MILANO | GIO MARCONI | FINO AL 10 NOVEMBRE 2018
di Irene Biolchini
In inglese l’espressione ‘period’ può essere usata per rafforzare un’idea, qualcosa che si potrebbe tradurre con un ‘punto e basta’. Ma il ‘period’ è anche un ciclo di tempo: qualcosa che ha una sua durata e che si ripete. Il titolo della mostra di Allison Katz, che ha inaugurato il 25 settembre presso Gió Marconi (e ne abbiamo parlato qui), si presta al gioco di parole, al cambio di senso, ad un salto che fa coincidere il piano figurale e quello fisico. Così il ciclo e la circolarità diventano il cerchio del piatto, ma anche la continua ciclicità della pittura. Una pittura che si determina da sola, che si rigenera attraverso la pratica. In questa conversazione Allison Katz racconta di come è nata la mostra, della sua recente residenza italiana a Spoleto, della sua monografia. Ed è interessante ascoltarla perché è chiaro che tutto per lei è pittura, punto e basta.
La mostra che presenti è nata a seguito di una residenza che hai fatto in Italia. Come è stato il tuo primo contatto con la realtà artigianale italiana? Il ritmo del lavoro ed il metodo che hai usato sono stati diversi da quelli che hai seguito fino ad ora? In che modo i tempi lunghi della lavorazione ceramica hanno modificato la tua metodologia di lavoro?
La residenza è stata un sogno, e per questo vorrei ringraziare Eva LeWitt e Guy Robertson per il loro sostegno nella realizzazione e produzione di queste ceramiche. Il mio contatto con le botteghe è stato limitato; ho comunque realizzato una piccola produzione e alcune ricerche con La Gioconda a Deruta, che è un piccolo atelier che lavora in stretta relazione con gli artisti (e che, per esempio, ha prodotto tutte le edizioni ceramiche di Sol LeWitt). In questo caso, tutti i piatti erano precedentemente cotti e sono stati portati in manifattura per la smaltatura. Questa prima esperienza ha dato vita ad un nuovo progetto – coordinato dal Mahler- LeWitt studio – in cui La Gioconda realizzerà una serie speciale di piatti e sculture smaltati. La mostra che presento a Milano espone ottanta piatti: venti di questi sono stati prodotti a Spoleto, mentre gli altri li ho realizzati a Londra, che è ovviamente un posto molto differente, anche perché non ho un forno in studio! A Londra i tempi di produzione sono molto diversi e anche se ho provato nostalgia per il clima rilassato di Spoleto, è stato per me molto interessante poter integrare ciò che avevo imparato durante la residenza nella mia vita londinese.
I piatti sono spesso collegati con la nostra vita domestica. Come mai hai scelto di lavorare con un oggetto così legato alla quotidianità? E come questo elemento ‘quotidiano’ ha interagito con i tuoi dipinti?
Mio marito è uno chef, quindi sono molto legata a questo formato e alla comunicazione che porta con sé – anche perché è da quando ci siamo incontrati che ricevo amore servito su un piatto. Allo stesso tempo i piatti portano con sé una serie di associazioni: il cerchio è stato a lungo la forma connessa al progresso, alla guerra e alla valuta (penso alla ruota, allo scudo e alla moneta). Mi interessava sfruttare questa contraddizione, insieme ad altri elementi: il cerchio è associato con la visione (l’occhio) e al nostro habitat (il pianeta). Sono affascinata dall’espressione ‘andare in tondo’ [n.d.r. letteralmente in inglese ‘walking around in circles’] che significa non andare da nessuna parte – l’essere senza scopo è lo scopo. [n.d.r. anche qui l’artista usa un gioco di parole difficilmente traducibile quando afferma ‘the pointless is the point’]. Il piatto ha moltissime connotazioni come una piastra commemorativa, qualcosa che ho voluto tenere presente da un punto di vista di contenuti. Mi sono mossa in circolo: ho attraversato la mia pittura in questo formato, come una sorta di medaglia retrospettiva. E come in palla di cristallo, la forma ha predetto i nuovi dipinti, capovolgendoli attraverso un nuovo processo. Il soggetto della pittura – che normalmente si svolge in uno spazio rettangolare – viene trasformato dalla forma e fuoriesce come qualcosa che unisce il passato e il futuro.
Ho appeso i piatti in gruppi, basandomi su una ricerca su come le medaglie e le monete venivano appese nelle collezioni museali (come ad esempio al Victoria&Albert Museum di Londra). Mi affascina il fatto che questi oggetti, solitamente legati ad un immaginario molto maschile, possano essere ri-organizzati con un design che è decorativo, quasi una decorazione floreale. L’effetto ornamentale era importante per questi collezionisti, anche se l’oggetto singolo sembra indicare l’opposto.
