ROMA | CURVA PURA | 10 GIUGNO – 10 SETTEMBRE 2021
di MARIA VITTORIA PINOTTI
Nel 1909 il critico d’arte Roger Fry, ragionando sul rapporto tra forma ed emozione estetica, notava come l’arte fosse l’elemento principale della vita immaginativa, al punto tale da considerarla come strumento utile a stimolare la percezione, sì da essere indispensabile per accedere alla purezza della libertà emozionale.[1] Questo particolare potere dell’arte, che ci permette di percepire la vita secondo emozioni nette, chiare, vivide e limpide, può riflettersi nel disegno di una curva pura, indirizzata in maniera ascendente verso l’aspetto immaginativo ed emotivo della vita. Così l’espressione Curva Pura potrebbe essere un mantra che impera nello scenario dell’arte contemporanea corrente, nondimeno, è anche il nome della galleria d’arte situata nella zona Ostiense della città di Roma: fondata nel 2014 e diretta da Vittorio Beltrami ed Andrea Romagnoli, che al momento propone un calendario espositivo caratterizzato da un ampio respiro sperimentale.
Attualmente in questo spazio è in corso la mostra dedicata a Rosario Vicidomini (1986, Nocera Inferiore), intitolata Minacce di morte al cane unicorno, a cura di Nicoletta Provenzano, in programmazione dal 10 giugno al 10 settembre 2021. Ciò che colpisce di questa rassegna è il titolo, che pare sia desunto da un processo di scrittura surrealista ed automatica; da qui, volendo utilizzare il criterio del poeta Tristan Tzara, che nel 1986 individua il procedimento utile a scrivere una poesia dadaista, sembra che la denominazione sia nata proprio da queste istruzioni: “prendete un giornale, scegliete l’articolo, ritagliate le parole, mischiatele dolcemente in un sacchetto e tirate fuori le parole”[2]. Inoltre, ad impreziosire ed ampliare lo spettro di indagine del percorso, è stato edito un volume in cui i sono raccolti i lavori dell’artista dal 2007 ad oggi, tutti finemente accompagnati da contributi critici.
Il percorso espositivo offre una serie di opere raffiguranti corpi e volti umani, definiti secondo una pittura ad olio burrosa e traslucida che emana la corpulenza e il calore delle figure. L’atmosfera terrosa e caotica restituisce l’intensità emotiva del soggetto raffigurato, così le cospicue cesure ottiche, con tagli visivi asimmetrici ed irregolari, pongono i corpi come momenti di una realtà aumentata volta ad essere arricchimento di un’intima esperienza fisica. Simili violente visuali, organizzate secondo inquadramenti spezzati e zoomati, paralizzano ed anestetizzano le figure umane in vedute caustiche ed irriverenti. Tuttavia, l’artista, concentrandosi sull’imperfezione corporale e carnale dell’uomo, impara a conoscerne la sua beltà, giacché lo stesso Nietzsche affermava come conoscere una cosa come bella significhi necessariamente saperla in maniera sbagliata.
In particolare, il protagonista di questa pittura è la luce, tanto morbida quanto trasparente, anzi nel caso di Vicidomini sarebbe meglio parlare di mèta luce[3], ossia di una luminosità vibrante, sferzante di energia, tale da essere generatrice di un mutamento e di una trasformazione, capace com’è di legare parti di volto e porzioni di corpo. Secondo questo principio, la pittura nega alla figura la verosimiglianza, concentrandosi, invece sulla poetica dell’imperfezione, dove risiede l’essenza del soggetto. In siffatta maniera, l’artista sembra concentrarsi non sul fenomeno ma sul noumeno, ovvero sull’idea da cui è scaturita l’opera, qui generata da un insieme di forze creative raggiungibili solo attraverso la grammatica dei sensi. Da questo immaginario cromatico e luministico emerge la percezione di Vicidomini, pronto ad organizzare e vivere il mondo alla stregua di visioni mnemoniche, predisposte secondo direttrici visuali che scoprono la sensualità dei corpi, con astuzie visive di inquadrature sbilenche e surreali.
