Barna, Anastasio e Diliberto rispettivamente dal sud, dall’est e dall’ovest di una terra splendida, la Sicilia. Tre artisti, tre punti cardinali – tre sono i vertici del triangolo che in geografia “forma” la Sicilia – mappano le peculiarità del tessuto culturale dell’isola. Appartenenti a quella generazione definita “di mezzo” – come sottolinea Marco Meneguzzo nel testo critico di cui qui riportiamo un estratto – gli artisti presentano in questa occasione lavori dell’ultima produzione assieme ad una selezione di lavori appartenenti a periodi precedenti…
Una serie di mostre siciliane – di cui anche questa fa parte – indaga sull’essenza della sicilianità. Per fare questo, è necessario aver appurato – o dare per scontata – l’esistenza della sicilianità…anzi, si potrebbe dire che le due categorie, essenza ed esistenza, quasi si sovrappongono, nel senso che la dimostrazione dell’esistenza di questo modello di vita e di cultura non può attuarsi che individuandone l’essenza, l’intima natura. Questi tre artisti – Gianfranco Anastasio, Cosimo Barna, Emanuele Diliberto – e la loro opera costituiscono un ulteriore tassello di questa indagine, che solo dal confronto tra interpreti di questo presunto modello può proseguire. In altre parole, se guardassimo all’opera di ciascuno di loro, individualmente, singolarmente, certamente faremmo fatica a vederne l’eventuale sicilianità, e probabilmente non la cercheremmo neppure; invece, già un gruppo di tre artisti può costituire un campione, e questa strana categoria, di cui cogliamo la possibilità ma che risulta spesso inafferrabile, riaffiora inevitabilmente al pensiero, tanto forte è – o appare – l’imprimitura dell’isola. Tra l’altro, nella geografia culturale d’appartenenza, questi artisti costruiscono un ideale triangolo che coincide con la forma dell’isola: Anastasio, messinese, l’Est, Barna, sciacchitano, il Sud, Diliberto, palermitano, l’Ovest.
Eppure, a considerare le loro vicende personali, la loro storia artistica, persino il loro carattere, ogni tentativo di ricondurli a una matrice esistenziale, culturale e sociale comune sembra destinato al fallimento. Anastasio ha deciso, per esempio, di agire dall’isola; Barna e Diliberto al contrario hanno preferito uscirne, maturare le loro esperienze altrove – negli USA Diliberto, a Milano Barna -; le scelte artistiche, se si eccettua una certa tendenza verso un’astrazione libera di ritrovare i propri “ricordi” figurativi – attitudine più accentuata in Diliberto e soprattutto in Barna, quasi assente in Anastasio -, sono assolutamente distinte e autonome; infine, l’atteggiamento stesso degli artisti nei confronti della questione della sicilianità appare decisamente differenziato: Anastasio ritiene sé e il proprio lavoro collocati su di un piano razionale e intellettuale completamente diverso rispetto alla questione; Barna ideologicamente ha deciso di “tornare” e ritrovare le proprie radici; Diliberto affronta la cosa – che pure ritiene esistere – con l’indifferente disinvoltura di chi si sente cittadino del mondo, come i vecchi signori palermitani d’inizio secolo scorso.