Già nel 2011 avevi lavorato con la ceramica. Come e quando hai deciso di tornare a questo materiale? Cosa trovi nella ceramica che non puoi ottenere nella pittura?
L’attrazione verso i piatti decorati è interamente basata sul fatto di non conoscere il risultato finale. Non ci sono molte altre forme in cui la pittura può essere così affidata al caso; in cui il calore del fuoco rappresenta metà della battaglia da compiere. Si dipinge ‘al buio’, nel senso che lo smalto cambia colore e consistenza dopo la cottura; la forza della temperatura vulcanica crea una confusione estetica. Piccole rocce cristalline incastonate in un residuo si trasformano e imitano gli effetti prodotti da migliaia di anni: la geologia, la litosfera, l’evoluzione. Così come altri materiali a noi contemporanei: la plastica, le caramelle, la tintura a nodi, la pastella, il glitter.
Conoscere tutti i modi in cui il processo può andare storto mi ha dato energia. Lo smalto, oltre al rischio di spaccarsi casualmente in forno, a volte – semplicemente – non ‘riesce’, e questo anche perché tendo ad essere piuttosto non convenzionale nel mio processo creativo, stendendo e mischiando smalti al contrario di tutto ciò che le istruzioni insegnano. Inoltre ri-cuocio i piatti molte volte, il che aumenta il rischio di fratture all’interno del forno. Quindi ci si confronta sempre con la delusione, la perdita. In aggiunta a tutto questo, ciò che esce dal forno spesso sfida il mio gusto e la mia percezione – non assomigliano mai a come me li ero immaginati. Quindi, nel mio ruolo di produttore, trovo che la bellezza risieda nella sorpresa. A volte non sento nemmeno di averli fatti io, la realtà tecnica cancella le mie intenzioni.
Bisogna poi tenere presente che la superficie chiusa della ceramica cotta è molto diversa da quella porosa del tessuto di una tela. Un dipinto è sempre aperto mentre nella ceramica la cottura implica un punto di interruzione, che per me da pittrice è una sorta di sollievo. Lo lascio andare e aspetto. In ogni caso mi interessava compiere una distinzione tra pittura e artigianato che è rappresentata dalla priorità della pittura. In questo modo non mi sento per nulla legata alla tecnica: ho usato lo smalto su molti piatti per evidenziare o fissare altre parti di smalto. Non voglio essere legata ad alcuna regola di purezza! Il titolo della mostra utilizza alcuni di questi temi: un periodo è un ciclo, e basta. Un arco di tempo ed una fine. L’eterno ritorno è un cerchio che si ripete al punto di cesura.
Parlando di pittura: la ceramica ha cambiato il tuo rapporto con la pittura? Hai notato una nuova pratica nella tua produzione recente?
Come dicevo, il rischio e la sorpresa mi hanno dato un nuovo modo di guardare alla pittura. Inizio ad osservare la superficie dell’olio e dell’acrilico con un occhio più ‘fuso’ come se cercassi nuovi modi per creare delle superfici simili a quelle ottenute con gli smalti. Questo con la pittura ad olio significa una superficie più sperimentale, cercando modi in cui l’olio possa reagire in maniera indipendente alla tela. Ho iniziato a sperimentare anche con pigmenti in povere mischiati con l’acqua in modo da ottenere un risultato finale che sia in qualche modo più legato al caso che al mio intervento (attraverso le mani o il pennello). È molto interessante per me continuare a lavorare con materiali pittorici che conosco molto bene (e da molti anni), ma ciò che è intrigante è il farlo ponendomi delle domande che vengono dalla tecnica ceramica.
La tua monografia uscirà molto presto, credo che sia un momento molto delicato e pieno di valutazioni per te. Posso chiederti in che modo vorresti costruire il volume e cosa credi che legherà tutti i lavori che includerai nella pubblicazione?
Il libro racchiuderà le mie mostre dal 2015 ad oggi, esplorando i legami tra loro, specie in relazione ai temi e alle idee sviluppate in un questi anni attraverso diverse pratiche. Essendo una monografia ci sarà ovviamente un aspetto ‘retrospettivo’ anche se vorrei che questo libro guardasse avanti più che indietro; vorrei imparare alcune cose da come i lavori interagiscono gli uni con gli altri in modo da elaborare nuove direzioni. A dire il vero l’unica cosa che tutti i lavori hanno in comune è che li ho fatti io! Al momento sto ancora costruendo il volume e quindi non riesco a dare molti dettagli, ma includerà le mie diverse pratiche: pittura, installazione, ceramica, e ancora, e ancora…
Allison Katz. Period
26 settembre – 10 novembre 2018
GióMARCONI
via Tadino 20, Milano
Info: +39 02 29 404 373
www.giomarconi.com