TRENTO | SEDI VARIE | 17 dicembre 2023 – 30 giugno 2024
di ISABELLA FALBO
La mostra Sciamani. Comunicare con l’invisibile ha tutte le caratteristiche per passare alla storia come una mostra epocale, e non solo perché esplora uno dei temi più affascinanti della storia umana: lo sciamanismo. Il grande progetto espositivo multidisciplinare ruota attorno alla Collezione di Arte Sciamanica della Fondazione Sergio Poggianella (FSP), che, allo stato attuale con i suoi oltre cento reperti datati fra l’inizio del XIX e la metà del XX secolo, appare sia a livello qualitativo che quantitativo la più ricca al mondo. La mostra è il risultato della collaborazione dei tre più importanti musei del Trentino – Il METS – Museo etnografico Trentino San Michele, il MUSE – Museo delle Scienze di Trento e il MART – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto – che per la prima volta hanno lavorato insieme contribuendo ciascuno con le proprie specificità e competenze, coniugando antropologia, archeologia, arte sciamanica e arte contemporanea.
La mostra Sciamani. Comunicare con l’invisibile conferma e apre alla riflessione sulla nostra temperie culturale, pronta ad accogliere argomenti esoterici che divengono essoterici e conoscenze fino a poco tempo fa destinate a pochi che trovano spazio per una grande circolazione pubblica.
Sciamani dunque apre alla possibilità del grande pubblico di approcciarsi e familiarizzare con lo Sciamanismo, pratica transculturale comune a tutte le pratiche spirituali, risalente a 20/30 mila anni fa. Il termine deriva dalla Siberia, area di provenienza della maggior parte degli oggetti della Collezione, che nello specifico sono originari dalla Jacuzia, regione situata nella Siberia Orientale, e dal lago Baikal, nella siberia Meridionale, oltre a reperti dalla Mongolia e piccoli nuclei di provenienza tibetana e del Sud-Est Asiatico.
La sezione Sciamani al METS, a cura di Sergio Poggianella, Michaela Sposito e Luca Faoro, si caratterizza per tre aspetti: téchne, spirito, idea, che danno origine al sottotitolo di questa sezione di mostra. Téchne come Tecnologia manuale, capacità di inventare soluzioni semplici a problemi complessi; spirito: il collegamento con qualcosa di trascendente; idea: il collegamento con la capacità inventiva dell’artista.
All’interno di un edificio, ex monastero agostiniano con nove secoli di storia, qui il percorso espositivo si caratterizza per l’allestimento molto stimolante, contestualizzato all’interno di 6 delle 42 sale del museo, e nel chiostro, che mette in stretto dialogo il luogo, gli oggetti sciamanici e le opere di 11 artisti contemporanei: Adolf Vallazza, Luca Pojer, Pietro Weber, Denis Riva (Deriva), Andrea Marinelli, Federico Lanaro, Bruno Norbu Griparich, Piermario Dorigatti, Andrea Tagliapietra, Paolo Dolzan e Elias Grüner.
La visita comincia dalla sala iniziale del percorso classico museale, la Sala dell’Agricoltura che rappresenta l’attività principale del territorio alpino, con l’utilizzo delle risorse naturali dei campi, dei prati e dei boschi – come spiega il direttore Armando Tomasi – qui troviamo tre opere degli artisti contemporanei locali Adolf Vallazza, Luca Pojer e Pietro Weber, che utilizzano, non a caso, il legno come materia prima.
Lo sciamanismo è strettamente connesso alla natura, e ai suoi spiriti, qui dunque un tipico copricapo sciamanico a “veletta”, di etnia Khalkha, Nord Mongolia, prima metà del XX secolo, oggetto facilitatore del raggiungimento della trance sciamanica – è posto in dialogo con Maschera, 1999 e Maschera, 1994, di Adolf Vallazza e Citipati mask, 2023, di Pietro Weber.
Trasfigurazione, 2022, di Luca Pojer, realizzata scolpendo una radice affiorata di un cirmolo, riconduce a una delle pratiche di guarigione sciamanica più affascinanti: il recupero dell’anima.
Il percorso prosegue nella Sala del Mulino, dove si vuole rappresentare “ciò che scorre”. Qui trovano posto due opere che rappresentano il concetto della dinamicità, del fluire delle cose Limbato, 2022, di Denis Riva (Deriva) e il dittico Reinassance. Shamanic Dance, 2017, di Andrea Marinelli.
