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FINALBORGO (SV) | Complesso Monumentale di Santa Caterina | Fino al 29 febbraio 2020

Intervista a RICCARDO ZELATORE di Francesca Di Giorgio

La linea analitica della linea, chiude (e apre) un anno che ha visto Riccardo Zelatore al timone del programma di mostre temporanee del Complesso Monumentale di Santa Caterina. La mostra, in corso fino al prossimo 29 febbraio, nelle sale dell’Oratorio Dè Disciplinanti a Finalborgo (SV) propone un confronto su alcune figure chiave della pittura internazionale – Dorazio, Iacchetti, LeWitt, Minoli, Nigro, Taini, Tremlett – e racconta come anche in una Liguria non troppo (o quasi per niente) orientata al contemporaneo si possono cogliere occasioni per rimettere al centro dell’attenzione spazi espostivi non sempre valorizzati al meglio, artisti e pratiche curatoriali che non hanno bisogno di grandi centri per legittimare la loro esistenza.
In questa intervista al curatore si parla sinceramente di cosa c’è dietro ad un progetto espositivo prendendosi il lusso solo di sfiorare discorsi incentrati su economia e mercato dell’arte, riposizionando la scala di valori su cui si basano progetti culturali…

Veduta della mostra “Bruno Munari artista a 360 gradi”, Complesso Monumentale di Santa Caterina, Finalborgo (SV). Foto: Fulvio Rosso

Cinque le mostre realizzate fino ad ora a Finalborgo con protagonisti, tra gli altri, Bruno Munari, Attilio Antibo, Bart Herreman, Marcello Campora… Come hai composto il palinsesto e quali scelte sono state fatte rispetto allo spazio espositivo e alle “risorse” a disposizione?
La mia idea di programma espositivo è normalmente fondata sul presentare l’incontro di idee artistiche anche geneticamente differenti, non vincolate alla commerciabilità. Non vuole essere una vetrina votata alla conferma, quanto una costante interrogazione sulle possibilità dell’atto creativo, all’analisi della sua identità, al gioco dialettico dell’esperienza e del sapere. Questi gli assunti sui quali da sempre poggia il mio impegno nel settore della cultura, che nasce di fatto dalla passione e da un’osservazione attenta di quanto oggi esiste nel sistema dell’arte.
Mi piace pensare alle occasioni espositive come momento di riflessione, di riconsiderazione di opere, di scelta di lavori, di focalizzazione di valori contemporanei caratterizzati da un approfondimento e non consegnati al conformante obbligo dell’evidenza ai media cui la globalizzazione ha condotto.
Proprio in seguito a queste notazioni, vorrei emergesse un certo amore per l’arte, un’arte che tende a non conoscere il tempo e che si pone come elemento di una continua e vitale ponderazione, di accompagnamento quotidiano, di intelligenza e stimolo al fine di mantenere aperti gli orizzonti sul futuro.
Da qui il palinsesto per il primo anno all’Oratorio Dè Disciplinanti che, nell’intento condiviso con l’Amministrazione Comunale, voleva e vuole essere un modo per tracciare un percorso di riqualificazione e riposizionamento, almeno nel circuito nazionale, di un contenitore culturale che, pur suggestivo e attrattivo, negli ultimi anni aveva perso identità e valore.
Si è cercato di attraversare varie discipline espressive – pittura, scultura, installazione, fotografia, editoria – alternando o mettendo in dialogo autori storicizzati e ricerche contemporanee, senza trascurare giovani e giovanissimi che ci danno la misura della ricerca attuale. Quasi sempre, laddove possibile con gli artisti viventi e selezionando al meglio i lavori per i maestri scomparsi, cerchiamo di progettare l’evento espositivo in stretta relazione con gli spazi fisici e le sale sui due piani dell’Oratorio, tentando anche di offrire i corretti supporti didattici e filologici. Certo, le misuratissime risorse disponibili non agevolano il compito, ma è altrettanto vero che implementare una mostra senza troppi vincoli economici non sarebbe per me così stimolante e sono convinto che si possano creare progetti interessanti senza necessariamente disperdere eccessive energie materiali. Infine, da sempre, rinuncio volentieri a finanziamenti di parte pur di tutelare la mia libertà nelle scelte e la mia autonomia intellettuale.

