PESCARA | Alviani ArtSpace | 11 novembre – 11 dicembre 2016
Interviste raccolte da Francesca Di Giorgio
Ve l’avevamo anticipato lo scorso settembre quando era ancora in corso la campagna di crowdfunding per traslare in una mostra le pagine di Stoner, il romanzo di John Williams diventato nel 2013 un bestseller in Italia, Inghilterra, Olanda, Francia, Spagna, Israele e Stati Uniti.
Ora che Stoner. Landing pages è una mostra, in corso fino all’11 dicembre, da Alviani ArtSpace a Pescara, abbiamo raccolto il punto di vista degli artisti coinvolti nel progetto: ognuno rappresenta un personaggio, ognuno frammenti di vita condensati in una visione. Unico assente Mauro Fiorese che “interpreta” Gordon Finch, l’amico di Stoner – dall’infanzia alla morte avvenuta a causa di un tumore – con cui l’artista ha un particolare legame auto-biografico… Perché come raccontano i curatori del progetto Cinzia Compalati e Andrea Zanetti: «Stoner non è solo un romanzo, è un piccolo grande compendio di filosofia. Racconta lo scorrere del tempo nel suo naturale evolversi: amore, passione, rinuncia, amicizia, vittoria, sconfitta… Agli artisti abbiamo chiesto semplicemente di leggere il libro e di immaginarsi nei panni del personaggio loro assegnato; abbiamo chiesto di pensare al personaggio anche in una proiezione esterna al romanzo stesso, a prefigurarne una vita autonoma e indipendente dalla penna di John Williams. Abbiamo cercato una narrazione corale che, nella valorizzazione delle singole poetiche artistiche, potesse riconsegnare le complessità del libro; una vera mostra “da sfogliare” per entrare – anche fisicamente – nelle pagine del romanzo…
Stoner è Everyman, un uomo assolutamente normale che conduce una vita altrettanto normale, di cui racconti la storia attraverso quattro fotografie. Quali sono questi quattro momenti e perché hai scelto proprio questi?
Stefano Lanzardo: Quando leggo tendo a visualizzare il racconto con dovizia di particolari e le immagini che ho visto leggendo Stoner sono state il punto di partenza del processo. Ho scelto quattro elementi che rappresentassero momenti o luoghi di particolare importanza per il professore. Ho raffigurato uno Stoner senza età e sempre indefinito nella figura, quasi un’ombra. La prima immagine racconta la strada che il giovane William percorreva per andare a scuola, primi passi di un percorso che lo avrebbe allontanato da quella terra. La seconda immagine parla di un luogo: i corridoi dell’università consumati dai suoi passi, dove la sua presenza veniva appena percepita. La figura è talmente lieve da pensare di non averla vista veramente. Anche la terza fotografia è incentrata su un luogo: lo studio casalingo, isola di serenità dove Stoner trascorre il tempo in compagnia dei suoi libri. L’ultima fotografia fissa l’istante della fine dell’amore con Katherine, la porta non aperta verso un futuro diverso.
Edith, la moglie di Stoner, è sicuramente il personaggio più negativo del romanzo, ma proprio per questo si apre a numerose letture e interpretazioni. Quale aspetto hai scelto di rappresentare di questa donna piena di fobie?
Eleonora Roaro: Edith incarna il ruolo del matrimonio in maniera tradizionale, quasi arcaica: passa dalla protezione da parte del padre a quella del marito, per poi occuparsi della casa e dei figli, secondo le norme della buona società. La nevrosi di Edith, a mio avviso, è lo specchio di un disagio che è sì individuale ma anche sociale: forse è solo una donna inadatta al matrimonio, ma non ha altre possibilità al di là di un’esistenza pre-codificata. Ecco quindi che esercita il suo potere in altro modo, in un subdolo gioco delle parti tra uomo e donna che porta all’accettazione di una situazione aberrante. Per la mostra ho voluto evidenziare proprio questo meccanismo di controllo che arriva a privare l’altro della sua identità. Due sono i lavori: un video in cui l’occhio di Edith diventa una sorta di videocamera di sorveglianza che tutto sa e tutto vede e una performance – durante il festival – in cui, con un gesto violento e nevrotico, mi approprio di ciò che appartiene maggiormente a Stoner, ovvero il suo scrittoio.
Nella mostra interpreti il padre di Stoner, di cui racconti la morte, in un lavoro che è sì strettamente legato al romanzo ma al contempo universale. Come nasce questa installazione e in che cosa consiste?
Giuliano Tomaino: Solo una bara. Mi ha colpito il tema della morte e del ricordo, nel libro di Jhon Williams. Stoner non riesce a confrontarsi neanche con loro. Tutti i suoi ricordi alla fin rimarranno chiusi nel silenzio e nel buio di una bara. Seppellirono il padre in un piccolo appezzamento di terra nei dintorni di Booneville e William tornò alla fattoria con lei. Cercò di ricordarlo ma il viso che aveva conosciuto in giuventù non gli tornò in mente.