La creatività è un aspetto essenziale per lo sciamano che è considerato, in primis, un artista. Mai uguale a se stessa, la sua modalità di operare può essere associata alla performance artistica. Lo sciamano nella pratica e funzione di cura utilizza la propria gestualità, il proprio costume e i propri oggetti di potere in maniera del tutto estemporanea, a seconda del circostanza, così come un artista crea la propria, unica, opera d’arte.
Del giovane artista viennese Elias Grüner, Wolken, 2023, una nuvola di lana grezza con inserti di oro, appare come lo stato naturale della vita terrena dell’uomo, qui, nel “mondo di mezzo”: faticosa e pesante ma con aneliti verso uno stato più evoluto, spirituale e divino.
All’interno della Sala della Segheria, caratterizzata da una grande macchina ad acqua detta segheria veneziana, sono state contestualizzate opere che parlano di trasformazione: il grande dipinto Minotauro, 2016, di Paolo Dolzan; In-Visibile, 2019, il piccolo ma potente dipinto di sciamano che suona il tamburo di Andrea Tagliapietra e Baccanale, 2019, il fluido agglomerato di forme e colori di Piermario Dorigatti. In dialogo oggetti sciamanici quali tamburi, cembali e tre maschere in bronzo, che presentano una grande perizia e cura del particolare.
All’interno della Sala Carri e Slitte, Cavallo rosso, 2020, il poetico dipinto di Federico Lanaro che rappresenta cavalli rossi in mezzo a una foresta innevata, dialoga con oggetti sciamanici realizzati con le crine di questo animale: ogni oggetto della vita quotidiana delle popolazioni che abitano nella steppa, oltre alla funzione utilitaristica, ha lo scopo di ingraziarsi divinità in grado di aiutarli nella sopravvivenza in condizioni estreme o tenere lontani spiriti cattivi che potrebbero minacciare l’esistenza.
Nella Sala delle Fibre Tessili in mostra feltri di provenienza mongolica, centro-asiatica, datati tra la fine del XIX e l’inizio del xx secolo. Quella del feltro – sostanzialmente lana compattata molto calda e impermeabile – è una techne, vale a dire una capacità artigianale di grande valore culturale e artistico.
La sezione di Sciamani al METS termina nel chiostro con una iurta della prima metà del XX secolo, di provenienza del Turkmenistan. Al suo interno pezzi originari di provenienza centro asiatica rendono l’idea di come poteva presentarsi l’ambiente interno di queste abitazioni nomadi per eccellenza.
Parte integrante della mostra il video documentario “Dialoghi con l’antropologo Sergio Poggianella” di Nicolò Bongiorno, proposto anche a Palazzo delle Albere.
“Chi da valore all’oggetto è la cultura di riferimento. L’arte sciamanica, dal mio punto di vista, cerca di esprimere l’inesprimibile”, dichiara Sergio Poggianella, il cui intento è far sì che gli oggetti della sua collezione dialoghino con l’arte occidentale, seguendo la proposta dei futuristi Balla e Depero nel loro manifesto “Ricostruzione futurista dell’Universo” di espandere l’arte in tutte le direzioni.
La seconda e terza sezione della mostra Sciamani. Comunicare con l’invisibile è ospitata al Palazzo delle Albere. Al primo piano la sezione a cura di Elisabetta Flor e Luca Scoz per MUSE – Museo delle Scienze di Trento, si apre con una grande mappa per contestualizzare l’area di provenienza dei reperti della Collezione Sergio Poggianella (FSP) in esposizione, e una “linea del tempo”, che restituisce dal punto di vista eurocentrico e quindi cristiano-centrico una visione storica – purtroppo dispregiativa – verso queste figure e la loro funzione, che nel migliore dei casi venivano interpretate come il “buon selvaggio”. Visone che in anni recenti è decisamente mutata, e vede sempre un maggior numero di persone avvicinarsi a queste pratiche, per accedere ai mondi invisibili con lo scopo di portare armonia ed equilibrio in questa realtà.
Come spiega il curatore Luca Scoz “il tratto centrale che caratterizza i reperti della Collezione sono i costumi”, e in ogni stanza è esposto un costume.
