a cura di Elena Dolcini
Intervista a VALENTINA PAGLIARANI
Ho lasciato Londra. Temporaneamente, è ovvio. Ma questo è un avverbio che vorrei omettere per varie ragioni; una per così dire filosofica perché, senza voler sembrare altisonanti o puerilmente intellettuali, converrete anche voi che nulla ci è dato di stabile se non il movimento stesso. Una ragione di saturazione mentale, perché verbi come lasciare e tornare hanno un che di perentorio capace di insinuare dubbi anche nella persona più sicura. Usarli innervosisce, sentirli dire dagli altri, ancora di più, sentirli pronunciare continuamente da tutti, diventa insopportabile. E infine per scaramanzia; i cambiamenti, anche se attutititi da vecchie frequentazioni, spaventano, comunque.
Sono tornata in Italia, a Forlì in Romagna, piccola città che è casa, amicizie, abitudini da riscoprire e, inaspettatamente, lavoro. Lavoro? Sì, e in campo artistico. D’altronde solo un prefisso di due lettere, comune, abusato e quindi ormai senza valore, separa l’im-possibile dal possibile.
Ergo Speaking of Art lascia Londra per approdare in Italia e anche la nostra rubrica si concentrerà quindi su un territorio da ri-scoprire, perché ormai estraneo dopo anni di assenza. Sono giorni in cui sensi e mente cercano di districarsi tra ciò che è familiare e ciò che è sconosciuto, tra marmite (che a essere sinceri non ho mai apprezzato) e cornetto caldo, tra birra e sangiovese, tra la bellezza conosciuta da tutti di una Tate Britain e la bellezza sconosciuta ai più di una collezione Verzocchi (che non solo si avvale di alcuni De Chirico, Carrà e Casorati, ma che è anche a due minuti di bicicletta dalla mia nuova/vecchia casa). L’Italia è un paese da scoprire di nuovo e da ri-collocare nella mia geografia arrugginita; devo darle un nuovo senso, tramite le certezze di un passato che va riscoperto e la sperimentazione di fenomeni, eventi e progetti che arricchiscono il nostro presente contemporaneo.
Probabilmente condizionata da queste considerazioni, su positivo e negativo, su ciò che c’è e ciò che è assente, su ciò che offre il presente e ciò che si è abbandonato nel passato, sono andata a intervistare Valentina Pagliarani, la direttrice artistica del [NON] MUSEO di Cesena. Si tratta di un centro di arte e cultura contemporanea dedicato ai bambini dai 3 anni in poi, situato all’interno dello storico centro culturale San Biagio, affianco al Centro Cinema San Biagio e alla sede del Teatro Valdoca. Il luogo e il suo limite, scoprirò poi, hanno un significato specifico per Valentina, che porta avanti quest’impresa, unica sul territorio, con altre tre collaboratrici, Fabiola Tinessa, Letizia Pollini e Leslie Silvani.
Il [NON]MUSEO è sia spazio espositivo sia laboratorio; ospita mostre durante tutto l’anno (al momento ne sono in corso 3) e offre laboratori per bambini con l’intento di avvicinarli all’arte contemporanea.
Come mai avete scelto di lavorare con questo binomio, bambini e arte contemporanea? Che cosa vi affascina e quale è il valore di questa sinergia?
I bambini e l’artista fanno lo stesso lavoro; interpretano ciò che vedono piuttosto che catalogarlo all’interno di qualcosa di già dato e definito e, nel fare ciò, si distaccano dal meramente razionale. Non hanno sovrastrutture ed entrambi sanno dialogare. Nello specifico poi, il bambino è più vicino all’arte contemporanea rispetto all’immaginario visivo di altri momenti storici, e questo perché ne è parte. L’arte contemporanea è il suo presente.
Il [NON] MUSEO è una struttura giovane, la cui inaugurazione risale a pochi mesi fa, ma ha già un carattere ben preciso e chiare linee programmatiche. Il tutto fa intuire un sapere pensare in prospettiva da parte di voi ragazze; avete saputo progettare un luogo polifunzionale, ma con al proprio centro il costante interesse per l’apprendimento e lo sviluppo del bambino. Come è nato il [NON]MUSEO?
É nato dall’associazione Katrièm, fondata nel 2009 che a sua volta ha dato origine al progetto Borgo Indaco, una scuola con laboratori di arte contemporanea, e da un festival di cultura per bambini dal nome BIM! che curiamo da tempo e che è stato ospitato da varie strutture qui a Cesena, tra cui la Biblioteca Malatestiana. Io e le altre ragazze lavoravamo già insieme; in realtà veniamo da formazioni differenti, la danza contemporanea, la pedagogia, la psicologia e la filosofia, contesti che cerchiamo di far coesistere nel raggiungere l’obiettivo comune di avvicinare i bambini all’arte. Nel fare ciò abbiamo alcune convinzioni ben precise, delle linee programmatiche, come ad esempio, la necessità della ricerca (immagine del seme), l’abolizione del metodo frontale (il toccare l’oggetto d’arte), la partecipazione collettiva alla realizzazione di un progetto/laboratorio (il fare insieme), e ovviamente altro che spero emerga nel corso di questa chiacchierata.
