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MILANO | TRIENNALE MILANO | 22 giugno – 29 ottobre 2023

Fino al 29 ottobre 2023, Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain presentano la mostra Siamo Foresta, realizzata con la Direzione Artistica dell’antropologo Bruce Albert e del Direttore Artistico della Fondation Cartier Hervé Chandès, con allestimento creato dall’artista Luiz Zerbini.

Riunendo le opere di 27 artisti, provenienti da Paesi, culture e contesti diversi, per lo più latinoamericani e molti dei quali appartenenti a comunità indigene, Siamo Foresta invita a scoprire nuovi punti di vista sulla contemporaneità.
La mostra Siamo Foresta è accompagnata da un ricco Public program a cura del filosofo italiano Emanuele Coccia, che sottolinea i punti di forza e le originalità della mostra, iniziato il 22 giugno per festeggiare l’apertura della mostra e che proseguirà in autunno.

Siamo Foresta, exhibition view, Triennale Milano. Credits: Andrea Rossetti / Héctor Chico

Questa mostra costituisce il sesto progetto espositivo realizzato nell’ambito del partenariato della durata di otto anni tra Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain, confermando così l’impegno delle due istituzioni nel portare presso pubblici sempre diversi i propri progetti espositivi, incoraggiando la scoperta delle visioni di artisti provenienti dai contesti geografici più vari.

Oltre il 70% delle opere in mostra proviene dalla collezione della Fondation Cartier pour l’art contemporain e racconta in particolare la storia del rapporto che la fondazione ha instaurato da tempo con artisti di alcune comunità indigene dell’America Meridionale. L’incontro con questi mondi estetici e metafisici, indigeni e non, è stata l’occasione per dare vita a nuovi progetti artistici, opere inedite e talvolta collaborazioni inaspettate. Infatti, anche in questo progetto espositivo, sono incluse numerose nuove creazioni, pensate appositamente per Siamo Foresta.

Siamo Foresta, exhibition view, Triennale Milano. Credits: Andrea Rossetti / Héctor Chico

Fondation Cartier lavora per stimolare l’incontro e lo scambio tra gli artisti, principio alla base della nascita di questa mostra, frutto di conversazioni dalle quali sono scaturiti sodalizi senza precedenti, in particolare quello tra gli artisti Sheroanawe Hakihiiwe, yanomami del Venezuela, e il francese Fabrice Hyber; l’incontro tra l’artista di Rio de Janeiro Adriana Varejão e Joseca Mokahesi, yanomami brasiliano; e la collaborazione più recente tra la yanomami brasiliana Ehuana Yaira e Cai Guo-Qiang, artista cinese con base a New York.

Che siano appassionati osservatori della diversità vegetale e animale della foresta in cui vivono che risiedano in città, affascinati dalla realtà della foresta, gli artisti in mostra dialogano su un tema comune: la necessità di ripensare il ruolo dell’uomo all’interno dell’universo dei viventi.

«Siamo Foresta mette in scena un dialogo senza precedenti tra pensatori e difensori della foresta; tra artisti indigeni – dal New Mexico al Chaco paraguaiano passando per l’Amazzonia (Brasile, Perù e Venezuela) – e artisti non indigeni (Brasile, Cina, Colombia e Francia) (…). Siamo Foresta trae la sua ispirazione da una comune visione estetica e politica della foresta come multiverso egualitario di popoli viventi, umani e non umani, e come tale offre una vibrante allegoria di un mondo possibile al di là del nostro antropocentrismo. Fin dalle sue origini, la tradizione occidentale ha diviso e gerarchizzato gli esseri viventi secondo una scala di valori di cui l’essere umano costituisce l’apice. Questa supremazia dell’umano ha progressivamente allontanato l’umanità dal resto del mondo vivente, aprendo così la strada a tutti gli abusi di cui la distruzione della biodiversità e la catastrofe climatica contemporanea sono il risultato. La filosofia delle società indigene americane, invece, ritiene che gli esseri umani e i non umani – animali e piante – pur distinguendosi per l’aspetto dei loro corpi, siano profondamente uniti dalla stessa sensibilità e intenzionalità. Per loro, quindi, le comunità umane e non umane costituiscono un complesso multiverso di popoli che convivono, su un piano di uguaglianza e a costo di compromessi reciproci, all’interno di una stessa entità vasta e vivente, la “terra-foresta-mondo”. È in nome di questa preoccupazione relativa all’uguaglianza tra i viventi e del riconoscimento della porosità dei confini che apparentemente li distinguono – contrariamente, quindi, all’idea di qualsiasi supremazia umana – che gli artisti qui presentati si sono riuniti». Spiega Bruce Albert, antropologo e co-direttore artistico della mostra.