Ogni sciamano crea il proprio costume, così come il proprio tamburo ed altri strumenti di potere, attraverso un processo rituale e in base alla sua visone. Questi due elementi lo distinguono e lo caratterizzano.
Il costume dello sciamano nasce da “una raccolta di tutto ciò che lo sciamano trova, con la funzione di collegare il materiale con lo spirituale: penne di gallo cedrone, cranio di bovino, zanna di cinghiale, tutti animali di quei contesti territoriali”.
I costumi contengono dunque il paesaggio del territorio e ci mostrano le scelte fatte appunto dallo sciamano, che ha richiamato questi animali per acquisirne dei poteri.
Molti costumi presentano “frange” chiamate serpenti dagli antropologi, attivate dallo sciamano con il movimento, campanelle, specchietti.
Ogni elemento è simbolico e tutte le persone ne riconoscono il significato, ad esempio il rumore dei campanelli è lo scorrere dell’acqua del torrente, quello delle frange il vento.
Come spiega Luca Scoz, “questo si ricollega a un tema caro al MUSE che è quello dell’Antropocene. Diversamente, queste pratiche tradizionali, dove la natura viene sempre vista come qualcosa di cosciente diventano una forma di ecologia”.
Nella visione sciamanica ogni elemento della natura ha una propria identità, una propria coscienza, non è vista in modo utilitaristico.
Gli oggetti d’arte sciamanica conferiscono un grande potere allo sciamano, la loro estetica non è mai fine a se stessa, ma sempre connessa alla funzione.
Lo sciamanismo ha caratteristiche enormemente diverse a seconda delle aree geografiche.
In questi contesti geografici (area centro asiatica) gli sciamani, oltre all’utilizzo performante dei costumi, accedono agli stati alterati di coscienza attraverso il suono del tamburo, il “cavallo del vento”, che produce onde theta, dei sonagli, attraverso l’uso di bastoni e di maschere portate come una sorta di visiera, con frange che ricadono sul volto. Questi strumenti aiutano lo sciamano ad entrare in uno stato ampliato di coscienza, entrare nei mondi invisibili ed incontrare gli spiriti.
Il percorso espositivo include tamburi di tutti i tipi, tondi, triangolari, ovali. grandi, più piccoli. Nel contesto della Mongolia più è grande il tamburo, più lo sciamano viene ritenuto potente, quindi il tamburo nel corso del tempo viene modificato, ingrandito. Interessante vedere anche qui come la pratica si fonde con l’estetica.
In mostra anche piccoli idoli, statuette chiamati ongong, che a volte si trovano anche all’interno dei tamburi. Questo è un elemento che – diversamente dal costume, dal bastone e dal tamburo – viene ereditato dallo sciamano, e rappresenta lo spirito guida dello sciamano che lo ha preceduto, o uno spirito della natura.
Il percorso espositivo include video con commenti del comitato scientifico composto da antropologi sui temi della mostra; proiezioni immersive che guidano lo spettatore fuori dalle coordinate spazio-temporali per trasportarlo nei luoghi e paesaggi di origine di questi oggetti, tra cui un video dove viene ricostruito lo “smembramento” sciamanico, una sorta di morte e di resurrezione operata o dagli animali di potere o dagli spiriti guida. In collaborazione con il dipartimento di scienze cognitive dell’Università di Trento è stata inoltre creata una stanza in cui si offre allo spettatore una simulazione di stato alterato di coscienza, del “viaggio dello sciamano”. In mostra inoltre una animazione in cui si vede un panorama sciamanico classico, al quale si sovrappone un panorama moderno in cui lo sciamano sopravvive ed esercita la sua funzione all’interno di un normale edificio, che spiega come il fenomeno dello sciamanesimo non sia qualcosa di cristallizzato nel tempo, ma è qualcosa che evolve e che vive.
Una parte della mostra è dedicata alla cosmogonia sciamanica, dove la struttura del cosmo è composta da 3 mondi: il mondo di mezzo, il mondo superiore e il mondo inferiore – ricapitolata in due colonne scolpite, da un dipinto, e da un video realizzato ad hoc.