Anche la pratica collaborativa sembra stare alla base del [NON]MUSEO; dalla collaborazione interna tra voi ragazze provenienti da settori culturali differenti, all’associazione, al rapporto con i bambini fino a quello con gli artisti che contribuiscono alle varie attività del [NON]MUSEO. Al momento ci sono tre mostre visibili al pubblico, che, ricordiamo, può entrare nelle sale gratuitamente. Ci puoi dare qualche coordinata?
La programmazione prevede due cicli di mostre l’anno. Al momento e fino a fine febbraio il pubblico può visitare tre mostre: Messo a Dimora di Giorgia Valmorri, un percorso composto da varie installazioni sparse per tutto lo spazio del [NON]MUSEO, sia esterno che interno, Per un Atlante dello Sguardo che raccoglie le opere-esito della IV° edizione di Borgo Indaco e Tracce, una mostra di disegni di Barbara Balestra.
Oltre agli artisti che espongono in questo momento qui al [NON]MUSEO, il nostro team si avvale della preziosa collaborazione di Enrico Malatesta, artista percussionista e della fotografa Simona Barducci.
Guardando le mostre insieme a te, mi sembra di capire che vogliate far passare l’idea di un’arte non solo come oggetto, manufatto, ma anche come performance e relazioni.
Sì, a noi sembra più importante soffermarci e parlare insieme ai bambini sul come fare piuttosto che sul che cosa fare: tutto e niente possono ugualmente essere arte, è lo sguardo che si usa nel realizzarla o nel guardarla che fa la differenza. Da un lato vorremo trasmettere l’idea dell’oggetto artistico come nutrimento, del manufatto come idea che diventa materia, ma non legata a un’estetica, bensì al concetto che esso racconta; dall’altra vorremmo che i bambini si rendessero conto che l’arte è costituita anche da relazioni (e da qui per esempio il focus sul rapporto tra arte e antropologia).
Ecco perchè la scelta di commissionare all’artista Giorgia Valmorri la prima mostra del [NON]MUSEO, dato che la costruzione delle “opere installative” nasce proprio dalla partecipazione delle persone e spesso alcune installazioni vivono solo nel momento in cui il visitatore porta la propria azione. Nel caso di alcune opere per il [NON]MUSEO Giorgia ha coinvolto gli abitanti della corte interna di Via Aldini 50, sede del centro e grazie alla relazione con loro ha costruito alcuni degli interventi artistici.
Pensa che qualche giorno fa un vicino ha suonato il campanello per farci sapere che pensa di avere in casa del materiale utile a Giorgia per i suoi lavori. L’ambiente in cui operiamo, il contesto sociale e antropologico è alla base dei nostri interventi laboratoriali.
Il [NON]MUSEO, il nome stesso del centro, deriva in parte da questa tua ultima affermazione, no? È stato questo nome a incuriosirmi fin da subito, perché mettere la particella negativa tra parentesi ha un significato diverso dalla negazione tout court e dal drastico (e violento) atto di rottura che questa sottintende.
Il [NON]MUSEO è il titolo della mia tesi di master, un’espressione situazionista che vuole essere riflessiva, vuole far pensare a cosa si intende per spazio museale e proporre un’alternativa, sia confermando con una consapevolezza maggiore l’idea già esistente di museo, sia formandone una nuova.
La riflessione e il senso critico sono poi ciò che auspichiamo per i bambini; attraverso l’utilizzo dell’immaginazione e dei loro sensi, nella loro totalità, vorremo che i bambini sviluppassero una propria coscienza personale, assecondando la loro curiosità individuale senza smettere di farsi domande.
Il vostro è un progetto innovativo, unico nel circondario; quali sono le realtà italiane di riferimento per voi?
Esistono vari progetti che, anche se non simili a noi per approccio educativo, sono un punto di riferimento, alcuni esperimenti all’interno di musei che per noi hanno molto valore e che prediligono un tipo di apprendimento interattivo. Per citare alcuni nomi, Arte in Erba collegato al Museo Pecci di Prato, che ha folletti come guide museali, il MUBA, il museo per bambini di Milano e, sicuramente, per i loro fondamenti educativi d’avanguardia Reggio Children e tutto l’approccio di Bruno Munari portato avanti tutt’oggi dalla medesima.
La nozione di scuola così come conosciuta dai più, per intenderci, coloro che non hanno una preparazione pedagogica, né accademica né professionale, sembra avere poco a che vedere con la vostra idea educativa. I vostri laboratori non sono frontali, non si basano su un rapporto pre-stabilito tra maestra e bambino, ma sono flessibili e variano da contesto a contesto. Come vi fate chiamare? Educatrici o preferite descrivervi con altre parole?
Direi fate; sì, fate, come lo siamo d’estate a Borgo Indaco, il progetto di cui parlavo prima, che per noi è proprio una città (ideale), un mondo in cui i bambini entrano. La stessa cosa accade al [NON]MUSEO. Ci facciamo chiamare fate o atelieriste perché atelier è una delle espressioni che utilizziamo in questo che è un centro ricreativo, di ricerca e approfondimento critico senza la pesantezza di una scuola dove si studia per dovere. Come già accennavo è il come che fa la differenza, l’approccio metodologico che abbiamo scelto per cui i bambini interagiscono con noi continuamente. Noi siamo semplici mediatrici, delle osservatrici che propongono l’arte come una sorta di lente attraverso cui leggere il mondo da più prospettive, privilegiando sempre l’attivazione di un pensiero proprio.
Info: www.facebook.com/pages/NON-MUSEO
www.nonmuseo.it (presto online)