Lo strumento di un così fortunato approdo per l’artista, oltre ad essere la gestione dello spazio visivo, che, come detto sopra, propone frammenti indiziali tratti da un contesto più ampio, è la tecnica pittorica compulsiva, basata su un’azione frenetica, con pennellate mosse dallo scuotimento di membra umane. Con questo singolare approccio, Vicidomini si muove attorno ai corpi ed ai volti facendo trasparire il proprio contatto visuale prettamente retinico, che suddivide lo spazio in punti di immagine ricomposti armoniosamente sulla tela. Alla stregua di un occhio che scruta secondo visuali rarefatte, egli sembra dipingere secondo una memoria involontaria dettata dai suoi stessi organi sensoriali; pertanto, i volti ed i corpi si reiterano come consumati da un’ansia di emersione, sì da essere capaci di rivelarsi secondo le loro fiamme esistenziali, incastrati come sono in resistenze spirituali.
Nella pittura di Vicidomini, in altri termini, percezione e luce sono le stelle polari esplorative che strutturano le pennellate in una cromia di tinte brune, volte ad imprigionare quella realtà recalcitrante ed inaccessibile del corpo umano, qui immobilizzato in movimenti contorti. Non sarebbe del tutto assurdo proporre, per le opere in mostra, la parola texture, volta ad indicare l’irruvidimento della superficie pittorica dalla quale riaffiora la fisiologia dei corpi ed il conseguente processo percettivo che sottintendono. Del resto, rivolgendo l’attenzione verso la superficie e la sua rudezza, l’artista vi nasconde l’essenza ed il racconto dei corpi che emergono nei respiri e nella loro vita d’insieme.
In sostanza, per Rosario Vicidomini la pittura è un racconto per immagini di campi visivi definiti per profili cromatici e texture: per questa ragione la sua visionarietà corporale è costruita su una prospettiva, non intesa come finestra scientifica sul mondo, bensì empirica, basata sulla percezione di ciò che lo spettatore vede all’interno di essa. L’opera si pone, pertanto, alla stregua di una rivelazione, in cui la formalità del soggetto emerge fluentemente nel dosaggio dei toni, delle sfumature e delle morbide e grasse pennellate. Questo esercizio pittorico, che propone corpi e volti esautorandoli in una spirale sino a spingerli in fuori, in dentro ed ai lati, rende l’artista capace di evocare i sentimenti più svariati, alcuni più vicini alla paura, alla gioia, alla tristezza, e, infine, al desiderio. Così egli vive la pittura come un percorso introspettivo caratterizzato da una forte sensibilità, in cui i volti affranti sono immersi in una ricerca esistenziale. Volendo parafrasare le parole di André Breton, Vicidomini riesce a far emergere “la bellezza convulsiva dell’uomo, che sarà erotico-velata, esplosivo-fissa, magico-circostanziale o non sarà“.[4]
Rosario Vicidomini. Minacce di morte al cane unicorno
A cura di Nicoletta Provenzano
10 giugno – 10 settembre 2021
Curva Pura
Via Giuseppe Acerbi 1a, Roma
Orari: su appuntamento – prenotare via mail curvapura@gmail.com o whatsapp +39 331 4243004
[1] Roger Fry, Un saggio di estetica, 1909, in Alle origini dell’opera d’arte contemporanea, a cura di G. Di Giacomo, C. Zambianchi, Editori Laterza, 2013, pp. 10-11
[2] Tristan Tzara, Per fare una poesia dadaista, 1918
[3] Il termine mèta luce è inesistente nel lessico italiano, tuttavia, il prefisso mèta è utilizzato in diverse parole e sta ad indicare un processo di mutamento e trasformazione
[4] André Breton, L’Amour fou, Einaudi, Torino, 1974