Siamo Foresta, exhibition view, Triennale Milano. Credits: Andrea Rossetti / Héctor Chico

A sottolineare le connessioni emotive, le affinità stilistiche e concettuali tra le opere selezionate, gli artisti sono tra loro idealmente collegati anche attraverso le soluzioni scenografiche orchestrate da Luiz Zerbini. L’artista ha concepito infatti un progetto espositivo continuo che abbraccia tutte le opere e permette alla foresta, con i suoi elementi e ritmo vitale, di fare il proprio ingresso nelle sale di Triennale Milano. Immaginando la mostra come un viaggio in un’onirica foresta tropicale, Luiz Zerbini (San Paolo, 1959) invita alla sua esplorazione attraverso un’installazione vivente, costellata di opere d’arte, tra specie vegetali e giochi di luce colorata. Selezionate con la consulenza del botanico Stefano Mancuso in serre locali e accompagnate in tutte le fasi della loro vita da esperti botanici, ciascuna delle piante in mostra è il personaggio di un paesaggio immaginario che accompagna la visita dall’inizio alla fine, dissolvendo il confine tra l’architettura di Triennale e l’ambiente circostante.

Siamo Foresta, exhibition view, Triennale Milano. Credits: Andrea Rossetti / Héctor Chico

Da una parte, la foresta non è più uno spazio estraneo alla città e alla cultura, ma il luogo in cui si celebra l’incontro tra le culture: Siamo foresta è un grido di rivendicazione di artisti che pensano l’unità del pianeta attraverso l’idea di foresta. D’altra parte, è attraverso l’arte che diverse culture possono dialogare e trasformarsi reciprocamente: l’esposizione racconta le influenze che le popolazioni autoctone dell’area amazzonica e non solo, hanno esercitato sulle culture visive non autoctone. Lo spazio espositivo diventa il luogo in cui le arti indicano la strada per ripensare diversamente il pianeta e il suo futuro.

Siamo Foresta è arricchita da una pubblicazione dedicata, contenente la documentazione iconografica del percorso espositivo, e da una guida con attività esplorative per bambini che approfondisce i contenuti delle opere, insieme a una serie di workshop tra le sale espositive.

Il racconto di Siamo Foresta prosegue online sui canali social di Fondation Cartier Italia e di Triennale.

Siamo Foresta, exhibition view, Triennale Milano. Credits: Andrea Rossetti / Héctor Chico

SIAMO FORESTA
Direzione artistica: Bruce Albert, antropologo, Hervé Chandès, Direttore Generale Artistico, Fondation Cartier pour l’art contemporain.

Scenografia: Luiz Zerbini

Artisti: Fernando Allen (Paraguay), Efacio Álvarez (Nivaklé, Paraguay), Cleiber Bane (Huni Kuin, Brasile), Cai Guo-Qiang (Cina), Johanna Calle (Colombia), Fredi Casco (Paraguay), Alex Cerveny (Brasile), Jaider Esbell (Makuxi, Brasile), Floriberta Fermín (Nivaklé, Paraguay), Sheroanawe Hakihiiwe (Yanomami, Venezuela), Aida Harika (Yanomami, Brasile), Fabrice Hyber (Francia), Morzaniel Ɨramari (Yanomami, Brasile), Angélica Klassen (Nivaklé, Paraguay), Esteban Klassen (Nivaklé, Paraguay), Joseca Mokahesi (Yanomami, Brasile), Bruno Novelli (Brasile), Virgil Ortiz (Cochiti Pueblo, Nuovo Messico, Stati Uniti), Santídio Pereira (Brasile), Solange Pessoa (Brasile), Brus Rubio Churay (Murui-Bora, Perù), André Taniki (Yanomami, Brasile), Edmar Tokorino (Yanomami, Brasile), Adriana Varejão (Brasile), Ehuana Yaira (Yanomami, Brasile), Roseane Yariana (Yanomami, Brasile), Luiz Zerbini (Brasile)

22 giugno – 29 ottobre 2023

Triennale Milano
viale Alemagna 6, Milano

Info: T. +39 02 724341
www.triennale.org


IL PERCORSO ESPOSITIVO
Il percorso in mostra si dipana lungo diversi nuclei espositivi e tre incontri tra artisti autoctoni e non, che hanno generato dialoghi e opere inedite: Sheroanawe Hakihiiwe, Yanomami venezuelano, e il francese Fabrice Hyber, che hanno lavorato insieme nella primavera del 2023; Adriana Varejão di Rio de Janeiro e Joseca Mokahesi, yanomami del Brasile, nel 2003; e la recentissima collaborazione tra Ehuana Yaira, yanomami brasiliana, e Cai Guo-Qiang di origine cinese. Questi tre momenti hanno permesso uno scambio generoso tra mondi solitamente lontani.

