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TORINO | Fondazione Merz | 29 gennaio 2018 – 17 febbraio 2019

Elena Inchingolo in conversazione con il curatore Leonardo Bigazzi

Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, Ink drawing on archival document of the Koperativa of Runik, Courtesy the Artist, ChertLüdde, Berlin kamel mennour, ParisLondon, Fondazione Merz,Torino

La Fondazione Merz ospita, Shkrepëtima la mostra personale dell’artista albanese Petrit Halilaj (Kostërrc, Skenderaj-Kosovo 1986). Si tratta dell’evento conclusivo di un complesso progetto espositivo, a cura di Leonardo Bigazzi, articolato in tre parti distinte.

La prima parte del lavoro è costituita dalla performance, il più grande intervento di arte pubblica mai realizzato dall’artista, tenutasi il 7 luglio scorso presso le rovine della Casa della Cultura di Runik, un villaggio del nord del Kosovo che subì gravi danni durante la guerra degli anni Novanta. L’edificio, oggi ancora visibile nell’impianto architettonico, includeva un teatro con oltre 300 posti, una biblioteca con 7000 volumi e la cooperativa sociale del villaggio. L’artista ponendosi in dialogo con la popolazione l’ha coinvolta in un’azione collettiva per ricostruire il passato e conferire nuova dignità e vita alla memoria del luogo. Oltre alla performance che ha riportato alla luce le attività realizzate presso la Casa della Cultura e i significati socio-culturali ad esse sottesi, durante l’estate si è svolto nella scuola un workshop con i bambini di Runik, in collaborazione con il Dipartimento Educazione della Fondazione Merz.
In questa occasione l’ocarina, antico strumento musicale della tradizionale è stato ripensato e ricreato nel presente riattivandone forme e sentimenti.
Successivamente, tra luglio e agosto, è stata allestita al Zentrum Paul Klee di Berna una mostra che ha costituito il punto di contatto tra Shkrepëtima e la ricerca sviluppata precedentemente dall’artista con la serie di opere RU, in cui più di 500 reperti neolitici hanno preso le sembianze di uccelli stilizzati e sono stati oggetto di un’esposizione al New Museum di New York.

A ottobre il progetto giunge infine a Torino, nella sede della Fondazione Merz, come esito della seconda edizione del Mario Merz Prize, assegnato all’artista. Il percorso di mostra si snoda all’interno di una ricostruzione evocativa della Casa della Cultura di Runik, che per trent’anni è stata il simbolo della produzione culturale del Paese, posta in dialogo con lo spazio post-industriale della fondazione. Qui sono presentate installazioni monumentali a reinterpretare le scenografie, i costumi e gli oggetti di scena della performance. Un fluttuare di frammenti originali prelevati a Runik e sospesi a mezz’aria introduce alla mostra, facendo da sfondo al letto, composto da legni, arbusti e ocarine, già elemento centrale della performance, sul quale il protagonista, in sogno, avrebbe visto il teatro animarsi.

Petrit Halilaj, Shkrepetima, veduta d’installazione, Fondazione Merz, Torino. Foto: Renato Ghiazza

Completa l’esposizione una serie di 40 disegni inediti realizzati direttamente sui documenti d’archivio della cooperativa, rinvenuti dall’artista nel sottotetto dell’ex Casa della Cultura. Si tratta di un vero e proprio story-board della performance e allo stesso tempo un racconto visivo della memoria culturale del villaggio: magiche figure dalle sembianze di uccello si alternano a tendaggi e costumi di scena e a personaggi di commedie recitate alla fine degli anni Settanta.
Infine, al termine del percorso espositivo lo spettatore è invitato alla fruizione del video della performance, della durata di circa 30 minuti, un vero e proprio racconto per immagini della storia del luogo che rivive attraverso gli occhi di ciascuno di noi.