La mostra racconta inoltre come si diventa sciamani – in queste culture quello dello sciamano non è un ruolo ereditario, ma viene riconosciuto dalla comunità dopo una grave malattia – e come non sia un ruolo privilegiato come può essere in altri contesti geografici; spiega che non c’è una “scuola” ma il prescelto declina le conoscenze che gli sono state trasmesse sviluppando le proprie qualità e la propria sacra individualità.
Altri oggetti in mostra, soprattutto di area mongola rivelano un sincretismo tra pratiche scismatiche, buddismo, lamaismo, che rappresentano anche il volto inquietante dello sciamano.
Una parte della mostra indaga anche la spiritualità preistorica del paleoliotico, partendo da alcuni interessanti punti di contatto rintracciati su reperti, alcuni originali e altri repliche, tra cui una pietra proveniente dallo straordinario sito preistorico della grotta di Fumane, sui monti Lessini, con la più antica pittura di homo sapiens europea rappresentante una figura antropomorfa e la testa animale; e un ciottolo originale, con incisa un corpo femminile e testa di cerva. Emerge dunque come tratto distintivo di età paleolitica il rapporto uomo-animale.
Il secondo piano del Palazzo delle Albere ospita la terza sezione della mostra Sciamani, a cura di Gabriele Lorenzoni per Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e dall’antropologo Massimiliano Nicola Mollona, ed indaga i punti di intersezione tra i linguaggi del contemporaneo dal secondo dopoguerra in poi e la tematica sciamanica. In mostra varie medialità: dal video alla fotografia, alla pittura, alla scultura, all’installazione.
Qui il percorso esplora la dimensione spirituale e terapeutica delle pratiche contemporanee attraverso 40 opere di 26 artisti e artiste internazionali: Marina Abramović, David Aaron Angeli, Joseph Beuys e Buby Durini, Alighiero Boetti, Chiara Camoni, Ramon Coelho, Claudio Costa, Jimmie Durham, Bracha Ettinger, Angelo Filomeno, Hamish Fulton, Allan Graham, Louis Henderson, Karrabing Film Collective, Suzanne Lacy, Mali Weil, Attilio Maranzano, Si On, Anna Perach, Ben Russell, María Sojob, Daniel Spoerri, Alexandra Sukhareva, Alisi Telengut, Franco Vaccari.
“Il filo rosso che si dipana lungo il percorso espositivo è la questione ambientalista”, spiega Lorenzoni, e la terza sezione si apre appunto con una sala dedicata all’opera-manifesto Difesa della natura / Grassello, 1979-1984, dell’artista sciamano per eccellenza: Joseph Beuys. Il progetto si presenta come un’installazione di stampe su tessuto, documentato da Buby Durini nel volume che diventa parte integrante dell’opera. Il lavoro appare un contributo a sostegno delle più attuali emergenze ambientali, e va inteso non soltanto in senso ecologico, ma anche nell’aspetto antropologico: natura, come elemento – in questo caso sotto forma di calce “grassello” – da vivere attivamente.
Con Beuys il dialogo con lo sciamanismo è risaputo, in altri artisti è ripreso in alcuni dei suoi aspetti predominanti come la performance e la gestualità rituale. Paradigmatica l’opera di Marina Abramović, Balkan Baroque, 1997 – di cui in mostra troviamo una fotografia e un video – che l’artista presentò in occasione della Biennale di Venezia del 1997 e le valse il Leone d’Oro, e il film di Mali Weil Rituals | The Mountain of Advanced Dreams, 2023, che segue diversi rituali articolati intorno ai temi del corpo, del linguaggio, della morte, del sogno.
Anche le installazioni scultoree Grandi Sorelle, 2023, di Chiara Camoni, che si contraddistinguono per l’uso di elementi organici quali erbe, bacche, fiori, diversi tipi di argilla e rimandano a una formularità magica e a una personale dimensione spirituale e mistica della realtà, sono tipiche delle forme della ritualità sciamanica.
In Elephant skull study #7, 2005, di Jimmie Durham, la modalità in cui i materiali sono utilizzati e combinati dall’artista in modo da acquisire valore sia per le loro specificità fisiche e funzionali, sia per le loro proprietà iconologiche, emerge la vicinanza fra l’approccio artistico tipico Durham e le pratiche sciamaniche.
Presentano richiami culturali legati allo sciamanismo le pitture ricamate di Angelo Filomeno, come Shaman Necklace (sea fans and skull), 2015, in cui l’artista salentino evoca atmosfere arcaiche e tribali attraverso la sua tecnica raffinata e la nobiltà dei materiali utilizzati.