Dialogo inaugurale
Siamo Foresta nasce dall’idea di un lavoro congiunto tra Sheroanawe Hakihiiwe, originario dell’Amazzonia venezuelana, e Fabrice Hyber, artista francese che da 20 anni coltiva e si prende cura di una vasta foresta temperata nella valle della Serrie, in Vandea (Francia).
Sheroanawe Hakihiiwe ha visitato per la prima volta la Vandea nel 2022, su invito di Fabrice Hyber, in occasione della loro comune partecipazione alla mostra Les Vivants, organizzata dalla Fondation Cartier al Tripostal di Lille. L’incontro è stato seguito da un soggiorno più lungo nell’aprile 2023, durante il quale i due appassionati osservatori e difensori di foreste hanno potuto confrontarsi e lavorare insieme sul loro tema comune. Questo dialogo si estende da foresta a foresta e si è poi instaurato, in varie interpretazioni, tra tutti gli artisti coinvolti in questa mostra.
All’ingresso, il visitatore è accolto dalle opere di Sheroanawe Hakiihiwe e Fabrice Hyber: grandi tele dipinte e disegnate a quattro mani durante la permanenza nella foresta francese chiamata La Vallée accanto a opere realizzate da ciascuno dei due artisti. La foresta, che sia amazzonica tropicale o temperata, è la fonte di ispirazione comune per entrambi. Il lavoro di Sheroanawe Hakiihiwe nasce dall’osservazione meticolosa dei dettagli del sistema foresta in cui vive: tracce e forme animali e vegetali diventano, nel suo lavoro, segni astratti ispirati a quelli delle pitture corporee yanomami.
Fabrice Hyber paragona volentieri la propria pratica creativa alla crescita organica degli esseri viventi. Sulle sue tele formula ipotesi, associa idee, inventa forme, offre un’osservazione intuitiva e poetica delle mutazioni permanenti degli esseri viventi e una visione onirica dell’ibridazione tra uomini e piante. Sostenitore di un’ecologia positiva, è interessato alle infinite possibilità di rigenerazione del mondo vivente. L’incontro con Sheroanawe Hakiihiwe, nel 2022, gli ha dato l’impressione di “imparare a vedere di nuovo la foresta”, cosa che secondo lui è “necessaria per ridefinire la città. (…) Amazzonia-Vandea: mostrare tutti gli ingredienti della foresta e renderli visibili per salvare l’intero nostro mondo”.

Entrare nella foresta
Tra sogno e realtà, geometria e proliferazione, i caotici paesaggi di Luiz Zerbini sono una sorta di foresta urbana, dove è difficile capire se è la foresta ad avere il sopravvento sulla città o viceversa. I dipinti, le fotografie, le incisioni e le installazioni realizzate dall’artista sono caratterizzati dall’interesse per il paesaggio e la botanica e dall’uso di una palette multicolore, presentando un dialogo serrato tra astrazione, geometria e figurazione. Zerbini rivisita anche il genere della pittura storica in modo critico, presentando eventi importanti nella storia della colonizzazione portoghese o la contemporanea espropriazione delle terre indigene in Brasile.
Oltre a sviluppare l’exhibition design di Siamo Foresta, l’artista brasiliano Luiz Zerbini porta letteralmente la vegetazione nello spazio espositivo. La grande installazione Natureza Espiritual da Realidade, che appartiene alla Collezione della Fondation Cartier, consiste in un grande tavolo con un albero al centro, su cui sono esposti degli oggetti trovati in loco. I monotipi vegetali e le grandi tele dipinte dall’artista rievocano l’irrompere predatorio del mondo urbano nella rigogliosità della flora tropicale. Piccola Foresta Sognata, la nuova opera realizzata ad hoc per questa mostra, è composta da passerelle circondate da specie vegetali, per lo più tropicali. Con l’idea di rafforzare la continuità tra spazio interno ed esterno, e riecheggiando i suoi stessi dipinti, Zerbini riveste il soffitto di Triennale di filtri colorati per creare un gioco di luci che si riflette sull’installazione che il visitatore è invitato a percorrere, proprio come raggi che penetrano in una fitta vegetazione. Questa insolita passeggiata è accompagnata dai disegni dell’artista brasiliano yanomami André Taniki, raffiguranti gli spiriti della “terra-bosco”, e dalle grandi sagome di bromelie sudamericane realizzate dal giovane brasiliano Santidio Pereira. Utilizzate per creare le sue xilografie, che accumulano spessi strati di inchiostro di diversi colori, queste matrici vengono presentate per la prima volta come oggetti a sé stanti, sculture di legno che perdono il loro tradizionale status di strumenti di lavoro per diventare opere d’arte a tutti gli effetti.

Storie sotterranee e narrazioni perdute:
tracce di un rapporto profondo con i mondi viventi
Nel monumentale dipinto Mundao II, l’artista Solange Pessoa, che vive a Belo Horizonte (Brasile), raffigura diverse forme di vita terrestre –  animali, piante, fossili –  includendo sia le specie estinte o in via di estinzione, sia la terra sotto i nostri piedi, ricca di fossili e storie perdute. I disegni che rappresentano uccelli chimerici monocromi, sono possibili forme primitive che l’artista immagina in continua trasformazione, vicine ai personaggi dei miti indigeni che si possono vedere nei disegni di Esteban Klassen, Angélica Klassen, Floriberta Fermín o Efacio Álvarez. Artisti della comunità indigena Nivaklé, che ritraggono in bianco e nero l’immensa diversità di specie vegetali e animali in via di estinzione che popolano la foresta del Gran Chaco paraguaiano, ma anche la cosmologia sciamanica del loro popolo.

Tradizioni e reinterpretazioni contemporanee
Pur continuando la tradizione della ceramica figurativa della sua comunità, i Pueblo Cochiti del Nuovo Messico, USA, l’artista Virgil Ortiz crea figure originali basate su uno stile regionale di caricatura sociale che trae le sue origini nel XIX secolo, ispirato ai personaggi e agli spettatori dei circhi itineranti che attraversavano la regione all’epoca. Virgil Ortiz ha sviluppato un proprio stile basato sulle storie dei Pueblo d’America e della loro rivolta, combinando fantascienza e racconti apocalittici. In due delle sculture presentate, l’artista mette a confronto la figura del colono a due teste con i suoi animali domestici (Ring Master and Tics) e una creatura ibrida, sia umana che animale, appartenente alla cosmologia Pueblo (Transfigured), realizzata appositamente per la mostra. Come spiega l’artista: “Le opere figurative Monos di Pueblo Cochiti sono una storia avvincente di resilienza, resistenza e rinascita (…) Dedizione, critica sociale, umorismo e innovazione sono la forza trainante del mio lavoro. Continuerò dove il mio popolo è stato costretto a fermarsi e darò loro di nuovo voce attraverso l’argilla. Il mio lavoro è profondamente radicato e rigenerativo”.
Brus Rubio Churay, pittore autodidatta dell’Amazzonia peruviana, affronta temi storici, sociali e politici che hanno colpito il suo popolo, i Murui-Bora, e l’Amazzonia in generale: oppressione, predazione delle risorse, contaminazione. Le sue opere reinterpretano i miti e i rituali tradizionali dei Murui-Bora attraverso la creazione di personaggi ibridi, per metà umani e per metà animali o vegetali, che si muovono nell’aria di una lussureggiante foresta ancestrale, come illustrano i suoi disegni in bianco e nero o i tre dipinti realizzati appositamente per la mostra.

Sciamanesimo e mondi invisibili
Il dipinto Cadernos de viagem, connaissance par corps dell’artista Adriana Varejão e il disegno dell’artista Joseca Mokahesi dal titolo Becoming a Shaman sono esposti uno accanto all’altro a sottolineare il profondo legame tra i due lavori, che è alla base della loro concezione. Becoming a Shaman rappresenta il corpo simbolicamente frammentato e capovolto dello sciamano al momento della sua iniziazione. Nel suo dipinto, Adriana Varejão, influenzata dall’incontro nel 2003 con la comunità Yanomami (su iniziativa della Fondation Cartier), interpreta a sua volta questo corpo sciamanico. In mostra, sempre in relazione a questo soggetto, si trova anche un’altra opera di Adriana Varejão che, alla maniera di un’antica tavola botanica, raffigura le specie vegetali utilizzate per produrre la sostanza inalata dagli sciamani durante i loro rituali.
Molti disegni yanomami sono legati allo sciamanesimo: quelli di Joseca Mokahesi, che raffigurano le visioni raccontate nei canti degli anziani, ma anche quelli di Ehuana Yaira, che rappresentano personaggi femminili dello sciamanesimo e della mitologia yanomami.
Le opere dell’artista brasiliano della comunità Huni Kuin Cleiber Bane raccontano in immagini i canti rituali del suo popolo, creando vere e proprie partiture sciamaniche. Infine, le visioni oniriche dell’artista attivista Jaider Esbell fondono il bestiario della mitologia del popolo Makuxi dell’Amazzonia brasiliana settentrionale con i sogni cosmologici dell’autore.

Animali fantastici, uomini-albero e contorni delle foreste
I mondi immaginati dall’artista Bruno Novelli combinano animali fantastici e panorami tropicali onirici, realizzati con motivi geometrici colorati. Nelle sue foreste immaginarie si intrecciano paesaggi, animali e piante di diversa ispirazione, dagli affreschi medievali al simbolismo indigeno amazzonico. Bruno Novelli è infatti molto vicino agli artisti indigeni Huni Kuin dell’Amazzonia brasiliana. Nel suo stile lussureggiante ed enigmatico, l’artista ha realizzato un nuovo dittico appositamente per Siamo Foresta.
Alex Cerveny, anche lui di San Paolo come Novelli, dipinge mondi fantastici in cui gli esseri umani, personaggi biblici o mitologici, sono sempre strettamente associati a forme arboree, fino a diventare alberi essi stessi. Cerveny ricerca un’unione profonda tra esseri umani e non umani ispirandosi alle culture indigene della foresta amazzonica brasiliana. In mostra si presenta anche una serie di disegni dell’artista che assomigliano a miniature raffiguranti diverse specie di alberi della foresta brasiliana, nonché un dipinto su sfondo nero (Pharmacopoeia, 2023) realizzato per Siamo Foresta, raffigurante uomini incapsulati nella terra, sotto agli alberi, circondati da un cielo di nuvole e nomi di piante medicinali utilizzate dagli yanomami del Brasile.
Il contorno etereo di un grande albero è realizzato dall’artista colombiana Johanna Calle (collezione Fondation Cartier) con i testi dattiloscritti su carta notarile di una legge sulla restituzione delle terre ai contadini indigeni. Piantare alberi è un modo, per questi agricoltori che non possono permettersi di erigere recinzioni, di legittimare la proprietà della terra che coltivano. I “disegni fotografici” (così l’artista definisce la sua tecnica di manipolazione di vecchie fotografie) evocano invece, attraverso enigmatiche sagome di piante, la profondità ancora incontaminata di un’area di foresta primaria dell’Amazzonia peruviana chiamata Yavari, situata al confine con la Colombia.

Scambio, creazione di incontri interculturali inaspettati
Al dialogo inaugurale tra Fabrice Hyber e Sherohanawe Hakihiiwe, così come a quello tra Adriana Varejão e Joseca Mokahesi, segue un’ultima, inaspettata collaborazione tra artisti non indigeni e indigeni: quella tra l’artista cinese Cai Guo-Qiang e l’artista yanomami brasiliana Ehuana Yaira. Questo incontro senza precedenti ha questa volta avuto luogo al di fuori della foresta, nello studio di Cai Guo-Qiang a New York, e ha preso la forma di un’opera a quattro mani che viene presentata per la prima volta in questa mostra: il disegno di un sogno di Ehuana Yaira che è diventato una traccia di scintille ed esplosioni sulla tela, secondo la tecnica notoriamente propria a Cai Guo-Qiang.

FONDATION CARTIER POUR L’ART CONTEMPORAIN
Nella sua continua esplorazione di nuove geografie estetiche e culturali, la Fondation Cartier pour l’art contemporain continua ad allargare lo spazio dell’arte contemporanea ad artisti indigeni di tutto il mondo. L’istituzione ha stabilito, nel corso degli anni, un rapporto speciale con gli artisti Huni Kuin e yanomami dell’Amazzonia, nonché con gli artisti Nivaklé e Guaraní del Chaco paraguaiano. Oltre all’America Latina, ha esposto anche molti artisti indigeni contemporanei provenienti da Stati Uniti, India e Australia. Presentando le loro opere, la Fondation Cartier pour l’art contemporain sottolinea il legame essenziale tra questi popoli e i loro territori. Le loro tradizioni immemorabili di uguaglianza tra esseri umani e non umani ci invitano a ripensare, sul loro esempio, nuove forme di convivenza terrestre tra esseri viventi. Questi incontri con universi estetici e metafisici autoctoni hanno dato vita a opere originali e mostre inaspettate, che la Fondation Cartier condivide con un pubblico sempre più vasto in Francia e all’estero. Quest’anno, la Fondation Cartier unisce le forze con le principali istituzioni internazionali dedicate alla creazione contemporanea per presentare una serie di grandi mostre che incarnano il suo impegno su questo tema: La Lotta Yanomami allo Shed (New York), Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori (Parigi e Milano) e Siamo Foresta presso Triennale Milano (Milano).

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