Il progetto Shkrepëtima – in albanese, “scintilla”, “fulmine” o “sentimento improvviso e intenso” – era anche il nome di una rivista multiculturale, pubblicata negli anni ’70 e ’80 da insegnanti, studenti e attori del villaggio. Prosegue così l’indagine dell’artista sulle radici storiche di Runik, città in cui è cresciuto e dalla quale egli attiva una riflessione sulla forza rigeneratrice dell’arte e sul valore della memoria.

Petrit Halilaj, Shkrepetima, veduta d’installazione, Fondazione Merz, Torino. Foto: Renato Ghiazza

L’intervento riporta all’attenzione non solo la centralità dei luoghi della memoria nella costruzione dell’identità soggettiva, ma anche il loro potenziale significato universale, che può declinarsi in varie forme generando nuove storie e visioni.
Uno degli spunti di riflessione da cui parte l’artista è l’ocarina. A Runik, in seguito ad un intervento di scavi effettuato tra gli anni ’60 e gli anni ’80 sono stati rinvenuti esemplari di epoca neolitica di questo particolare strumento a fiato. Purtroppo dal 1997 gran parte della collezione è conservata presso il Museo di Belgrado e non è mai stata restituita alla città. «L’ocarina è simbolo della nostra identità culturale – sostiene l’artista – uno di quegli oggetti a cui oggi abbiamo accesso solo attraverso le immagini, e a cui io volevo restituire “forma e sentimento”».

Leonardo Bigazzi

Abbiamo avuto l’occasione di ascoltare anche la voce del curatore del progetto, Leonardo Bigazzi, e a lui abbiamo rivolto alcune domande.

Come è nata la collaborazione tra voi per la realizzazione di questo progetto?
Io e Petrit ci siamo conosciuti circa quattro anni fa a Firenze: lui aveva vinto una borsa di studio a Villa Romana, mentre io, in quel periodo, lavoravo per il Museo Marino Marini come curatore. Tutto è nato da un dialogo che è stato poi approfondito per la mostra personale che Petrit stava preparando per Kamel Mennour, sua galleria a Parigi. Da quel momento una semplice collaborazione per il singolo progetto si è trasformata in una bella amicizia e una profonda condivisione di idee e sintonia d’intenti per la produzione e lo sviluppo di progettualità future. Insieme, con modalità differenti, abbiamo vissuto l’esperienza degli eventi espositivi all’Hangar Bicocca di Milano, alla Biennale di Venezia, al New Museum di New York, fino a giungere alla realizzazione del progetto per la mostra dei cinque finalisti del Mario Merz Prize. Petrit vinse il premio e in quel momento mi scelse come curatore di Shkrepëtima.

Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, performance produced by Fondazione Merz and Hajde! Foundation. Foto: Majlinda Hoxha

La figura dell’uccello domestico o migratorio è sempre presente nel percorso creativo di Petrit Halilaj. Perché?
La relazione con gli uccelli ha da sempre caratterizzato la ricerca artistica di Petrit. Simbolo inequivocabile di libertà l’uccello si muove attraverso i confini con leggerezza. In particolare l’uccello migratorio è metafora di spazi percorsi per raggiungere luoghi lontani, o in alcune culture rappresenta il legame tra realtà terrena e dimensione divina. Argomento che Petrit ha potuto approfondire durante la sua recente residenza, in collaborazione con il Dipartimento di Antropologia, presso lo Smithsonian Institution di Washington in cui è custodita una delle collezioni più importanti di copricapi, abiti ed accessori appartenenti a popolazioni indigene di tutto il mondo, realizzati proprio con le piume d’uccello. Esperienza eccezionale che l’artista ha amalgamato alla storia di una canzone della tradizione albanese in cui un piccolo uccello apparendo in sogno trasforma il desiderio umano in realtà. L’uccello presente nel nuovo lavoro di Petrit si ispira al Bee Eater, l’uccello migratorio di Runik con un piumaggio blu, che l’artista fin da bambino andava a osservare in spazi appena fuori dal villaggio dove realizzava il suo nido, nascondendosi nel terreno. Come sempre memoria personale e collettiva nel lavoro di Petrit si uniscono: l’uccello diventa simbolo di forza e capacità ultraterrena nell’ ottenere ciò che gli esseri umani non hanno la possibilità di raggiungere.