Arte, alchimia, antropologia, le opere dell’artista-terapeuta Claudio Costa Per un inventario delle culture, 1975, Il grande mago, 1987 e Macinatrice d’Africa, 1991, ben rappresentano e si intrecciano con l’ispirazione tematica dello sciamanismo, così come Figure humaine comparée avec celle de la chévre et brebis (dalla serie “Carnaval des Animaux”), 1995, di Daniel Spoerri, in cui l’artista confronta l’umano e l’animale, dove un teschio decorative tibetano, le corna di ungulati e una maschera rituale polinesiana sono associate ai disegni, appaiono come paraphernalia sciamanici.
Ed ancora, si possono ravvisare contaminazioni con prassi culturali appartenenti allo sciamanismo in Offerta della coppa piumata, 2023 e Incontri montani, 2020, di David Aaron Angeli.
Dichiarata correlazione con lo sciamanismo in Shaman/Showman, 1968, di Alighiero Boetti, che affermò “Showman e sciamano, perché sei sempre uno stregone quando lavori con la mano e la testa (…) e showman perché ogni tanto ti tocca fare anche questo!”; riconducibile al tema Anatomy Lesson #1: Chickens Coming Home to Roost (for Rose Mountain and Pauline), 1976-2005 di Suzanne Lacy, in cui, nel contesto del primo femminismo e della body art, l’artista esplora il rapporto tra identità e corpo biologico di genere attraverso il linguaggio, le narrazioni popolari e la scienza medica.
“Questa mostra, con approccio multidisciplinare, ponendo un’infinità di domande, forse può anche ossigenare la nostra coscienza, il nostro spirito, e farci vivere anche più felici”, Sergio Poggianella.
Sciamani. Comunicare con l’invisibile
da un’idea di Sergio Poggianella
a cura di: Elisabetta Flor e Luca Scoz – MUSE; Gabriele Lorenzoni – Mart; Luca Faoro e Armando Tomasi – METS; Sergio Poggianella – FSP; Massimiliano Nicola Mollona – Università di Bologna
Assistente curatore Valentina Russo
17 dicembre 2023 – 30 giugno 2024
Sciamani. Téchne, spirito, idea
METS – Museo etnografico trentino San Michele
a cura di METS – Museo etnografico trentino San Michele
Artisti contemporanei: Adolf Vallazza, Luca Pojer, Pietro Weber, Denis Riva (Deriva), Andrea Marinelli, Federico Lanaro, Bruno Norbu Griparich, Piermario Dorigatti, Andrea Tagliapietra, Paolo Dolzan e Elias Grüner. In dialogo con le opere alcuni oggetti della collezione di arte sciamanica della Fondazione Sergio Poggianella provenienti dall’Asia centrale.
Sciamani. Comunicare con l’invisibile
Palazzo delle Albere, I piano
a cura di MUSE – Museo delle Scienze di Trento
La curatela della sezione MUSE è di Elisabetta Flor, Luca Scoz e Sergio Poggianella; il Comitato Scientifico è composto da Stefano Beggiora, Nicola De Pisapia, Fabio Martini e Lia Emilia Zola.
Sciamani. Comunicare con l’invisibile
Palazzo delle Albere, II piano.
a cura di Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
curatori: Gabriele Lorenzoni e antropologo Massimiliano Nicola Mollona
Artisti: Marina Abramović, David Aaron Angeli, Joseph Beuys e Buby Durini, Alighiero Boetti, Chiara Camoni, Ramon Coelho, Claudio Costa, Jimmie Durham, Bracha Ettinger, Angelo Filomeno, Hamish Fulton, Allan Graham, Louis Henderson, Karrabing Film Collective, Suzanne Lacy, Mali Weil, Attilio Maranzano, Si On, Anna Perach, Ben Russell, María Sojob, Daniel Spoerri, Alexandra Sukhareva, Alisi Telengut, Franco Vaccari.
Info:www.muse.it
www.muse.it/events/sciamani-comunicare-con-linvisibile-2023
www.mart.tn.it
www.mart.tn.it/sciamani
www.museosanmichele.it
www.museosanmichele.it/dettaglio-appuntamento/-/d/sciamani