«Non ho bisogno di scuse, non ho bisogno di porte. Quando sbadiglio sono mio padre, davanti allo specchio mio fratello. Il mio cuore è dentro una cassa vuota».
«Stoner è un libro del cazzo» penserebbe Lomax, l’antagonista di Stoner. Nel tuo progetto usi l’ASCII art, che è un modo diverso dalla letteratura di usare le parole. In che cosa consiste questa tecnica e com’è stata usata per quest’opera?
Zino: L’idea di creare forme con le parole ha una lunga tradizione ed ha sempre esercitato una certa fascinazione su di me: le poesie figurate di Mallarmè, i collage letterari futuristi e dadaisti, la poesia surrealista. Per questo motivo ho subito pensato di raffigurare un personaggio letterario, per sua stessa natura fatto di parole, fosse una splendida occasione per sperimentare l’evoluzione di questo linguaggio attraverso la ASCII art. L’intuizione è in verità molto semplice, raffigurare Lomax attraverso la frase che l’autore usa per fargli fare la sua apparizione all’interno del romanzo e contemporaneamente destrutturare l’immagine mostrando simultaneamente l’idea visiva che io mi sono fatto di Lomax e la descrizione epigrafica che Williams ha immaginato per lui.
Il fatto poi che all’interno del testo ci sia nascosto un messaggio “subliminale” è un gioco, un mettere in bocca a Lomax il pensiero che avrebbe avuto se fosse stato un personaggio reale. Se non ci credete leggete il libro.
Stoner vive un solo amore felice nella sua vita, ed è con Katherine, la sua amante. È una storia delicata e fatta di libertà che racconti in una video-animazione in cui, tuttavia, non c’è presenza umana. Perché questa scelta?
Roberta Montaruli: Non ho dato un volto a Katherine perché volevo che a parlare per lei fossero semplici oggetti quotidiani, cose apparentemente banali che spesso diamo per scontate.
Questa scelta è legata al tema che sviluppo nel mio intero progetto artistico. Ho utilizzato a lungo l’autoritratto, ma con il passare del tempo ho sentito l’esigenza di asciugarne la forma, fino a sostituire, in modo graduale e quasi inconscio, la mia casa a me stessa.
Da alcuni anni rappresento semplicemente la porzione di paesaggio urbano che scorgo dalle mie finestre.
Rappresento il mondo fuori per parlare del mio mondo interiore: mi piace chiamarli “ritratti ambientali”.
Ho quindi utilizzato il medesimo modus operandi per rappresentare Katherine, ossia ho disegnato e animato gli oggetti che le appartengono e ho dato loro la responsabilità di raccontare una storia, un’ossessione, un amore impossibile che comincia e finisce in modo silenzioso e delicato, ma che lascia un solco profondo.
Nel pezzo inedito per viola realizzato per la mostra (eseguito da Ignazio Alayza) dai voce agli “umori” del romanzo. Come hai scelto di rappresentare la tensione emotiva che attraversa tutto il libro?
Jacopo Simoncini: Stoner è un romanzo attraversato da una tensione continua, anche se latente. Non esplode mai, ma la si percepisce costantemente sotto la cappa della routine, della normalità quotidiana che contraddistingue la vita del protagonista. Allo stesso modo, il mio pezzo si compone di due strati sonori opposti, quello della invariabilità, caratterizzato da un andamento ciclico, e quello della tensione emotiva, con gesti sonori incisivi e violenti, in cui il timbro della viola, elaborato elettronicamente, perde i suoi connotati e diventa quasi irriconoscibile. Ma questi attimi di eccitazione, queste momentanee valvole di sfogo non attecchiscono al sostrato della ripetitività, non mutano il corso degli eventi. Svaniscono nel nulla lasciando che il brano si concluda nella stessa atmosfera fredda e distaccata con cui era iniziato.
STONER. Landing Pages
a cura di Cinzia Compalati e Andrea Zanetti
realizzato nell’ambito di #FLA Pescara Festival
da un’idea di YAB
in collaborazione con Alviani ArtSpace
11 novembre – 11 dicembre 2016
Alviani ArtSpace
Largo Gardone Riviera, Pescara
Artisti in mostra:
Mauro Fiorese – Finch
www.maurofiorese.com
www.libraincancer.it
Roberta Montaruli – Katherine www.robertamontaruli.it
Stefano Lanzardo – Stoner www.stefanolanzardo.com
Eleonora Roaro – Edith www.eleonoraroaro.com
Giuliano Tomaino – padre di Stoner www.giulianotomaino.it
Zino – Lomax www.zino.cloud
Installazione musicale di Jacopo Simoncini eseguita da Ignazio Alayza
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