Veduta della mostra “Doppio gioco. Bart Herreman e Marcello Campora”, Complesso Monumentale di Santa Caterina, Finalborgo (SV). Foto: Bart Herreman e Marcello Campora

Tra le mostre organizzate a Finalborgo, La linea analitica della linea, rappresenta per te un costante campo di ricerca… Ci racconti come nasce il tuo interesse per la “Linea analitica dell’arte moderna”, citando il saggio di Filiberto Menna?
Le mie indagini, soprattutto nel campo della pittura, si concentrano solitamente sugli aspetti metodologici della ricerca artistica, sul loro sviluppo temporale e particolare attenzione è dedicata al verificare l’aderenza tra pensiero e opera, alla concezione individuale, o ancor meglio, personale del fare arte. Un rigore di metodo, come lo aveva definito Giovanni Maria Accame, che mi e ci ritorna riflessioni, analisi introspettive, volontà di perseguire le componenti primarie del fare pittura, di appropriarsi in forma cosciente di una pratica data per superata da tempo, che tuttavia si ripresenta quotidianamente nel lavoro di tanti, nella sua vitalità e nella sua indispensabilità.
Come ha scritto Marco Meneguzzo per il catalogo della mostra in corso “La linea analitica della linea” […] L’assunto critico era – è – che esistesse un filone dell’arte, riscontrabile in molte tendenze anche molto diverse tra loro, legato all’indagine razionale degli strumenti del fare arte, e anche dell’essere artista. Linea analitica, dunque, di contro alle tendenze sintetiche, emotive, pulsionali, che sono sempre state viste come preponderanti nei linguaggi dell’arte, complice anche il luogo comune che vede l’artista essere tale senza che lui stesso sappia esattamente il perché, e l’opera d’arte come il risultato di un’intuizione geniale, ma sostanzialmente non analizzabile…[…].
Al contempo, mi interessa approfondire tutto ciò che aiuta a capire quanti momenti di vita possono essere contenuti in un segno che attraversa la tela o un foglio bianco, nell’inseguire la luce o ascoltare il silenzio, nell’ossessiva ma pacata ricerca di poche tracce dipinte. Ne risulta un piacere sottile nell’assistere alle trasformazioni di un artista, di un uomo e del suo lavoro. Vederlo cambiare, vivere, diventare altro. Un modo prezioso per farsi un’idea di quanto mondo possa fluire sotto la superficie di un’opera d’arte.

Veduta della mostra “La linea analitica della linea”, Complesso Monumentale di Santa Caterina, Finalborgo (SV). Foto: Bart Herreman

Per tutte le mostre realizzate hai attivato una bella rete di collaborazioni su più fronti…
Credo da sempre nel lavoro di squadra e una certa maturità anagrafica – frequento il mondo dell’arte da quasi trent’anni – sebbene non di comfort in alcune circostanze, mi concede oggi il privilegio di poter contare su tante relazioni e collaborazioni che ho cercato nel tempo di non deludere. Sono sempre stato sensibile e disponibile alle sinergie con i critici, con le istituzioni pubbliche e private, con le fondazioni e le associazioni culturali, con i galleristi, con gli operatori e gli appassionati. Questo mi permette di condividere risorse sia nella fase di preparazione della mostra, soprattutto per quanto attiene la comunicazione, la progettazione grafica, l’editing di un catalogo o la predisposizione di materiali di allestimento, sia nella stesura di contributi critici o storiografici, nonché nella logistica e nella disponibilità dei prestiti delle opere, che abitualmente provengono da collezioni private, da gallerie e fondazioni di arte contemporanea. Vero che sempre vale il vecchio adagio “chi fa da sé fa per tre” e, per natura, sono piuttosto preparato a risolvere in autonomia le varie questioni, ma è sempre occasione di crescita personale il poter e saper condividere le differenti prospettive di un progetto espositivo. Inoltre, non sono votato a sodalizi unilaterali e ritengo che la pluralità dei contributi e delle collaborazioni possa aiutare a mantenere la giusta motivazione.

Veduta della mostra “La linea analitica della linea”, Complesso Monumentale di Santa Caterina, Finalborgo (SV). Foto: Bart Herreman

Ingegnere di professione, collezionista, curatore. Come ti sei mosso in questi anni attraverso dimensioni diverse e, sotto certi aspetti, complementari? Ritieni ci siano state delle tappe fondamentali che hanno caratterizzato il tuo percorso?
Provo a procedere con ordine: la formazione scientifica e la mia professione mi hanno portato a coniugare una passione, quella per l’arte, con il desiderio di sperimentare in quest’ultimo ambito esperienze organizzative e manageriali che ho maturato altrove. Questo mi ha permesso di rimanere relativamente lucido e razionale nelle scelte curatoriali e nella pragmaticità operativa. Ho iniziato da collezionista, poi mi sono dedicato allo scrivere d’arte, ho conosciuto artisti, critici, galleristi, collezionisti e ho deciso di provare a portare un contributo personale alla causa dell’arte. In fondo, nulla di originale, un percorso che ho ritrovato in altre figure del settore che, prima di me e con me, si sono dedicate alle arti visive. Nodali certamente alcuni incontri, sia con galleristi, storici dell’arte e con alcuni artisti, che mi hanno permesso di apprendere molto e capire quello che doveva e poteva essere il mio approccio all’arte. Prendo a prestito una frase di un caro amico scomparso, sodale di tanti artisti, che sovente diceva “Riccardo, le persone come noi con collezionano le opere, collezionano gli artisti” alludendo all’importanza dei valori umani e relazionali che chi frequenta in modo onesto questo mondo può spartire con persone straordinarie. Mi permetto, in questa occasione, di ricordare solo pochi nomi di persone che ci hanno lasciato e che hanno segnato in modo particolare sia la mia esperienza nell’arte sia la mia crescita di uomo. Tra i galleristi, il mio primo mentore è stato Rinaldo Rotta e, su tutti, sono tre gli artisti a cui devo molto: Attilio Antibo, Paolo Minoli e Gianfranco Pardi. Da loro ho imparato tanto, sebbene sia stato breve il tempo concessomi dal destino. Ho preso a prestito quanto più ho potuto, una frase, un’inclinazione, un’immagine, un autore, la loro generosità e la loro prossimità all’essere autentici. Qualcuno ha già scritto “…ci sono incontri che sembrano terminare ma che non finiscono mai…”.

Veduta della mostra “La linea analitica della linea”, Complesso Monumentale di Santa Caterina, Finalborgo (SV). Foto: Bart Herreman

Guardiamo al futuro… Sarai ancora tu per il 2020 al timone della programmazione mostre del Complesso Monumentale di Santa Caterina?
Se è vero che l’intento di questo mio programma è stato ed è il portare un intervento qualificante sia sul piano della testimonianza culturale, sia su quello di una diretta fruizione, va da sé che la risorsa tempo giochi un ruolo fondamentale. Si è così condivisa con il Comune di Finale Ligure l’opportunità di coordinare anche il programma espositivo di quest’anno. La linea strategica rimane pertanto coerente con le premesse e il piano lavori procede con ulteriori quattro esposizioni che saranno allestite a partire dal mese di marzo sino a dicembre, salvo alcune brevi interruzioni che l’Amministrazione aveva già consolidato per altre manifestazioni, non necessariamente legate alle arti visive. Se mi è concesso, anticipo le prossime mostre almeno in termini di tematiche trattate e medium considerati. Insisteremo sulla trasversalità dei mezzi espressivi e in almeno tre degli appuntamenti, in forma di collettiva, saranno messi in dialogo pittura, scultura, installazione su assunti tematici che vanno dal rilievo e dalla piega nell’arte, all’immaterialità, al gioco. Concluderemo il 2020 con una rassegna a cui tengo molto, che proporrà, in collaborazione con l’architetto Marco Ciarlo, il lavoro di dieci fotografi contemporanei sull’area delle ex vetrerie SAVAM di Altare, a documentare l’interesse, sempre presente nelle nostre intenzioni, per il territorio ligure.

 

La linea analitica della linea. Piero Dorazio, Paolo Iacchetti, Sol LeWitt, Paolo Minoli, Mario Nigro, Lorenzo Taini, David Tremlett

a cura di Riccardo Zelatore
catalogo con testo critico di Marco Meneguzzo

Fino al 29 febbraio 2020

Complesso Monumentale di Santa Caterina
Oratorio Dè Disciplinanti
p.za Santa Caterina, Finale Ligure (SV)

Info: +39 019 680954

orari: dalle ore 15:00 alle ore 20:00

lunedì chiuso – ingresso libero

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