Non sei registrato? Registrati.
ROMA | GALLERIA BORGHESE | FINO AL 15 SETTEMBRE 2024

di MATTEO DI CINTIO 

In una bella monografia di qualche anno fa dedicata a Sigmund Freud (Freud. La passione dell’ingovernabile, Feltrinelli, 2019) Silvia Lippi, psicoanalista lacaniana, postula due declinazioni di quell’altra scena della nostra realtà psichica chiamata inconscio. Coadiuvata dai precipui contributi di Claude Levi-Strauss, Gilles Deleuze e Felix Guattari, nonché dall’ampliamento apportato da Lacan alla teoria freudiana, l’autrice scardina la stagnazione del concetto di inconscio, ridotto archeologicamente dalla vulgata a un sedimento di tracce mnestiche, miti e impulsi dell’individuo, o a un teatro, direbbe Deleuze, del proprio dramma familiare. Chi, in fondo, non ha mai sentito parlare del complesso di Edipo? Di quella historiole che sancisce la differenza fra i sessi e le generazioni? Lippi ha la capacità di destrutturarne la portata fantasmatica per disvelarne i meccanismi strutturali. L’inconscio è anche macchinico, capace sì di fissarsi su una scena primaria, di irrigidire (e fissare) le pulsioni, ma anche di modellarsi, di avallare la natura plastica della propria produzione. A chi storce il naso per l’utilizzo di un termine che echeggia il lavorio acefalo del capitalismo, rispondiamo subito in tal modo: la “produzione” di cui parliamo non ha niente a che fare con l’economia messa in campo dalla società odierna, votata al bisogno urgente dell’oggetto e alla parcellizzazione del godimento umano. Produzione, in questo caso, significa che l’inconscio mantiene «il suo statuto di “non-realizzato”». L’inconscio è una macchina desiderante, pulsionale, aperta all’inventiva, all’inedito, alla mobilità della libido. Non s’immobilizza nelle maglie del passato, ma del passato sa cogliere le spinte germinative per la realizzazione del futuro.

Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria, Installation View, Galleria Borghese. Ph. A. Osio. © The Easton Foundation/Licensed by SIAE 2024 and VAGA at Artists Rights Society (ARS)

Questa lunga riflessione iniziale ci proietta in medias res nella bella mostra che Galleria Borghese ha dedicato a Louise Bourgeois, Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria (21 giugno – 15 settembre 2024), la prima esposizione romana dell’artista franco-americana, nonché la prima mostra dedicata a un’artista contemporanea donna negli spazi della villa Borghese Pinciana. Le venti opere scultoree che costellano il percorso espositivo e che intessono un dialogo tensivo con la collezione barocca della Galleria realizzano proprio la duplice declinazione dell’inconscio detta poc’anzi: nell’opera di Louise Bourgeois sembrano convivere, confondendosi in maniera pregnante, due dinamiche inconsce, una archeologica, legata alla memoria, al rinvenimento delle tracce (traumatiche o meno) dell’alveo familiare; una “produttiva”, che materializza l’insistenza dell’inedito già tra le pieghe della relazione primaria. Proviamo a seguire queste due dinamiche, tenendo conto che la memoria, per la Bourgeois, diviene essa stessa produzione.

Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria, Installation View, Galleria Borghese. Nella foto: Passage Dangereux. Ph. A. Osio. © The Easton Foundation/Licensed by SIAE 2024 and VAGA at Artists Rights Society (ARS)