Emanuele Diliberto: “Palermo d’Africa”, 2004, acrilico su tela, cm 140×300
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Non è un caso, ad esempio, che sia Diliberto che Barna “ritornino” , dopo aver sperimentato il mondo: entrambi hanno cercato il centro della realtà artistica, ed entrambi, più o meno nello stesso periodo, hanno deciso che il mondo si poteva raggiungere dalle proprie specificità locali, e che, anzi, forse il mondo sarebbe anche potuto andarli a cercare nei loro “luoghi”. Questo è un esempio minimo – ma visibile, personale, quasi fisico – del cambiamento di una società che si atomizza nel concetto di rete, di “web”, prima ancora che questa sia realmente sviluppata: gli artisti percepiscono i cambiamenti, e magari li precedono con le loro azioni. “Tornare” è il frutto del cambiamento epocale del concetto di “relazione”, quale si è sviluppato negli ultimi venti/venticinque anni, che Barna e Diliberto hanno sperimentato sulle proprie scelte, e che di fatto continuano a sperimentare: non solo sono tornati, ma “rimangono”. Altra cosa per Anastasio, che risponde al medesimo problema in una maniera apparentemente diversissima dagli altri due: non torna, non rimane, ma semplicemente “sta” in Sicilia, con una naturalezza e una serenità olimpiche, ma che sono frutto anch’esse di quella scelta “a monte” di cui si parlava, e che, una volta fatta, si crede di poter dimenticare. Il motivo per cui questo è avvenuto per lui è da ricercarsi in un fattore biografico e linguistico insieme: Anastasio infatti matura le sue scelte verso la fine degli anni Ottanta, quando appare già possibile lavorare eccentricamente, cioè lontani dal centro, e in più il suo ambito linguistico – che viene dalla grande tradizione di una specie di “International Style” dell’avanguardia astratta – gli consente teoricamente, storicamente e persino ideologicamente di agire ovunque, e quindi anche dalla Sicilia.
Tornare, rimanere, stare in Sicilia: tre verbi che illustrano quello che è stato per molti intellettuali e artisti siciliani il problema “a monte” della creazione artistica vera e propria. Qualcuno potrebbe aggiungere anche un quarto verbo, da premettere a tutti: “andare”. Tuttavia, questo termine appartiene a una fase storica antecedente, che non riguarda questa generazione di artisti, ma quella ancora precedente, mentre le nuove e nuovissime generazioni non si pongono il problema e probabilmente oggi, a ragione, non comprendono nemmeno come possa essere esistito, ed essere stato così importante per tanti. Ma fin quando saranno attivi gli intellettuali e gli artisti della generazione dei Diliberto, dei Barna e degli Anastasio non se ne potrà non tener conto.
Emanuele Diliberto saltella con leggerezza sopra il linguaggio della pittura. Forse perché il suo impegno etico e politico lo porta a sperimentare il linguaggio visivo della satira (è stato tra i fondatori del giornale satirico “Il Male” alla fine degli anni Settanta, e tuttora – come faceva Honoré Daumier – disegna una vignetta al giorno), cerca nella pittura una libertà dalla contingenza della cronaca anche attraverso la levità del segno: se, cioè, l’impegno sociale costringe alla grevità caricata delle vicende quotidiane, l’impegno per un rapporto più elevato e disinteressato col mondo – attuato con la pittura – va cercato attraverso una specie di antidoto linguistico alla pesantezza della politica spicciola. Così, nelle tele Diliberto mette in scena grandi narrazioni senza personaggi e senza storia, ma con la struttura visiva della narrazione: grandi strisce orizzontali che oltre ad essere viste, possono anche essere “lette”, facendo scorrere lo sguardo da sinistra a destra, e poi dall’alto in basso. Solo che ciò che si legge è uguale a ciò che si vede, perché Diliberto non comunica se non la gioia del gesto e del colore, anche quando sembra che dalle grandi onde cromatiche, dalle pennellate ampie affiori un frammento più definito di figura o addirittura di personaggio. In questo modo, allora, invita a seguire il dipanarsi di una storia che non è se non quella dell’artista che dipinge e di tutti gli artisti che dipingono e di cui lo sguardo dello spettatore deve essere complice, accettando di “cadere nel tranello” di cercare una storia e di vedere la pittura.
(Estratto del testo critico, pubblicato in catalogo, di Marco Meneguzzo. Tornare, rimanere, stare. Breve saggio sulla generazione di mezzo degli artisti siciliani attraverso tre casi esemplari)
La mostra in breve:
Sud, Est, Ovest. Barna, Anastasio e Diliberto
Mostra prodotta e organizzata dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese.
A cura di Marco Meneguzzo
interviste agli artisti in catalogo di Anita Tania Giuga
Galleria Credito Siciliano
Piazza Duomo 12, Acireale (CT)
Fino al 28 marzo 2010
Info:+39 095 600208 / 095 7113517
www.creval.it