei musei si reinventano in forma digitale tipologie di schermo e di movimento particolarmente diffuse nell’Ottocento, che presupponevano una maggiore mobilità degli spettatori e forme di immersione, come per esempio gli schermi panoramici e “fantasmagorici”. Ad un certo punto è successo che lo schermo sia diventato rettangolare e che lo spettatore si sia seduto a una certa distanza, ma questa è solo una fase della storia del cinema.
Titolo: Superfici. A proposito di estetica, materialità e media
Autore: Giuliana Bruno
Editore: Johan & Levi
Anno: novembre 2016
Pagine: 320
Prezzo: 38,00 €
Info: www.johanandlevi.com