Inconscio memoria
Nel 1932 Louise, poco più che ventenne, perde la propria madre, a seguito di complicanze dovute all’influenza spagnola. L’evento altamente traumatico, dato il profondo legame che intercorreva fra madre e figlia, irrompe come uno spartiacque nella vita dell’artista: dopo un tentativo di suicidio, abbandona gli studi di matematica e intraprende la formazione artistica presso l’Académie des Beaux-Arts. La chiamata dell’Arte arriva proprio sul declivio di una vicenda familiare disseminata di tradimenti, abbandoni, inganni e morte. Il trauma s’incista nell’esigenza espressiva di Bourgeois come una ripetizione da contenere, ripensare, rimodellare. Il percorso installativo ideato da Cloé Perrone e curato da Geraldine Leardi e Philip Larratt-Smith pone in evidenza proprio questo aspetto: sembra necessario, per l’artista, bordare il nucleo traumatico della propria relazione primaria, accogliendo le tracce di ciò che l’Altro materno le ha donato, con compassione (cum patior) e desiderio. La madre di Bourgeois era una restauratrice di arazzi. Proprio l’elemento tessile insorge con insistenza nella scultura di Bourgeois per sagomare l’espressività emotiva della serie di sculture di volti esposta nella Sala degli Imperatori. I ritagli di arazzi dalle fantasie floreali e geometriche che compongono le opere non impattano sulla visione solo per la loro forza materica, e per quel vago sentore naïf che donano alle teste in questione un carattere istintivo e primitivo. I pezzi di stoffa si caricano di una forza espressiva volta al recupero di un’emotività dispersa, soffocata dal silenzio assordante del trauma. I loro occhi vacui e le bocche semiaperte simulano l’attrito dell’uomo con quel reale traumatico che, direbbe Jacques Lacan, è impossibile a dirsi, una faglia nell’ordine Simbolico. Ed è proprio il ricorso al simbolo ad alimentare la scultura Spider (1996), posta nel Giardino della Meridiana: il grande ragno di bronzo non è che la realizzazione materica del materno, rimando a quell’atto dell’intessitura che si configura sì come elemento biografico (il lavoro della madre) ma anche e soprattutto come restituzione di un “legame” perduto, un “intreccio affettivo” che il tempo non disfa. La tema della memoria è anche al centro dell’installazione Passage Dangereux (1997): la vita, sembra suggerirci Bourgeois, nel suo discorrere incessante, nel suo tramutare una bambina in donna, non fa che coagulare istanti, tracce, oggetti intrisi di una significanza affettiva. La vettorialità direzionale del passaggio si scontra col taglio senza tempo dell’evento, che ingabbia il percorso in un circuito chiuso, ove l’Altro familiare ingombra e invade il nuovo. Anche la scoperta del sesso non è che contorniato dagli sguardi indiscreti della memoria. Vivido è il richiamo a ciò che Jean Laplanche chiamava Sexuale, quel fenomeno “antropologico fondamentale” per cui la genesi pulsionale nell’infans è creato dal messaggio enigmatico che l’inconscio adulto “inietta” nel suo corpo, messaggio parassitario contaminato dal sessuale.

Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria, Installation View, Galleria Borghese. Nella foto: Topiary. Ph. A. Osio. © The Easton Foundation/Licensed by SIAE 2024 and VAGA at Artists Rights Society (ARS)

Inconscio produzione
Se la memoria, come abbiamo visto, è esigenza di ripetizione, come possono articolarsi fra loro memoria e apertura al nuovo? Per usare le parole di Massimo Recalcati: «come può l’atto creativo essere generativo […] se non può prescindere dal vincolo della ripetizione alla quale ogni soggetto è consegnato?». L’opera di Louise Bourgeois ci insegna che non basta un gesto archeologico a strutturare l’operato artistico: il lavoro di “taglia e cuci” dei ricordi e dei frammenti traumatici del familiare è solo il punto di partenza per “assemblare il nuovo”, per ardimentare quelle forze inconsce produttive che permettono al passato di disancorarsi dalle maglie perturbanti del trauma e di installarsi in un processo di riappropriazione del sé, della propria corporeità, della propria femminilità. Il femminile è colto da varie angolazioni, che vanno dal senso di concordanza/discordanza con il sesso maschile all’analisi di una voluttà femminea non ingombrata dalla presenza fallica. Se la serie dei Jani (1968) sedimenta nel richiamo al dio classico degli inizi e delle transizioni la lotta spietata fra i sessi, Spiral Woman (1984) cristallizza nel motivo della spirale l’ingovernabile del godimento al di là del fallo.

Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria, Installation View, Galleria Borghese. Nella foto: Topiary. Ph. A. Osio. © The Easton Foundation/Licensed by SIAE 2024 and VAGA at Artists Rights Society (ARS)

La scultura in marmo Topiary (2005), invece, recupera il tema della metamorfosi per riflettere un passaggio dalla giovinezza alla maturità non più osteggiato dalla recrudescenza del trauma. Produttiva è inoltre la possibilità di instaurare relazioni inedite con l’Altro: le sculture dedicate all’amico e assistente Jerry Gorovoy assurgono a metafore di una alleanza con la vicinanza di un corpo nuovo, ed esprimono un senso profondo di intimità e protezione. Una particolare attenzione merita The Last Climb, penultima Cell dell’artista franco-statunitense. In contrapposizione con il passaggio pericoloso all’adultità, questa installazione contempla il fine vita come un’apertura verso un oltremondo, costellato da sferiche emanazioni di forze e caratterizzato da un’ascesa spiraliforme. La contemplazione mistico-religiosa che permea l’installazione sembra produrre un disgabbiamento dalla propria inquietudine e mira al cuore, al fondo delle molteplici vicissitudini della vita. C’è sempre il germe del riscatto nelle traversie del proprio passato: basta coglierlo, come ha fatto Bourgeois, per cambiare il proprio destino.

Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria, Installation View, Galleria Borghese. Nella foto: The Last Climb. Ph. A. Osio. © The Easton Foundation/Licensed by SIAE 2024 and VAGA at Artists Rights Society (ARS)

Louise Bourgeois. L’inconscio della memoria
a cura di Geraldine Leardi e Philip Larrat-Smith

21 giugno – 15 settembre 2024

Galleria Borghese
piazzale Scipione Borghese 5, Roma

Info: T +39 06 67233753
ga-bor@cultura.gov.it
galleriaborghese.beniculturali.it

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •