NAPOLI | PAN – Palazzo delle Arti Napoli | Fino al 28 giugno 2015
Intervista a MARCO BOLOGNESI di Micole Imperiali
Dopo le precedenti tappe presso il Kunst Meran e lo spazio Abc di Bologna, la mostra Sendai City. Alla fine del futuro dell’artista Marco Bolognesi (1974) conclude il suo percorso approdando al PAN Palazzo delle Arti Napoli. Un’immersione nel complesso mondo in continua evoluzione creato dall’artista, che mette insieme cyberpunk e passato mitico, fantascienza sociale e memoria culturale, in una personalissima visione di un futuro, forse, non così lontano. Lo abbiamo intervistato, per addentrarci insieme a lui nell’universo Sendai.
Ci sono elementi del passato nelle tue opere. Penso ad Astronave Mockup che sembra una sorta di cattedrale spaziale. Come vive il passato nel futuro da te segnato?
Amo molto lavorare sul concetto di passato: solo dalla conoscenza della nostra memoria possiamo costruire il nostro futuro. Non è un caso che quest’astronave assomigli ad una cattedrale gotica, essendo molto legato a quel tipo di architettura. La nascita di un’opera esprime un legame tra l’artista ed il suo fare arte che può essere illustrato concettualmente, ma anche attraverso aspetti della propria storia personale.
Nelle varie versioni di Sendai è sempre notte. A cosa associ il buio nel tuo universo cyberpunk?
Il nero di fondo è comune a molte mie opere, sia fotografiche che pittoriche. Esso mi serve per rappresentare la mancanza di conoscenza, che da una parte può essere spaventosa, ma dall’altra intrigante nella spinta data dal desiderio di affrontare, conoscere.
Lasciare in scuro tutto l’attorno è il mio modo di porre in luce e focalizzare l’attenzione su oggetti, personaggi e paesaggi che emergono nella mia realtà. Il mio mondo è un work in progress, un puzzle, un’alchimia in cui metto insieme diversi elementi creando un universo riconducibile al cyberpunk, una filosofia legata al post-umano, all’universo della genetica che però non si esaurisce in essi, il resto, l’altro non è ancora dato vedersi.
Sendai è una metropoli definita da elementi filiformi che la fanno sembrare un essere animato, come una trasposizione in chiave tecnologica della vegetazione che se lasciata libera di crescere rivendica il suo primato sull’uomo e sull’asfalto.
Nella mia visione artistica Sendai City è una città che si trova sopra il nostro mondo. Noi umani siamo degli shape, delle forme, e serviamo perché produciamo memoria liquida, cosa possibile attraverso la nostra esperienza. Alla nostra morte la memoria liquida, che abbiamo prodotto, viene utilizzata come energia per far vivere Sendai City. I tubi ai quali ti riferisci contengono proprio questa linfa, che permette ai palazzi di nascere e crescere come piante, il tutto governato dal Grande Cervello signore e deità di Sendai City. Questo racconto inizia con la graphic novel cyberpunk “Protocollo” (Einaudi, 2009), scritta con Carlo Lucarelli, e prende forma e corpo nel libro-catalogo della mostra “Sendai city” (NFC Edizioni). Si tratta di una città dove ogni cosa è controllata e i cui abitanti vedono e sentono solo quello che il Grande Cervello, e tutto il suo apparato, gli permette di vedere e sentire. Questa mia concezione costituisce una denuncia delle trasformazioni a cui siamo sottoposti e delle manipolazioni che trasformano la nostra percezione del mondo e di ciò che viviamo. È per questo che affermo che la realtà non esiste.
Parliamo ora delle tue donne-soldato. Perché sono solo le donne a rappresentare la giustizia cyborg? C’è un contrasto tra il concetto di bellezza femminea, associato al bene, e una giustizia invece impietosa?
Le donne-soldato appartengono al progetto “Babylon Federation”. Vennero pensate nel 2004 quando nacque uno scandalo sulle armate anglo americane mandate in Iraq. Risultò che queste militari, mandate in terra straniera per portare la democrazia contro la tirannide, si scattavano dei selfie in cui apparivano nude, armate e paurosamente onnipotenti. Iniziai così a pensare al rapporto malato tra sesso e morte, al desiderio di guerra e agli insani comportamenti che suscita. Ho pensato di realizzare le mie soldatesse ispirandomi ai generali che Enrico Buy fece nel periodo della guerra in Vietman. In “Babylon Federation” i corpi femminili diventano tele su cui incollare elementi e costumi militari: spille, medaglie e bottoni.
Questo è il corpo di armata di Sendai City: da una parte una denuncia della guerra, dall’altra l’uso del corpo femminile come tela e punto di partenza da cui guardare la società.
Ci parli invece di Ligatum gemini e Corpus Astralis, le donne il cui fisico è percorso da arti e teste di bambola?
Si tratta di foto fatte nel 2011 per la Biennale Italia-Cina lavorando sul concetto di mutazione a vari livelli. Anche qui ho utilizzato il giocattolo – la bambola – concependolo come espressione dell’infanzia. Legare questi due elementi attraverso il collage rappresenta una riflessione sulla genetica e le sue estremizzazioni, e sul concetto di nascita e procreazione. Ne deriva una realtà dal carattere esplosivo, a tal punto che non c’è più un distinguo tra il bambino e la madre, ma una fusione totale in un corpo unico e nuovo. Nascono esseri mutanti che ricordano i bestiari medievali e i popoli mitici raccontati da Marco Polo.
C’è una speranza nel futuro che tracci?
Ho creato un mondo distopico, basato sulle “malformazioni” della nostra realtà come monito. Raccontare le proiezioni future di queste problematiche è discutere quelle contemporanee, concependo il fare politica dell’arte come analisi del sociale.
Marco Bolognesi. Sendai City. Alla fine del futuro
a cura di Valerio Dehò e Massimo Sgroi
promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.
5 – 28 giugno 2015
PAN – Palazzo delle Arti Napoli
Via dei Mille 60, Napoli
Orari: lunedì – da mercoledì a sabato 9.30 – 19.30
domenica 9.30 – 14.30
Info: +39 081 795 8604
www.palazzoartinapoli.net