Che cosa ti affascina in particolare del suo lavoro e cosa vorresti che il pubblico apprezzasse?
Petrit possiede la straordinaria capacità di intendere l’arte come un impegno reale, ovvero come un dispositivo attivatore di processi di trasformazione che diversamente non potrebbero realizzarsi. In seguito alla performance effettuata presso i ruderi della Casa della Cultura di Runik, questo edificio è stato dichiarato bene d’interesse nazionale dal Ministro della Cultura Kosovara; oggi è sotto tutela e nei prossimi anni sarà sottoposto a un complesso intervento di restauro.
Inoltre penso che Petrit abbia un’eccezionale sensibilità che gli permette di lavorare su piani percettivi molto diversi, partendo da un intimo e totalizzante coinvolgimento emotivo per la sua terra e allargandosi in maniera universale all’intera collettività. E’ un artista dall’entusiasmo contagioso che è stato in grado di coinvolgere nel progetto più di 100 persone, che si sono dimostrate altrettanto felici di prendervi parte.
Ritengo che sia una mostra completa, esito della capacità dell’artista di lavorare con energia su scala monumentale e allo stesso tempo di cimentarsi con altrettanta cura e delicatezza intimista nel segno grafico. Spero che il pubblico entri in empatia con il progetto e si renda conto che l’arte non è intrattenimento, ma è quel motore che può attivare la scintilla di un cambiamento socio-culturale.

Petrit Halilaj, Shkrepëtima, 2018, performance produced by Fondazione Merz and Hajde! Foundation. Foto: Majlinda Hoxha

Uno degli aspetti centrali della pratica artistica di Petrit Halilaj è la volontà di stabilire, attraverso gli oggetti, canali di comunicazione tra individui e creare momenti di condivisione. Qui vi sono oggetti sospesi come tracce di ciò che è accaduto nel passato e monito per chi osserva?
Direi sicuramente che l’artista sente forte l’esigenza di rendere partecipi tutti coloro che si interfacciano con la sua opera siano essi allestitori, attori, fruitori, spettatori; a tutti Petrit spiega le ragioni della propria ricerca artistica e con loro ne condivide gli intenti.

Questa “riattivazione” culturale, attraverso la performance a evocare momenti e storie passate e non più praticabili nello stesso luogo vuole essere un invito a nuove proposte e possibili visioni?
L’intento di Petrit è stato quello di restituire significato a un luogo di fondamentale importanza per la comunità che ha ispirato tutto il suo percorso artistico. Intendeva dimostrare la possibilità di riuscita di un’idea nel momento in cui vi si crede davvero e al contempo ha attivato una riflessione più ampia sulla propria identità culturale e sul significato dell’arte e della cultura nella vita di ciascuno di noi.

Le opere di Petrit Halilaj sono sempre molto complesse nel senso che ciascuna di esse ha più chiavi di lettura, in una dinamica intellegibile che passa dalla realtà al sogno senza soluzione di continuità. Con questo progetto qual è il primo significato che avete pensato di trasferire?
È veramente difficile dirlo in maniera definitiva anche perché i livelli interpretativi e relazionali che sono stati convogliati nel progetto sono molto diversi: emotivi, culturali, personali… Prediligerei l’importanza del potenziale della memoria e del valore dell’arte che ci porta a relazionarci in maniera positiva anche con gli eventi più tragici.

L’arte oggi è uno strumento attivatore di cambiamento nei processi socio-culturali a livello universale. Cosa ne pensi?
Deve esserlo assolutamente. È importante che l’arte oggi sia militante, ovvero luogo d’esperienza di vita condiviso.

 

Petrit Halilaj. Shkrepëtima  
un progetto del vincitore della 2° edizione del Mario Merz Prize
a cura di Leonardo Bigazzi

29 ottobre 2018 – 17 febbraio 2019

Fondazione Merz
via Limone 24, Torino

Info: +39 011 19719437
info@fondazionemerz.org
www.fondazionemerz.org

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